L'assedio di Torino: il Santo

L'assedio di Torino: il Santo Piemcgfe tfwcryicyc j^Uc&gAg <TIf L'assedio di Torino: il Santo "Le chiese sono le nostre cittadelle", proclama padre Sebastiano Ualfrè; e quasi ottantenne, impauido, sereno, sorridente, sotto il bombardamento francese corre da S. Filippo e dalla Consolata ai bastioni, conforta i morenti, rianima i feriti, prouuede ai poueri, fiducioso sempre nella uittoria. g il Santo dei soldati e del popolo, è la fede di Torino tutta In una nuda stanzetta del Mastio della Cittadella ogni sera, finita la spossante giornata che dalle prime ore dell'alba l'ha visto aggirarsi sui bastioni a ispezionare, a dare ordini, a lodare e punire fra il tempestar delle palle e lo scoppio delle mine, un ufficiale apre uno sgualcito quaderno e si mette a scrivere. Le imposte son serrate perchè dalla finestrella non trapeli lume. Qui sulla tavola è la pianta dell'intero sistema difensi- MispSMcctmgvsvo, dalle controguardie di San\vMaurizio e di San Lazzaro ai ri-" dotti dì Vanchiglia e del Valentino, e su verso la collina fino ai forti del Giaglione e del Milanesio. Robusta la linea di Valdoc protegge, con la ridotta del Ponte, il Borgo del Bilione. Oggi stesso, davanti a questo trincerane, egli ha collocato, d'accordo col maresciallo Danti, una batteria avanzata di sei pezzi con la quale ha potuto prender d'infilata la « parallela » di recente scavata dai francesi, seminandovi la strage e il panico: altro esempio di quella che fu detta « l'offensività rara » del presidio torinese, e che sarà il fattore principale della resistenza vittoriosa, coronata dalla liberazione. Sotto il bombardamento Guai se cosi non si facesse, se\ lcvsscllqpssnon si opponesse ad. ogni attacco\un contrattacco, se al grandinar delle bombe, delle granate, dei sassi non si replicasse con un fuoco ugualmente vigoroso e micidiale pur economizzando al massimo quella, benedetta polvere ch'è il sangue stesso della difesa, e che il Daun implora da Vittorio Amedeo II galoppante per le campagne alla testa dei suoi squadroni, e che il Duca si studia con ogni mezzo di far entrare nella città assediata. Guai se si desse la sensazione al popolo — per paziente e coraggioso ch'esso sia — di subire passivamente il bombardamento. Tutti eroi? Come si potrebbe pretender questo da quarantaseimila abitanti? Nei quartieri fra Porta Susina e Porta Palazzo, benché protetti dai bastioni di Sant'Avventore, della Consolata, di San Solutore e di Sant'Ottavio, non c'è più una casa intatta, ed è proprio un miracolo (t Sì, è un miracolo della Mudonnu che protegge Torino e che ci darà la vittoria; ma voi, fratelli, dovete pregare e sperare », continua a ripetere con la sua impavida sorridente fede padre Sebastiano Valfrè) se il Santuario della Consolata dove l'Ostia è continuamente esposta fra le tremule luci delle mille candele avvolte dai fumi degli incensi sull'altare, è finora rimasto illeso. Ma nella casa. Marchetti ben otto persone son morte, crollato il tetto in uno scoppio spaventoso; e da palazzo Vercellis son state portate fuori tre vittime sanguinanti. Un caso orribile è avvenuto proprio ieri, che un solo colpo ha straziato una donna che aveva allora partorito, e con lei il bimbo appena nato e la nutrice; e presso l'Arsenale una palla da cannone il 2k giugno ha massacrato cinque soldati tedeschi e una popolana, e chi sa che altro sconquasso avrebbe compiuto se il proiettile non fosse stato fortunatamente arrestato « dall'ostacolo di un grosso bue che se lo prese nel ventre ». Queste notizie corrono per la città, accolte con raccapriccio; ma « non gioveranno a far arrendere un'ora prima la fortezza ai francesi ». Al chiarore fioco d'una lucerna, deposta su una sedia la parrucca e la spada, l'ufficiale riepiloga la giornata, medita e scrive. Scrive per l'avvenire e per la Storia, perchè da tutti e per sempre si sappia con quale abnegazione di