Se le barche avessero le redini...

Se le barche avessero le redini... CINQUE PIIITCKH A ZCNZC SHIIL PC Se le barche avessero le redini... Approdo sotto l'ombrello - La spina del barilotto ouuero l'uouo di Colombo finche questa uolta il colpo fallisce: raggiungiamo il porto per uia di terra Lungo il Po, giugno. Ciò che narro sono ricordi di due giorni fa. Il vento soffiava tanto forte che le due imbarcazioni non procedevano di un metro pur navigando con la corrente favorevole. Il cocchiere torinese, « barba » Gianni, che ha sui fanali della sua « cittadina » il numero quarantotto, non ce la faceva più e il braccio sinistro, per lo sforzo, gli era enfiato in modo compassionevole. Carlo, il pontiere del Genio, Celeghin, il giovanissimo Celeghin e il vecchio lupo di fiume Franchino, ce la mettevano tutta. Ad un tratto Dio ha voluto che scorgessimo, poco alti dietro l'argine, i comignoli delle case di Isola della Torre. Il comandante. Matteo Lama, ritto sulla pinta, dopo avere binoccolato a lungo, così ci ha parlato: « Con mare grosso e vento gagliardo bisogna dare alla lancia il massimo abbrivio all'avvicinarsi di ogni onda che non si può evitare ». Questo mare che costa tante vite... Intanto le due povere barche scricchiolavano e facevano acqua che era una compassione. — Comandante — disse Franchino — con due colpi di remo siamo a terra. — Può anche essere vero, ma bisogna che ognuno di voi sia edotto del modo di comportarsi in simili frangenti. Suonò la sua trombetta e tutti noi, ubbidienti, ci siamo rannicchiati in fondo alle barche poiché, veramente, battevamo i denti dal freddo. — JI maggior pericolo — riprese il comandante — quando si corre verso terra è quello di essere traversati. Non è mai troppa l'attenzione da aversi per questo speciale effetto del mare, che così sovente fa perdere tante vite. Visto che era inutile interromperlo, Pel iella da Bologna, che è un « corpo disabitato », cominciò a mangiare pane e formaggio e i vogatori abbandonarono i remi per ascoltare attentamente. Intanto aveva cominciato a piovere e la sponda era così vicina che le due barche, comportandosi non diversamente dai cavalli quando sentono odore di stalla, tentavano di approdare da sole, allungando il muso verso l'erba buona della sponda. — Quello cui principalmente devesi mirare è di mantenere — riattaccò il comandante — la lancia con la chiglia in direzione costantemente perpendicolare a quella dell'onda, essendo questo il modo più sicuro per non traversarsi e per conseguenza di non correre il pericolo di capovolgersi... Una buona contadina apparve sulla diga con un parapioggia in mano e ci disse che lo metteva volentieri a nostra disposizione se proprio avevamo deciso di attendere nell'acqua che fosse passato il temporale. Se ne stava sulla diga col Sito vestito di percalle nero gonfio di vento e guardava noi e il fiume come dal margine di una strada. —-Si — diceva la vecchia e buona donna come interpretando il pensiero che ci veniva osservando la dimestichezza con cui lasciava vagare sul Po il suo sgnurdo bianco di magnifica e solida vecchiezza — per noi il Po è come una strada. Gli uomini vanno e vengono sulle barche dai campi e dalla boscaglia come quelli di terra ferma corrono con le biciclette e i carri e le automobili. Una buona e vecchia strada che non ci ha mai fatto del male. Qui l'argine, coinè vedete, è molto alto e quando il fiume è gonfio, l'acqua non riesce ad entrarci in casa che zampillando di sotto ai pavimenti delle camere a pian terreno. — Silenzio buona donna — disse il capitano, vecchio lupo di mare e coltivatore di banane sul Giuba — vi prego di non interrompermi che io non voglio guai a bordo e dei quali poi sarei soltanto io il rcsponsubilo. — Comandante — rispose la donna, gridando nel vento — prego Dio che vi succeda male alcuno, ma desideravo soltanto offrirvi questo parapioggia che, alla meno peggio, a qualcuno potrebbe giovare. Noi, di Isola della Torre, siatno abituati, quando piove, a ripararci in casa o ad aprire il parapioggia. — Col mare — la fece tacere il comandante — non si scherza; questo è un miserabile fiume e certo io gli Liccio troppo onore trattandolo aa oceano ma chi sull'oceano ha trascorsi trent'anni di vita non lo può dimenticare. Riassumo perciò le seguenti regole che ora dovremo rigidamente applicare. Per non essere dunque « traversati » bisogna: primo, evitare per quanto è possibile ogni onda mantenendo la lancia in modo che l'onda rompa di prua ad essa; secondo, se il mare è molto grosso o se la lancia è piccola e specialmente se ha la poppa quadra, e questo è il caso nostro, bisogna presentare la prua al mare ed avvicinarsi alla terra sciando e vogando avanti contro ogni onda che non può essere evitata e finalmente i grandi pesi debbono essere mantenuti verso la estremità della lancia che è rivolta al mare ciò che impedisce a questo di spingerla bruscamente da un lato... Triste sorte del passeggero clandestino A queste parole il barcaiolo Franchino ghermì il barilotto del vino e se lo trasse fra le ginocchia guardandolo con patetico affetto. Quella di questo barilotto è una storiella che merita una parentesi. Lasciamo per un momento che seguiti a piovere. La spina del barilotto gocciolava fin dal primo giorno di navigazione sicché Franchino