SENTINELLA ALLE ALPI

SENTINELLA ALLE ALPI Piemonte guerriero baluardo d'Italia SENTINELLA ALLE ALPI simfitt\co_ . ìl'Ovietava il vasso ai invasare Stretto intorno al suo Re. tutto u dodo/o piemontesei ™1/lCLUl/u u puoou UH UlUUÒVIK. OUKUU IIUUIHUUI OUU J1C, IUUU li pupwiw (/H.IHVH w \ces.neor| CoPer la sesta volta Cuneo, nel 1744, sosteneva l'urto francese, e con eroica fermezza vietava il passo all'invasore. Stretto intorno al suo Re, tutto il popolo piemontese diventava soldato, dimostrando come la sua forza guerriera fosse ormai indomabile CUNEO, luglio. E" opinione della maggior parte degli storici militari che la giornata della Madonna dell'Olmo sostenuta da Carlo Emanuele III sotto le mura di Cuneo il SO settembre 171,1, contro l'esercito gallispano nominalmente comandato dall'Infante di Spagna Don Filippo ed effettivamente dal principe borbonico Diligi Francesco di Conti, esperto e geniale uomo di guerra, si sia risolta, dopo un duro combattimento di un intero pomeriggio, in una disfatta delle armi piemontesi. « Sanguinoso rovescio » definisce questo micidiale episodio Vittorio Dabormida, il glorioso caduto di Adua. Ed infatti la battaglia — originata da un errore tattico delle avanguardie impegnatesi troppo a fondo, tanto da trascinare il grosso in uno scontro ch'era stato previsto per il giorno dopo — non raggiungeva subito lo scopo prefisso di spezzar la tanaglia che chiudeva Cuneo dal Gesso, ov'eran gli spagnuoli, alla Stura, dove stavano i francesi; l'esercito piemontese, già forte di venticinquemila uomini, lasciati sul terreno quattromila morti fra cui duecento ufficiali, doveva alle sette di sera ripiegare verso Fossano ostacolando l'inseguimento av versano con cavalli di frisia c brillanti azioni di retroguardia ; ed il Re di Sardegna che col 3uo consueto impassibile coraggio s'era — narrò un contemporaneo — « sempre esposto come un semplice soldato con la spada impugnata » vedendo cadere intorno a lui i suoi aiutanti di campo, dormiva quella notte sulla paglia in un casolare di Ronchi. E' rimasta celebre la sua frase al conte di San Marza no che dopo la frugalissima cena voleva offrire al sovrano qualche dolciume: «Non credo che oggi bdgnticpittnctqnmmasilCcvlnlidsVlB«dnoArSssndvusiamo stati così bravi da meritare'delle ghiottonerie». {{Una strana « sconfitta » Ciò avveniva, s'è detto, l'ultimo giorno di settembre. L'indomani i Carlo Emanuele III muniva & \trinceramenti Murazzo e vi face-\va riposare l'esercito, cosi poco. scoraggiato da quella che il principe di Conti vantava come una grande vittoria da fornire mille soldati che, al comando del colonnello conte Rasini, riuscivano a penetrare l'8 ottobre nella città assediata recandovi anche forti quantità di polvere; e quattordici giorni dopo francesi e spagnoli, sfiniti da due mesi di inutili attacchi che eran costali loro ben settemila morti, abbandonavano Cuneo senza esser riusciti — si legge in una relazione manoscritta — ad « occupare neppure una minima parte delle fortificazioni esteriori e neppure a portar via un palo delle medesime». Quattro settimane non eran passate dalla «sconfitta» piemontese della Madonna dell'Olmo, che il Re di Sardegna (il quale da Fossimo aveva immediatamente spedito truppe a molestar la ritirata gallispana) veniva accolto sugli inespugnati bastioni dai fedeli cuneesi esultanti. Che i re piani/ano di gioia fra i sudditi liberati sarà magari un luogo comune, ma quel giorno Carlo Emanuele III. allo spettacolo di tante rovine e di tante sofferenze eroicamente sopportate da quei dodicimila abitanti, piangeva davvero. Curiosa « sconfitta », dunque, la giornata della Madonna dell'Olmo se il suo frutto, invece della caduta di Cuneo e del conseguente assedio di Torino, era uno smacco per Luigi XV. Ancor tre anni, ed al VAssietta la Francia avrebbe subito la più dolorosa umiliazione che forse mai le armi piemontesi le avessero inflìtto. Il fatto è che questo piccolo fierissimo Piemonte