Canti e leggende di Ferdinando Neri

Canti e leggende Canti e leggende A Pisa, nel 1821 — un anno avanti la morte — lo Shelley aveva tracciato in due episodi lirici un dramma, che non terminò, su Ginevra, la fanciulla degli Armieri, di cui si narra che, subito dopo le nozze, fu sepolta mentr'era ancor viva... La leggenda, che appare per la prima volta in un poemetto popolaresco agl'inizi del Cinquecento, e che in quel secolo dava argomento ad una perduta rappresenta zione fiorentina (la Ginevra morta del Campanile), non ò scomparsa ancor oggi dal teatro, dal romanzo; non è ignota, ma non risplende : è una memoria errante, simile ad un fantasma, come Ginevra stessa- in quella notte in cui risorgeva dai morti, e la casa del padre, e quella dello sposo erano chiuse per lei. E pare che la sua nota propria, il tratto più profondo della favola, stia in quel smiso di ambascia, di gelo, di solitudine estrema, provata per un'ora nella tomba. I casi che seguono, le nuove nozze che il Vicario consente fra la sposa risorta ed il suo antico innamorato, non valgono a cancellare, nel sorriso bonario del lieto fine, quel sigillo funesto. Altre storie d'amore s intrecciano col tema della morte apparente, e Talora simulala (v'è un libro intero, uno studio di a letteratura comparata», di Enrico Hauvette. sulla Morta viva) : da quella di Gentile dei Garisendi e Catalina Caccianimici nel Decameron, sino agli «Amanti veneziani » del Bandello e agli « Amanti veronesi » del Da Porto : ohe sono Romeo e Giulietta... Ma Giulietta, semplice e fiera, ed accesa, nel suo abbandono e nel sacrificio d'amore, fu assunta dallo Shakespeare ad un'eterna luce di poesia; lo Shelley non adempì un'uguale promessa per Ginevra degli Almieri ! V'è come un limbo della fantasia, in cui si distinguono le pallide creature, prigioniere di un sogno, come se invocassero dal limite delle nebbie una vita più ricca, un po' di sangue che le l'incolori. Di alcune, si direbbe che sono afiorite, ch'ebbero a conoscere un giorno altra fortuna: che vi si celi il ricordo di un poema perduto, tanto vi è chiaro e ealdo il nodo di passione e di do lore, tanto serbano schietta l'impronta'di un gran cuore umano. E non per altra ragione, al di sopra della prove minute della filologia, la critica moderna si richiama ad un poema primitivo di Tristano, di cui non ci rimane un solo verso... Ciascuno di noi è tratto inconsapevolmente a vagheggiare e a disegnare una forma unica, pienamente definita, di quelle favo le, che furono tante volte riprese e abbandonate. Qual è il vero Don Giovanni? Di Tirso, di Molière, di Byron? Forse lo si rav visa meglio nell'opera di Mozart perchè la musica prolunga e di scioglie in un'aerea, limpida, fuga il fascino di quell'avventura, voi ta a volta paurosa e dolcissima Leggende famose, e leggende dimenticate si affollano, dall'ombra della tradizione, nelle pagine di una vasta rassegna della Poetia popolare, a stampa nel fenolo XIX (a cura di Giovanni Gian nini: edita dall'O.N.D., «Comi tato Nazionale Italiano per le arti popolari»). Si tratta appuntodi poesia narrativa, non dei canti popolari, strambotti di Sicilia e stornelli di Toscana, che risuona no ancora per le nostre campagne; e si tratta, in fondo, del repertorio dei giullari — che si chiamarono poi cantastorie — diffuso per le piazze, nei giorni di fiera, e raccolti in poveri libricciuoli, che ormai si vanno fa cendo più rari. Non si può negare che l'espres sione più caratteristica di questa vena di poesia è offerta dalle sto rie più antiche, le quali si stani Eavano già nel Rinascimento i anno resistito per tre, quattro secoli ; i tipi prediletti dal popoli non sono mutati gran che. Per ciò il Novati consigliava una bi bliografia complessiva di questi materiale semi-lettei'ario, che as simila per tanta parte, ad esem pio, il catalogo delle antiche stampe della Biblioteca