aveva escogitato il sistema non molto complicato di metterle sotto un bicchiere che dopo mezz'ora era colmo. E quando lo era egli lo prendeva lestamente e, alzando gli occhi al cielo come se facesse un grande sacrificio, lo beveva d'un fiato per poi riporlo sotto la spina. Tant'era la pena del buon Franchino per questo inconveniente che il cambusiere Pistamiglio volendo tosto confortarlo, prese il barilotto a due mani e, sollevandolo dal sostegno ve lo ripose capovolto in modo che dalla spina trovandosi col becco in su, immanente non lacrimò più una goccia. Franchino osservò la semplicissima manovra con grande ammirazione e rimase con lo sguardo puntato sul bicchiere che, non più riempiendosi lo dispensava dalla fatica di vuotarlo. Dopo il discorso del capitano eravamo pienamente edotti sulla manovra da svolgersi con grosso mare e nei frangenti allorché si voga verso terra per raggiungerla, ma ormai eravamo anche inzuppati fino alle ossa, e allora, dopo un tentativo di applauso, con un salto abbiamo raggiunto il ciglio dell'argine dove la buona donna riparandoci col suo parapioggia proprio come fanno le chioccie con i pulcini ci condusse sotto il portico di un fienile. Il comandante, approfittando della sosta, da vero rurale si recò nelle stalle a guardare le. mucche i buoi e i vitellini sul deretano dei quali mollava di tanto in tanto schioccanti manate da buon intenditore. Si fu allora che abbiamo scoperto di avere nella persona di certo Guido, non meglio identificato, [un passeggero clandestino. E fu lo stesso Guido che rivelò la sua presenza della quale forse non ci saremmo mai accorti, estraendo dalla sentina della barca sulla quale era vissuto a sbafo per ventiquattro ore, un giuoco di boccie. I pittori accettarono l'offerta di un'onesta partita ma il comandante si dimostrò oltremodo intransigente verso l'ospite inatteso. — Voi — gli disse — siete il solito passeggero clandestino e come tale sarete adibito a tutti i lavori che generalmente vengono affidati ai mozzi. Dunque voi. sarete, d'ora in avanti il mozzo di bordo. — Ho più di quarant'unni, comandante... — Li dimostrate tutti, via d'altronde la colpa, non è mia. Siete un mozzo che non ha fallo carriera per irriducibile indisciplina. Andate alle imbarcazioni e assicura-! Ieri che nella chiesuola, in quel-; l'armadietto di ottone che è sul; ponte di comando, ci sia ancora lai bussola; badate che l'ormeggio siiti ben legato al maniglione e, net caso non lo fosse, date un giro; stretto al cavo e fate il nodo a\ mezzo collo e se non basta a dop- \ pio collo o, se il mare aumentasse,', a collo in croce; poscia disarmate pernioni antenne picchi e vele e date un occhio alla falca e a fuo-\ ribanda... andate. | E cominciammo a giuaeare alle; boccie mentre dal ponte di Ascole., quello della battaglia, ve»ivan su, grossi nuvoloni forieri di burrasca.' Come Napoleone soggiornò in una casa di Valenza così noi soggiornammo e pernottammo in un fienile di Isola della Torre. Il comandante, guurdando la carta di rotta e facendo il punto s'era sbagliato di dieci mimili. Poco lontano dal cascinale c'era il tranquillo portuditolo di Valenza che ha ospitali alberghi, un magnifico mercato coperto e i grandi palazzi degli orafi di fama mondiale. Fra questi tanti palazzi abbiamo poi scoperto, il giorno successivo quello del conte Le Bas. Non so se la grafia sia giusta ma la storiella è veridica e divertente. A questo tal signore che risponde all'italianissimo nome di Leba, parendo cosa assai raffinata una discendenza da vetusta famiglia d'ollr'alpe. infranciosò il suo nome spaccandolo in due e mutandolo in quello appunto di Le Bas dal tintinnìo aristocratico e sullo stemma che orna l'ingresso del suo palazzo ora risaltano, sbalzate, tre paia di calze. di La « barba rivincita » Gianni Da allora molti anni sono pus-, sati e sarebbe tempo ormai di la-\ .vare quelle tre paia di calze con-' Ilaminate dalle intemperie. | Essendo intanto passata la bu-\ fera uscimmo dai fienili del cosci-' 'naie di Isola della Torre e ci ap-\ [parve una stranissima veduta. ! I II nocchiere, anzi il cocchiere «barban Gianni che aveva trovata nell' aia, una antica e pittoresca berlina, tempestata da; stemmi principeschi vi aveva at- I toccato un possente cavallo da' traino e dava spettacolo delle sud 'indiscutibili abilità di vetturino. Schioccai'do la frusta, le redini {raccolte nelle mani, il caratteristi-1 co tubino di traverso, girava tondo tondo, avvolto in un nembo di polvere come un atleta da biga romana. Passandoci accanto e sfiorandoci con le mole della currozza sulla quale forse, cosi mi piace immaginare, o magari è vero, Napoleone era arrivato fra le sur. truppe schierate sulla destra del Po meditando sui cuscini di panno azzurro le gesta del ponte di Arcale, mastro Gianni « padione detta cittadina n. 48 » ci lanciò uno sguardo trionfante come per dirci che se la barca invece dei remi avesse avute le redini le cose, tanto per noi quanto per lui, sarebbero andate molto diversamente. E anche questa volta, come la precedente, abbiamo fallito il colpo, arrivando per via di terra al porticciuolo di Valenza ove generalmente le imbarcazioni approdai no per via fluviale. Ernesto Quadrone Tempesta sul Po (istantanea del pittore Bòccalatte).

Luoghi citati: Bologna, Valenza