diventava sempre più il centro della rinata coscienza guerriera italiana, che di pari passo procedeva con la coscienza dell'imminente risorgimento d'Italia. («Nostro imminente risorgimento» è la frase che di recente — e felicemente — Carlo Calcatemi prendeva a prestito dal conte Benvenuto Robbio di San Ruflaele per «fare il punto » delle forze spirituali piemontesi fra la mela del Settecento ed il principio dell'Ottocento; e quella frase è datata 1169, quando cioè il conte di San Raffaele, tornato dalla Francia a Torino, vedeva « i non falli- bili mallevadori del ristabilimento dell'onore italiano e i Zuminosi segni ammonitori del nostro imminente risorgimento » in molti fatti generali e particolari, ma specialmente nell'aver il Piemonte parte sempre più attiva nella vita italiana ed europea). I regni di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III avevano foggiato quella coscienza. Con le armi dello spirito, senza dubbio; ma anche con quelle, ora fortunate, ora sfortunate, ma impugnate sempre da uomini intrepidi, della guerra. Da circa due secoli ormai il Piemonte combatteva, per ingrandirsi a palmo a palmo, per difendere la sua libertà ed il suo onore, per identificare il suo destino con quello della Casa regnante: da quando Carlo Emanuele I, alla testa di pochi guerrieri coperti di ferro aveva capitanato la prima uscita dalla nuovissima Cittadella di Emanuele Filiberto per l'impresa di Saluzzo contro la Francia. Presto il conte di Bricherasio ed il contedi San Sebastiano avrebbero rovesciato dalla gloriosa altura fra la Valle di Susa e la Valle del Pellico i battaglioni sanguinanti del Bellisle, si che la nostra vittoria qsnd«ugm/blrmAEmuri«copriva di gramaglia la Francia,\delia quale non vi era una famiglia,nobile che non avesse a piangere]o il padre, o il figlio, o un fratello ». A prezzo d'infiniti sacrifici s'era raggiunto quel consolidamento di Stato; col veder cento volte il Paese invaso e calpestato ci si era persuasi della necessità d'una imponente forza armata; con l'offerta di migliaia di vite immolate in avventure che potevano parere assurde o sproporzionatamente ambiziose il Piemonte era diventato una pedina indispensabile sullo scacchiere europeo. Da venticinquemila abitanti la capitale era 'passata a quasi setlantacinquemi {la; i generali che combattevano {menando fendenti a due mani si eran trasformati in sottili strate ghi che appuntavano freddamente il lungo canocchiale sulle posizio i nj avversarie (ormai le artiglierie \piu moderne sparavano a ben S100 \metri)i elegantissimi nel loro abi. to azzurro foderato di rosso, veste bianca a bottoni d'oro, grande cap- e n » r i e . a o a r e e i e o l n e a o adi ni- pello ricamato. Mai si mancava alle regole della perfetta cortesia (quali screanzati, con i nostri concetti bellici della « sorpresa », sembreremmo oggi a quegli impeccabili gentiluomini!), e come già il La Feuillade a Vittorio Amedeo II all'assedio di Torino, così il principe di Conti prima d'iniziare il bombardamento di Cuneo inviava un messo con bandiera bianca al barone Leutron, comandante della piazza, pregandolo di fargli sapere ov'era il suo alloggio, per poterlo risparmiare. Sempre uguale, anzi di prammatica pur nel suo eroismo, suonava la risposta: l'unico alloggio durante l'assedio esser sui bastioni. Era insomma il Settecento, il secolo dalle forbite gentilezze, in cui la guerra pare più assurdu. E la guerra invece, appv.nto nel tempo che l'ancor vigoroso Barocco si effemminava nelle squisite grazie del Rococò ed ogni affo della vita quasi si idealizzava i:i un Embarquement pour Cythèie, si faceva sempre più micidiale e scientifica, rivelando a modo suo le aspre antitesi di un costume che permetteva il fervido rigoglio intellettuale fra le sdolcinature della galanteria mondana, i formidabili odii politici sotto la maschera dell'etichetta, il fermento sociale nella tradizione del feudalesimo, la satira accanto alla canzonetta, l'esule