"LA STREGA,, di Francesco Bernardelli

"LA STREGA,, A Firenze quattro secoli dopo "LA STREGA,, FIRENZE, maggio. Primo spettacolo di prosa all'aperto del « Maggio Fiorentino » sarà La Sfrena del Grazzini. Poi si farà l'Aminta di Torquato Tasso. Ad Anton .Francesco Grazzini, spirito bizzarro, davano fastidio nel teatro del suo tempo le imitazioni dell'antico. A* parole, che poi nei fatti anch'egli, derivando dal Bibbiena, dall'Ariosto, da Lorenzino de' Medici, derivava, senza accorgersene, dai comici romani, tanto più indifeso che di cose classiche era piuttosto ignorante, e sapeva appena un po' di latino. Tant'e, alla commedia classicheggiante ed erudita egli contrastava con ottimi argomenti, deplo randone gli artifici, e alla vita re snpst_ mota di Atene e Roma opponen- >do il vivere e il costume della sua Firenze. Generosa e bellissima città di Firenze, come si legge nell'Introduzione alle Cene; e l'amava di un amore frizzante, spiritoso e tenace, e ci stava a meraviglia, allegro e beato, come quegli che proprio è nel suo elemento e respira l'aria di casa. Vissuto attraverso tutto il secolo, nato nel 3503, morto nel 1584, il Grazzini è soprattutto questo: un tipico borghese fiorentino del Cinquecento; egli rispecchia perfettamente nell'indole, nei gusti, nelle abitudini, nell'opera, quella media vita, lieta, epicurea, maliziosa, senza preoccupazioni morali, ma fervida di spiriti ameni, di curiosità, di lucida intelligenza, molto letterata e un po' pettegola. Speziale, il Grazzini aveva farmacia, detta del Saracino, al Canto della Paglia, e certo per le vie cittadine, nelle botteghe, sul mercato, andava cercando e assaporando il linguaggio, vogliamo dire l'estro, il sentimento, la realtà acerba e faceta del suo popolo, e a quel confronto le immaginazioni, le invenzioni del novelliere e del poeta burlesco acquistavano un che di spontaneo, vispo, immediato. Ma egli frequentava poi assiduamente le brigate letterarie che erano, è vero, brigate di buontemponi, pronti alla burla, e allo spasso, ma che tuttavia, per un certo impegno dilettantistico, pel virtuosismo un po' ozioso, già sentivano alquanto di pedanteria e d'accademia. Cosi egli si trovava alla tornatclla di amici in casa di Giovanni Mazzuoli, detto lo Stradino, e alla sequenta di Lorenzo Scala, e al raddotto del mereiaio Visini, e, nelle sere d'estate a improvvisare sul Ponte a Santa Trinità. Cosi fu tra i dodici fondatóri dell'Accademia degli Umidi, ch'erano i giocondi e spensierati compagni dello Stradino; e dovendo ogni accademico scegliersi un soprannome che fosse in relazione coll'umidità, egli si chiamò, allora, il' Lasca. Ma quando poi quella dome-; stica e bonaria Accademia, tra il 1540 e il 1547, si venne trasformando nella solenne e pomposa Accademia Fiorentina, il Lasca, per le sue spregiudicatezze e intemperanze, ne fu espulso. E si pensino le vendette; sarcasmi, sonetti velenosi, poesie alla bernesca. Ma nel '66 vi era riaccolto; e, messo ormai per quella via, nel 1582, con Lionardo Salvati, fondava addirittura la più illustre delle vecchie Accademie italiane: la Crusca. Faceto e ghiribizzoso Salace, amante delle partite allegre, delle beffe — si vedano le ingegnose e a volte atroci beffe delle Cene —, un po' greve di sensualità pur nel capriccio e nello umor satirico, il Grazzini fu essenzialmente letterato, fluido e fecondissimo; scrittore di innumerevoli sonetti, canzoni, capitoli, madrigali, e di novelle e di farse e commedie. Studioso di poesia italiana, a lui si devono preziose raccolte di « Rime », e tra l'altre importantissima quella dei Canti carnascialeschi (1559). E poiché ci occupiamo di teatro crediamo giusto ricordare che proprio in un canto carnascialesco del Lasca si trova il primo accenno ai comici di professione: Facondo il Berga-maiico c '1 Ycnizinno n'andiamo in ogni parte. c '1 recitar commedie è la nostr'arte. E l'arte sua. di lui, è appunto alcunché di pittoresco e istintivo, di improvviso, e di ingegnoso, e di un po' affatturato, come forse l'arte di quegli attori, non giunta a perfezione grande di poesia, ma tratta a. flore del discorso giocondamente: qualcosa che sta tra la verdezza popolaresca e lo scetticismo e l'arguzia borghese e una curiosa sfumatura d'accademismo irrequieto e quasi caricaturale. Perchè il Lasca è un fiorentino: ossia uno scrittore « realista », ma capriccioso, con un che, un nulla di fantastico. Come dire? Dal Sacchetti al Grazzini al Palazzeschi, in quelle figurine — scrittori e personaggi — pur cosi precise, nitide, contornate, ' ci si sente un estro che