popolo, con quale valore di combattenti, con quale perizia di capi sia stata difesa nel 1706 l'orino. Potrà venire ucciso domani mentre con Antonio Bettola, l'avvocato che è divenuto il capo degli ingegneri militari, discuterà sulla linea del fuoco il miglior modo di far pagare il più caro possibile ai francesi il necessario abbandono delle tre frecce di terra e legname costruite davanti al bastione del Beato Amedeo ed alla Mezzaluna del So^"orso: lui appostando cannoni sitili, strada coperta della controguardia, l'ingegnere facendo apprestare dal capitano minatore Bozzolino fornelli di mina sotto ogni freccia per seppellirne fra le macerie i baldanzosi avversari, non appena le avranno occupate. Che importa? Un soldato di meno al Duca, un eroe di più per la gloria piemontese. In questi momenti non è la vita di un uomo che abbia peso, quand'anche si tratti del comandante generale dell'artiglieria, conte Giuseppe Solaro della Murgherita. Fuori brontola cupo il cannone? Il bombardamento non sosta neppure dì. notte contro l'Opera a Corno che protegge Porta Susina e la Mezzaluna di San Maurizio che la spalleggia? A piacer vostro, signori, francesi, che consumate fino ad ottomilatrecento palle e bombe ni giorno e quasi mille nibbi (circa novemlla chilogrammi) di polvere. Logorerete i vostri pezzi, prima che logorata sìa- questa nostra, certezza nella \vittoria finale. Da una parte o dal " \ l'altra il soccorso verrà, prima che — solo per mancanza di polvere! — si sia costretti a lasciarsi scannare sui bastioni diroccati: e si ostinano a crederlo, con sublime cocciutaggine, il conte Dami e il marchese Cnraqlio, il conte d'Ailery e il maresciallo di campo Della Rocca. d'Arazzo, i sindaci Nomis di Valfenera e Boccardo, il quasi ottantenne arcivescovo Vibò e l'infaticabile di carità e di zelo padre Vàlfrè. E questo, solo questo importa. E per questo Torino sarà salva. Il « Diario » del Solaro Cosi nasce, sera per sera, scritto in lingua francese ma con animo italiano, il Diario del conte Solaro della Margherita, stampato ad Amsterdam la prima volta nel 1708 e, dopo altre tre edizioni sempre senza nome d'autore, \fau„ pubblicare a Torino nel , e a e e e , s e o e i ; a a l o e a , a a e a e o a r i o e el a a o e o e i, e. o ti el ea 1838 dal Re Carlo Alberto, a cura del Cibiario e del-Datta, col titolo Journal Hìstorique du siège de la Ville et de la Citadelle de Turln en 1706. Pagine asciutte e scarne, pagine da soldato più che da letterato (quantunque l'autore fosse anche poeta), tenute da Vittorio Amedeo II inedite in Piemonte forse — dice la prefazione — « per un riguardo verso la Francia, cui la fortuna era stata contraria in questa circostanza, od anche verso la sua Augusta Sposa, ch'era Sorella del Duca d'Orléans che comandava l'Esercito nemico e fu ferito durante l'assedio »; pagine che oggi, dopo dnecentotrentatre anni, in tempi mutati, si rileggono con commozione pari alla fierezza. Amabili fogli che da poco han compiuto un secolo, di densa pasta tuttora cricchiante, a bei margini larghi, respiranti, ad interlinee generose ed a nitidi caratteri, che cordiale offerta alla pacata lettura. E' la piccola, invitta Torino che risorge, materialmente e moralmente compatta, in una fantasia che s'abbandona al fluir della Storia. E' la salda Torino tutta chiusa di mura, con Porta Susina all'incrocio di via Garibaldi e via della Consolata, Porta di Po ove ora comincia piazza Vittorio Veneto, Porta Palazzo nella località omonima, Porta Nuova al crocicchio di via Roma e via Andrea Doria; limitata da un perimetro che per questi quattro punti segue una linea irregolare che da piazza Vittorio sfiora la piazza Cavour di oggi, la Porta Nuova d'allora, l'Arsenale, corre lungo il primo tratto di via S. Francesco d'Assisi, raggiunge via della Consolata, scende fino a questo Santuario, prosegue verso il Giardino Reale, costeggia corso S. ' Maurizio per