Baretti e il cortigiano Metastasi. Ma in questo clima di contradizioni morali il Piemonte di Carlo Emanuele III, del secondo Re sabaudo, s'era fatto intanto sempre più forte ed agguerrito. Su una popolazione di circa due milioni c mezzo d'abitanti, la Monarchia poteva schierare un esercito d'oltre cinquantacinquemila uomini, fra truppe d'ordinanza na zionali, truppe d'ordinanza stra niere, truppe provinciali: esclusa cioè la milizia che, comprendendo quasi tutti i cittadini atti alle armi non appartenenti all' esercito propriamente detto od ai dieci reggimenti provinciali, forniva la possibilità di una vera leva in massa Le Alpi, una sola fortezza ea l quella leva che già aveva permesso a Vittorio Amedeo II di pronunziare, dopo la grave disfatta della Marsaglia, le fiere parole: «Batterò il piede per terra c neUusciranno i battaglioni». uE questi battaglioni eran sulva-ieguardati sui confini da un siste-\cma difensivo davvero eccezionale.!m// Dabormida, nel suo limpido libro sulla battaglia dell'Assietta, l'ha delineato con laconica chiarezza: «Nonostante l'esiguità dei mezzi di cui disponevano, Vittorio mbuttAmedeo II aveva iniziato e Carlo<nEmanuele III condotto a compi-{mmene l'opera colossale, anche per gun grande Stato, di munire la bar-{sriera alpina di un sistema comple-\oto di fortificazioni. Nulla poteva ldesiderare di meglio in allora ii|Piemonte sotto questo rispetto, se si tien conto delle condizioni dell'arte della fortificazione e delle.armi in quel tempo. Ognuna delle principali vie che dalla Francia*mettono in Italia non solo, ma al-\cune anche delle secondarie, erano sbairate: quella della valle d'Aosta dal forte di Bard, quella del Moncenisio dal forte della Brunet ta presso Susa, quelle del Mongi nevra dai forti di Exilles e di Fe ,\nestrclle, quella della valle del Pel,[ice dai forte di Mirabocco, quella e]della va]lc della Vraita de Castel Delfino, quella della vaile della Stura dtil castello di Demonte, ,lr' r' MJ<<''<'i'fii<ii!iiiiiiiiiiiiiiiiii(iii[riiifii) | forte'6,'°\™'U\mce {ca1 c«Jdcquella del colle di Tenda dal di Saorgio, e quella della Cor: dal forte di Moltalbano e dai stelli di Villafrunca e di Ventimi- ridglia. Al di qua della barriera <'l-<rnpina il Piemonte possedeva tre\bopiazze, famose allora in Europa \cepei memorabili assedi sostenuti ,f con prospera fortuna: Torino, ad scnna giornata di marcia dagli sbocchi in pianura delle valli della Doi ra Riparia e del Chisone; Cuneo, \a. una mezza giornata di marcia dagli sbocchi in pianura delle valli della Stura, del Gesso e della Vermenagna, e Alessandria, al punto di convergenza delle valli del Tanaro e della Bormida». ginmgicinamsicoTale il Piemonte durante la lnn-\aga guerra, dal 111,0 al 177/8, detta Ndelia. «Prammatica Sanzione », „wper l'eredità dei territori absbur- u ghesi nella persona di Maria Te-\ciresa: guerra che in un primo tem- dpo vide Carlo Emanuele III scine-inraio con i coalizzati contro la \revane regina, ma dal febbraio m,2 ;;„imito a questa e all'Inghilterra, e, tedopo i/ trattalo di Worms dell'an-sta no dopo, nuovamente m guerra dcon la Francia alleata della Spa- gna, della Prussia, della Baviera,*bde/ Re di Napoli e del Duca di soModena. Si rinnovava così col se-'.scondo Re di Sardegna la fatalità lepolitica che aveva spinto il suolmpredecessore, dopo l'inganno di\vnon mantenute promesse o la bru- sfa/tfd di imposizioni disonoranti, a,mriconoscere l'inevitabile inimicizia1 tfrancese. Cuneo l'invincibile E ancora una volta il popolo era\s: eUntto col suo sovrano. La sola prò- rf uincin di Mondovì, mentre Cuneo d-iera assediata, metteva in armi die-.c-\cimila nomini deHa milizia. De- cl9ìfigage.!monte sciaguratamente cadeva aIbia, ei o metà dell'agosto 11l,k per le bom¬ be incendiarie del generale Maule-{furier che minacciavano di far sai-\mtare i depositi di jtolvere della /or ' tezza, e la rapida capitolazione era] Do<nn grave colpo per Carlo Emù- ti-{miele III