si impenna e divaga. E il buon senso, il senso del reale, l'umore, sono tesi e lucidi tanto che vi par di scorgere, nel segno tagliente delle cose, un margine di malizia evasiva e quasi inafferrabile. Sapete: è il « palio dei buffi ». E un antico biografo del Grazzini descrivendone l'insegna, una lasca alzata per lungo nello scudo, con sopra una farfalla volante, scrive: « Ben è vero ch'io riconosco mol to allusiva al carattere del Lasca questa sua insegna; perciocché il suo naturale portandolo nelle sue composizioni allo stile faceto e ghiribizzoso, finge che quel pesce, siccome è solito, si lanci fuori dell'acqua a pigliare le farfalle, che per loro incerto svolazzamento sono figura de' ghiribizzi dell'umana fantasia ». Delle varie commedie del Lasca, La Gelosa, La Spiritata, La Sibilla, La Pinzochera, l Parentadi, questa, La Strega, è da vari studiosi considerata la migliore e più viva. Scritta tra il 1545 e il 1550, mai rappresentata, pubblicata nel 1582, non è — fu osservato — commedia di carattere o di costume come il titolo potrebbe far 6upporre, ma di intreccio; il per- sonaggio che le dà titolo non è per nulla il più importante, nè è particolarmente caratterizzato; il personaggio più importante è semmai Taddeo Saliscendi, una specie di « Miles gloriosus », di Pirgopolinlce fiorentino, e in certe sue note il Grazzini scrisse infatti La Stretta o La Taddea. Alla commedia va innanzi un dialogo arguissimo tra Prologo e Argomento che si ritiene scritto dopo il 1566, e che non ha direttamente a che fare con la commedia. Vi sono dette cose sensate e pungenti; con la critica del teatro classicheggiante, degli apparati pomposi, degli intermedi assurdi, vi si dichiara che questo non è teatro fatto da principi nè da si- gnori, nè in palazzi ducali e si- >gnorili| e che £0n avrà quindi fa_ sto di scenari e decorazioni. Se E o o i . i a n : a l e e , i , i , , ù , l — r l'altro spettacolo che il « Maggio fiorentino j> va allestendo, ì'Aminla, rappresenta proprio il teatro delle Corti, il teatro aulico, splendido di varie armonie e raffinatezze, questo del Lasca, con gustosa opposizione, rappresenta il teatro semplicemente comico, cittadinesco e borghese. La commedia I casi della Strega son questi. Un certo Fabrizio s'è messa in casa d'una vecchia, monna Sabatina, una sua amante, la Bia, e ve la tiene a insaputa di tutti. Una sera, dalle parti di Santa Maria Novella, si sente tirar d'accanto dall'amico Orazio, che, da tutti creduto perito in un naufragio, è in vece innanzi a lui, truccato, a nar rargli le sue avventure, e a pregarlo di procurargli un alloggio, che anch'egli ha una donna, la Violante, da tener tutta per sé in qualche sito, segretamente. E' costei una ragazza genovese, scappata di casa. Orazio è invece fiorentinissimo, figlio del vecchio Luc'Antonio, che abita proprio li, nei luoghi della scena, e fratello della Geva, vedova, di cui Taddeo Saliscendi è innamorato. Se si aggiunga che Taddeo, poiché Luc'Antonio si oppone alle sue nozze con la Geva, è deciso a partire per la guerra, e che di ciò la madre sua Bartolommea e lo zio Bonifazio sono costernati, che in caso di morte di Taddeo i suoi beni andrebbero a Santa Maria Nuova ed essi rimarrebbero poverissimi, si hanno, dal più al meno, tutti i dati da avvolgerci poi attorno le fila della commedia. Orazio e Violante vanno anch'essi a rifugiarsi dalla servizievole monna Sabattina, e le due coppie non domanderebbero di meglio, non fosse la mancanza di quattrini. Ora, quel Fabrizio è un traffichino, un furbo che si dà attorno con invenzioni e inganni. A Bonifazio e a Bartolommea confida che la Sabattina è una gran maga, una strega, capace di miracoli, e di far si, con le sue incantagioni, che la Geva se ne venga lei stessa a casa di Taddeo a supplicarlo di torla per moglie. Ma ci vogliono, per la magìa, certe figurette d'oro fino, ossia qualche centinaio di ducati, che saranno buoni, egli commenta, per le male spese. A Luc'Antonio poi tien viva la spe ranza che il figlio possa ritornare; e domandandogli il vecchio come lo sappia, anche a lui pur confida che monna Sabattina, per via dei diavoli, glielo ha rivelato. Giunge intanto a Firenze madonna Oretta, madre di Violante, e si imbatte nella figlia che esce di chiesa con Sabattina. Ma Violante finge d'essere un'altra, e rifiuta assolutamente di riconoscer la madre, e alla povera Oretta piangente soccorre Luc'Antonio, che scopre in lei la vedova di un amico suo E' facile intendere come vanno le cose. Ripresentandosi Orazio al padre, e poiché la Violante non fu d'altri che