toccare nuovamente lo sbocco di via Po. Robusta e stellata nei suoi cinque bastioni, tre rivolti alla campagna e due all'abitato, è la Cittadella, che occupa il quadrilatero fra vii Cernaia e i corsi Re Umberto, Oporto, Vinzaglio; e tutta la collina (che suggestione da antica stampa pensarla così!) fra « vigne » signorili e cascine contadinesche, è seminata di ridotti e bastie che di lassù, appunto dall'odierno colle del Fortino a quasi quattrocento metri d'altezza, il solido forte d'Airasca domina. Cara Torino d'un vago immaginare in ore pigre, qualcosa pur io darei per ritrovar l'abbaino che Vittorio Amedeo II, nelle sue frequenti visite notturne alla Consolata, scorgeva su quegli umili tetti là intorno sempre illuminato. — Chi veglia in quella soffitta?. — Altezza Reale, è un pollerò studente nizzardo, che passa le notti a studiare —. E il Duca ne prendeva nota, lo faceva chiamare a Corte, e lo studente diveniva un giorno il Gran Cancelliere Caissotti. Fede e valore Piccola vita; ma quanto alto sentire. E commentavano cent'anni fa gli editori del Diario: « E' commovente vedere come l'Autore, nel mezzo del racconto di tanti fatti d'arme micidiali, s'arresti con compiacimento su, questo Esercito, su questo Popolo religioso e devoto che ora gremisce le chiese ed ora corre sulle mura, che respinge gli attacchi dei nemici senza mai scordare di chiedere, anzitutto, il coraggio e la forza a Colui che solo può concederli ». E' lpàtnlt«mAcEspslCacaEfsmcltccdrDdpbnDlsp e r , o , , , r i i a a e a a i i a n i i , à i e a , o o E' i i o e e i e, a E' l'eco delle parole che il padre filippino Sebastiano Valfrè, il confià'ente, l'amico, il confessore di Vittorio Amedeo II, scriveva al Duca nominato nel 1692 comandante saliremo delle forze confederate contro l'esercito francese del Catinai: « L'essere Generalissimo dell'Armala dà un nuovo impegno a V. A. R. d'intendersela sempre meglio col sovrano Generalissimo degli Eserciti, Dio, e però procuri nelle sue risoluzioni d'aver sempre il placet del medesimo, col cui aiuto sa quanto si può... Procuri che nell'Armata non. vi sia scarsezza di Confessori dotti, pii, e zelanti, che accorrino al bisogno, e sappialo con esortationi, et orationi ten°rr a loro dovere li Soldati, et Ufficiali... Ecco quello che ha osato dirgli chi fra i beneficati è il massimo, e fra suoi servitori e sudditi il minimo... », Fra i beneficati il massimo, perchè il Duca gli aveva consegnato la chiave del suo scrigno onde potesse, a suo talento, senza ateun controllo, soccorrere i poveri; perchè dal Duca aveva avuto licenza di abbandonarsi tutto al suo ardore di carità e di pietà; perchè nel Duca aveva trovato il sovrano che divideva con lui l'infinito amore per il popolo, la, fiducia nei combattenti, la speranza incrollabile nella, vittoria; perchè questo suo Duca gli aveva concesso di esporre la vita sulle mura, di avventurarsi per le strade sotto il bombardamento a confortare i moribondi, rianimare i feriti, incitare al supremo sforzo i difensori di Torino Vecchio di seltantasette anni (eia nato a Verduno presso Bra il 9 marzo 1629), acciaccato, Ingoiato da una lunga vita di sacrifici e di privazioni per il prossimo, ma sostenuto da una fede int^-ep'da, allietato sempre da un jandore meraviglioso che neppure la. varia malvagità umana e l'insidia di una vasta dottrina avevano potato scalfire, il Beato Valfrè, nei tra gici mesi torinesi dell'estate 1706, ci appare come una di quelle sta pende figure di religiosi 'nanzoniani la cui inimitabile statura morale, nei momenti più tristi e disperati, ritorna ad ammonirci che al tanto male che v'è nel mondo bisogna saper opporre — confidando — il bene. Se i Promessi sposi fossero nati in Piemonte, certo il popolare « padre Bastiano » sarebbe stato un altro fra Cristoforo, un altro padre Felice, quel del Lazzaretto, quasi un altro Federico Boi-romeo. Il pianto del Duca Miracolosa