che sperava in una luti- ser ga resistenza allo sbocco di Val di'r-{stura. Gli spagnuoli del Las Minas e-\occupuvano Borgo San Dalmazzo,[va li francesi del principe di Conti SiU ii|spingemmo fino a Vignolo, con giti se alleati investivano Cuneo. Ma al-\ lle.resistenza aggressiva delle popola ioni. Tutto quest'estremo lembo ^ble ia*occidentale del Piemonte avvamal-\pava d'implacabile furore contro no gli invasori. Mentre gli uomini del odel et gi e ella el la te, loro si verificava il prodigio della ■ la milizia, a bande franche, con stupefacente temerità piombavano nelle gole delle montagne assalendo — come testimoniò il Galleani d'Agliano — «e ufficiali e soldati e provvisioni e mercanzie ed equi-.paggi e corrieri, quali tutti dijFrancia venivano all'armatalo da',questa per quella volta partiva-ìno», i contadini, ricordava il mar-!ifii)jrM!iii!iifirtiiiiiiriif--<ijiiii(iiiiitiriitiiiiiiiiJiiiiiiii«ii< chese di Saint-Simon, aiutante di campo del principe di Conti, massacravano spietatamente ogni nemico che cascasse nelle loro mani, impavidi malgrado le terribili rappresaglie; e il loro coraggio, narra il Beavregard, era diventato ferocia, tanto che i gallispani finivano per temerli, più delle stesse truppe regolari. 1Che poteva importare, in una. simile atmosfera di disperata riso- vfittezza, un apparente scacco j\come ciucilo della Madonna del- sìl'Olmof Era la sesta volta che i i ™>16C'r •sos^ \cesi. Avevano respinto ti CatmatL.nel 1601: non si sarebbero certo ora arresi al signor principe di l | Conti. Costui, fra il u, settembre \ e . ù i V '6,' 2»ot°bre, lemmi la atta sotto 'Uuocoin»,terroUo di quara»'««: {cannoni e mortai, cui dai bastioni Jdcl!u Madonna e di Cangilo, dalle ridolle e d(tr/li Sj,aI4j si rispondeva <rnn zg.OOÒ cannonate e 18.000 \bombe a mano. Circa quattro \cento soldati e cittadini perivano, ,f „eìln „i0,.jo,„, difesa; ma, come scrjsAe Carìn Bot(„ „cìle sue pa¬ l i in ottimo assetto, le mnnizioni da guerra e da bocca, la guarnigione]infiammatissima a fare ogni estre ma possa per conservare al suo si gine belle di romantica pittoricità, «il barone di Leutron governava con supremo imperio le cose militari incuneo. Le fortifica- sioni erano conserve ripiene di -\anore quell'importante baloardo a Né snln nei so]datj viveva un som, „w ardnre; u medesimo desiderio, - u medesimo ardimento animava i -\cittadini, siuomini che donne, che,, - dllto mlllw alìe armi) alle zappe,'-inj ceslcUh ferivano> sterravano, \recavano, e ninna opera o di vo-,2 ;;„„/,-,. „ rfj pericolo lasciavano In- , tentata, per le quali più si dimo- '-strn dallll fjenle vnjorosa l'amore a del prtncipe e deUa patriar>. - Em Vaura in CHJ nm lard„ « !,*briUare ìa luce deua vittoria. Ini sortite si moltiplicavano; sui ba- -'.stioni tempestati dai colpi salivano à le dotine più floride e formose perolmo!ìtrare ai francesi che in città i i\vivc,.i „on scarser/giavano; e pen- - si„mo c)le pj,< d'un cannoniere ne-a,mico nvra sospeso il tiro per con- a1 templarei ahimè da lontano, quella a\s„re \e Alpi, inseguito dalle tr"PPe- rfj Carlo Emanuele III. Un presi-o dio di 8098 uomini con 11,6 uffi- e-.citili non aveva ceduto a un eser- cito più di dieci volte superiore. Il l9ra2ia di Dio. Finalmente ^ìfiero popolo aveva la su prema gioia di veder l'avversario scorag-agiato levare il campo per ripos-aIbarone■Federico Maria d'i Lcntron,im vecchio sassone che da treni¬ e-{fanni serviva nell'esercito pje-jtti-\montese, aveva rivaleggiato r ' a] Daun, il difensore di Torino tren ù- tott'anni prima; e salvando con la i- sua magnifica resistenza la capidi'tale dall'assedio, Cuneo ancora as una volta s'era mostrata degna o,[d'esser considerata l'intrepida senSiUinelIa deiie Aipi. giti M R A' al-\ ^bravura e perizia col conte Viricola munii iimiiiiumnilii imi immillim qddsgpppcnci r\adlpd Cuneo fra il 1691 e il 1744, al tempo della vittoriosa resistenza contro i francesi. (Da una stampa della raccolta Bourlot).