di Orazio, e i due s'amano, e i genitori vedon di buon occhio il parentado, questo matrimonio è senz'altro combinato. Ma anche quello di Taddeo e della Geva è consentito; prima, ritenendo perduto il figlio, Luc'Antonio desiderava per la figlia un partito migliore, ma, ritornato il figlio a casa, vada pur la Geva a nozze con Taddeo. Sicché — con o senza incantagioni — tutto finisce per il meglio in un convito di trenta persone. Modo di dir le cose Gli studiosi hanno messo in luce l'affinità di quésta commedia con il Negromante dell'Ariosto e i Supposti e la Scolastica; derivazioni e contaminazioni che ci riportano indirettamente alla gran fonte dei comici classici; ma vi è pure l'influsso della novellistica, come anche rilevò Giovanni Gentile in un suo saggio eccellente. Questo teatro, in fondo, non riesce a staccarsi del tutto da quello che era lo spirito intimo e proprio del Lasca: lo spirito del novellare, del raccontare, tra sali e facezie, avventure straordinarie, buffe, curiose. In quanto ai personaggi, Taddeo e il suo famulo o ragazzo Farfanicchio spiccano per grottesco e spassosissimo risalto; Taddeo è smargiasso, ma con si lepida prontezza a ripiegare dai propositi di guerra nel tepore confortevole della vita casalinga, con si ingenua e verbosa e capricciosa viltà di ragazzo viziato, che il suo tipo, di fronte a quello convenzionale dei millantatori classici, può apparire nuovo, tolto dal vero, dall'intimo di una minuta realtà domestica e burlesca. Sono proprio, lui e ii suo malizioso, irridente compagno, due personcine degne della migliore, e più festevole arte minore fiorentina. E la grazia pungente, quasi la levità del tratteggio, pur nella sguaiataggine dell'assunto farsesco, è forse data da questo, ch'essi sono affidati soprat tutto al brio dell'espressione verbale, alla naturalezza vivacissima, saporosa, furbesca, di un discorso che è di per sè movenza e atteggiamento comico. Qui va osserva ta e gustata la piacevolezza lette raria e paesana del Lasca; in que - sto suo modo di inserire la verità ditdenmcpudpdddgL in un in iiiiiiiiiiiini i i di un tipetto, la satira del costu-line, il senso realistico e immedia- to del tempo suo, della sua città, i del suo popolo, nel disegno, netto ie fiorito, della parlata — quel do-jno di trarre unicamente dalla ma-jmerà di dir le cose, la virtù delle icose. !De Sanctis scrisse che il Lasca I pur dovendo molto al dialetto ha1 un'intuizione delle cose che te lejdà scolpite in rilievo. Ma si tratta'poi forse di un fatto solo: un ve-[dere e dire, un dire e far nascere, id'istinto. Nel convenzionalismo |dell'intreccio e dei tipi della 8 tre- j ga, la vivezza di Bonifazio, di i Lue'Antonio, di Sabattina, di Tad-1 ldeo e di Farfanicchio, della loro) q vita un po' teatrale un po' reali-Jp i stica, sorge dall'agilità fluida e in- j u icisiva del motteggiar fiorentino. ;pjdallo stile giocondo e irresjstibil- rjmente appropriato, che ti dà cosi e iconcreta e spontanea l'immagine.! !;ome se nell'immagine già tutto n I fosse risolto, sentimento, azione, u1 personaggi. Se il Lasca non seni- l'jpre seppe difendersi dall'esempio c'dei classici e degli eruditi ,in ciòit[tuttavia tenne fede al suo impe-jr igno: in questo fu veramente sciit-is |tor comico fiorentino, e diede alla r j fiorentinità del suo tempo brio e c i festevolezza d'arte. E nella punta ir1letteraria del suo spirito appare!c quella leggera e un po' vaga ca-lupricciosità di fantasia, o estro, o! vumore, che, come dicemmo, sem-jtpre diede l'ultimo tocco alle figuritre dei fiorentini autentici, scrittori d e poeti. .v La Strega sarà rappresentata g nella Piazza de' Peruzzi; ossia in d uno scenario tutto carattere, ove c l'atmosfera della Firenze cinque- jl centesca potrà essere agevolmen-j tte restituita; Luigi Bonelli, che ha driveduto la commedia e l'ha divi-Insa in tre parti, e Giorgio Ventu-jnrlni, regista, vogliono trarre oc- acasione dallo spettacolo per offri-; fre un quadro della vita dell'antica j città; alba, meriggio, tramonto,! una giornata dallora, con il moversi e 11 passare di figurine, di tipi, di fuggevoli pittoreschi aspetti del costume, e voci e rumori della strada, e suono di campane: vario atteggiarsi di un popolo ar¬guto attorno alla piacevole trama della commedia. L'idea è curiosa.come quella che tende a rimettere 'invenzione del Lasca nell'ambiente che fu suo, a ritrovare, per quel dialoghi sapidi e lieti, l'intonazione del tempo: realistica traduzione in immagini degli spiriti che ancor ridono dalle carte con si fresca festevolezza. Francesco Bernardelli