abnegazione non mai accigliata od austera, ma in ogni istante sorridente per intima allegrezza di speranza, e premurosa, cordiale, familiare fino all'umiltà. Difficile compilo questo giungere con semplici, umane parole iqual povera arma la parola contro animi corazzati di oscuri, molteplici egoismi!) al cuore di combiHenli induriti, inaspriti da west di lotta, di fatiche, di rischi. V'eran, fra quei soldati, i cattolici e i luterani, i pavidi e i rapaci, gli avventurieri e i malfattori. V'era uni all'esortazione rispondeva con la sghignazzata, v'era chi allontanava la mano caritatevole con un gesto di sprezzante volgarità. E bisognava correre — con quelle povere gambe d'ottuagenario — dai morenti sui bastioni e nella Cittadella agli imprigionati nelle carceri senatoriali, sciagurati anch'essi che avevano apnrtfl'.t.uo della pubblica calamità; e lungo il percorso quante volte curvarsi sulla donna stremata dalle privazioni, sul bambino piangente smarrito, ed arrestarsi poi a sventare un fosco proposito di decisione, c chiedere a chi comandava la clemenza, e convincere chi ohbediva ni dovere. Ed alla sera irovire ancor tanta forza in quel misero corpo stremato da aggirarsi guardingo ed amorevole pei oortu.i bui di piazza San Carlo due dormivano accantonate le truppe ed etano stati ammassati cariaggi perchè ogni tentazione di nialcostume fosse allontanata. Toslinionia un contemporaneo: «Per togliere l'offesa del Signore uscivi di notte tempo e circa la mezzanotte, andava girando attorno quei portici, visitando quei carri, ed ove trovava che gli potesse esser pericolo dell'offesa del Signore, dava avvisi salutari a quelli soldati per distoglierli dal mule ». Quindi ni mattino presto, in piedi in via Po a scodellare sotto quegli altri portici la minestra dei poveri, e distribuirla con equità a quei meschini che il bombardamento aveva scacciato dalle case della città vecchia ed ammucchiato come greggi nel brulicante accampamento. Tanta e così diffusa era la sua autorità morale che il suo nome serviva di passaporto persino nel campo francese; il nemico stesso s'inchinava a quello zelo perchè sapeva che la carità cristiana del Valfrè accomunava in un solo slancio chiunque soffrisse, chiunque avesse bisogno d'aiuto; e che per lui un prigioniero non era più un avversario ma un infelice che andava soccorso. Pure nessuno accolse con maggior gioia la tanto invocata vittoria delle armi sabaude. Ma la sua non era la felicità di chi vedeva svanito un incubo angoscioso: era la tranquilla, conscia letizia di chi non aveva mai dubitato nella giustizia divina che alla difesa torinese dava forza, e che sempre aveva ripetuto che le chiese erano altrettante cittadelle. Alla vigilia della gran battaglia, il 6 settembre,- al 'ice curato Bernardi, di San Filippo, che lo interrogava ansioso, risponderà col solito viso ridente: « Non vi mettete in pena, siate pur allegro, che dimani saremo liberati ». Accanto a Giuseppe Cattolenga edd'Ssu1suSppCiltcleegicnscceleDfinvetgspplnsetucapolvdpvtcmdmsacnmp ed a Giovanni Bosco è ben degno d'andar terzo Sebastiano Valfrè, il Santo dell'Assedio di Torino. La sua agonia serena, il 30 gennaio 1710, vide in ginocchio nelle chiese, nelle case dei ricchi e degli umili, sull'acciottolato della via di San Filippo sotto la finestra della povera stanza da lui abitata, il po polo intero. E non il popolo solo. Curvo su quel tettuccio da asceta il salvatore di Torino, il combattente impavido di tante battaglie che sul suo corpo non contava più le ferite, il sovrano amato, riverito e temuto, il Duca di Savoia pian geva. Marziano Bernardi Il più autentico ritratto del Beato Sebastiano Valfrè, dipinto pochi anni prima della sua morte, e già con l'aureola del Santo (proprietà, della famiglia Vigna, discendente del filippino). La chiesa della Consolata ai tempo di \da una aulica stampa colorata della Sebastiano Valfrè raccolta Rourlotj,