Marcia na, redatto anni sono dal Sega rizzi, e questa silloge dell'Otto cento, a cui il Giannini ha atte so con diligenza non meno esper ta nel campo suo. Ritroviamo, con le vite dei San ti, la Creazione e la Passione, e il Pianto di. Maria, ridotto dallo «Stabat Mater», e la parabol umana e divina del Figlutol prò dir/o, le storie, fra- sacre e prò fané, dei Sette dormienti, di Ge ■nove/fa, della Per/ina Oliva, di Posana; e la fiaba di Liombru no, tutta ingenua e meravigliosa ed a schiera, le innumeri coppie d'amanti : Piramo e Tisbe (mito logica, ma popolarissima), Paris e Vienna, Ippolito e Dianoia, Florindo e Chiarastella, Ottinel lo e Giulia, Gian Fiore e Filo mena, Livia e Anselmo... E 1 «Istoria bellissima di Senso, che cercava di non morire», e i Gin gue ladri, e l'Imperatore superbo, e Pietro Bailardo (un Faust popolare e nostrano), il Castel lana di Stato, e il Cavaliere d'Olanda... La satira e le astuzie del villano, con Biagio contadino Compilano ; le vecchie supersti zioni, col Xoce di Benevento., Nò ha perduto ogni favore un tiretto di Baldassare Olimpio d Sassofcrrato, che piacque tante nel Cinquecento: nOlimpia d'amore, ove si contiene mattinate, serenate, partenze... sdegni d'amante: opera dilettevole per i giovani che sono innamorati ». Approda, o naufraga, a questi lidi qualche memoria della grande poesia: il Conte Ugolino (nel canto stesso di Dante),' Francesca da Rimim (sulla tragedia del Pellico), Pia dei Tolomei (attraverso la novella poetica del Sestini. assai deturpata), l'Orfeo dalla dolce lira (con reminiscenze del Poliziano), la Rotte di Roncisralle (che deriva dal Morgan te del Pulci)., e Bradamante, Ri- nadal'AdecriLlensodconpo—dacoNail riaagtoprzabrla denochscscchpudàtutepintogiosuna■ommmndndrcocciiKUSCAIB i a i naldo appassionato, Erminia... E da fonti più vicine e modeste, l'Aida (che s'ispira al libretto dell'opera), il Conte di Montecristo e i Due surgeliti... La storia, «quella vera» e solenne, figura, a sbalzi, con l'epi; sodio degli Orazi e Curiazi, poi con Nerone (e manca Cesare !) ; e poi Attila, Aleramo e Adelasia — ch'è piuttosto un'altra leggen da d'amore —, il Barbarossa, e, con vaste lacune, Luigi XVI e Napoleone a Mosca. Col tempo, il volgo elimina molto, della storia, e della sua poesia, e pare che aggiunga ben poco: dell'Ottr.ento, ricorda Pio IX, Garibaldi, i primi reali d'Italia, Davide Lazzaretti, profeta di Monte Labbro... Che un nulla di fronte alla gloria dei banditi: da Mayno della Spinetta e il Passatore, fino a Gasparone e Spadolino. Il complesso di questa poesia, che ha vissuto delle sue forze oscure, alla giornata, senz'altro scopo ed impulso se non quello che procedeva dal gusto di un pubblico informe e disperso, ci dà pure una conferma, ch'è in tutto spontanea, di un'unità letteraria estesa nelle propaggini più ascose del nostro popolo. La intonazione dominante è sempre toscana, e fiorentina, ed ogni regione d'Italia vi si piega ed acosta naturalmente, vi reca un suo accento nuovo, senza alterarne il carattere comune. E menano ricordo le canzonette alla ■orsa, di lingua e stampo prettamente italiano, e d'una foggia metrica peculiare : che i due primi versi della strofe ci presentano l'endecasillabo diviso nei suoi due elementi costitutivi (col quinario costantemente in prima sede). Così, nella Storia di Chiarie Tornante: Lascia la gonna — si veste un [manto strano, Non par più donna — ma semfbra un capitano... E' lo stesso verso a cui, per alra via, faceva capo il D'Annunio nella Xotte di Caprera: Sul far dell'alba — con suoi porcili sen viene alla marina — dove la nave alf tende... Nella «canzonetta» la- strofe si compie in versi ottonari: Va alla testa de' suoi Corsi Al suo ben per dar soccorsi...; congegno di ritmi che agevola il canto nelle feste popolari. Ferdinando Neri iiiiiiiiMiiimimiimimmiimiiiiiiiiiiiimiimiiiiiiiii