CALZETTA ABBANBONATA

CALZETTA ABBANBONATA CALZETTA ABBANBONATA A metà del viaggio il pensierojmbrrendo s'impadronì di lei e, fu rcome se qualcosa di gelido, di vi- ecido, di sinistro le fosse d'ira-qpiovviso caduto addosso, q(talco- fts. di simile a un serpente che la 'cstringeva nelle sue spire. Stette —un momento immollilo, a bocca aperta, e come paralizzata, poi si vaiTrettò a svegliare il marito che russava nel cantuccio del vagone. •— Cosa c'è. Carmela?.., — Oh, linciano, e se Osvaldo fosse... morto;... gEgli sobbalzò, sgranò "li occhi,'1• per un poco non potè riacqui-1ts|tjurstare il fiat ~ Ah, tu hai una vera specialità ne! pineuranni dei buoni risvegli!... E dire che dormivo così bene!... Come fare, adesso, a riattaccare il sonno?... ,— Ragiona un momento, Luciano. Da quanto tempo è cheLOsvaldo non scrive più? E da Tquanto tempo che le lettere di Felicia sono strane, rade, sibilline e. piene, si direbbe, di sospiri? K perchè tu stesso sei rimasto impressionato dalla sua ultima, così stramba, misteriosa e tale da allarmarti!... Perchè?... Perchè ti sei deciso a un tratto di partire nonostante il lavoro?... Perchè?... — Perchè... Si capisce il perchè. Son tanti anni... nove, dieci, che non vediamo Osvaldo. Senza contare che avevamo tutti e due bisogno di un po' di riposo. Io ho fatto i capelli grigi e tu guardati un po' nello specchio: sei la metà di quella che eri!... Docilmente, come se non potrsse fare, a meno di obbedire a quell'ordine, ella aprì la borsetta e si guardò nello specchio: come brillavano i diamanti che aveva al collo e alle, orecchie!... ^la certo il suo viso era diventato lungo e stretto, e conio consumato dall'ansia, dalla fatica, dalla fretta e dall'avidità di guadagnare, di ammassare una fortuna, quella grande fortuna che avrebbe dovuto servire a Osvaldo per fare il gran signore, per trovare una moglie ricchissima, e perchè no?... anche nobile, per fodere insomma di tutte quelle _ ellezze della vita che loro due. in quella, dura vita di impresari di costruzioni, non erano mai riusciti ad assaporare. Osvaldo... Carmela ricordava ancora la gioia tumultuosa, provata alla sua nascita, quel fre mito d'orgoglio immenso che nulla aveva fiaccato, neppure i fisico così miserino del piccolo nato avanti tempo. Sembrava che non avesse neppure, la capacità di respirare quel povero esserino livido e miagolante, e le cure, le trepidazioni erano state incessanti intorno alla sua culla per avviarlo piau piano, se non alla robustezza, almeno a una relativa normalità. Egli aveva, pochi anni quando i suoi genitori si erano gettati nel lavoro con una specie di furia. Imprese su imprese, e quasi tutte in paesi lontani, e il tempo passava come se volasse, i guadagni si accumulavano e il pensiero dei due coniugi era più che mai fisso alla fortuna di Osvaldo, al suo av dtcguvs,lndmanuetcrpmcdvenire, alla sua felicità. Nulla sarebbe, stato abbastanza bello per lui!... Sognare <li lui e del suo futuro, era l'unico riposo che si concedeva Carmela qualche minuto al giorno, qualche óra alla notte, rubandola al sonno e smaniando per la. nostalgia del figlio, per il desiderio folle di rivederlo, di riabbracciarlo... Quando si alzava, ella non mancava mai di scrivere a Felicia per raccomandarle una volta di più il figlio affidalo alle sue cure. Felicia era una cugina, l'unica parente che avessero i due coniugi. Una matura zitella, pia, fidata, scrupolosissima, e discretamente provvista, tanto da dedicarsi al ragazzo affidatole, non certo per amore di lucro, ma soltanto per bontà, spirito di famiglia, e gentilezza di cuore. Tuttavia ella non perdeva occasione di sospirare, di lamentarsi, sia pur dolcemente, della difficoltà di un simile compito, lei che aveva paura delle responsabilità! « Fortuna — scriveva a Carmela — che Osvaldo è la creatura più mite, più docile e remissiva che il buon Dio abbia mandato in terra, un vero auge lo. Con tutto ciò io non trascuro' nulla per renderlo sempre migliore, non gli permetto di frequentare, amici, non lo porto mai fuori di sera, egli è tutto scuola e casa. Figurati che mi tien sempre compagnia, talvolta mi-aiuta nei miei lavori e ti assicuro che è bravo nel far la maglia, bravissimo... Ha cominciato una calzetta, spero che la porterà a termine... ». Carmela nascondeva quelle lettere, perchè temeva che al marito quell'affare della calza non andasse giù. Lei invece ne restava commossa, le pareva che Osvaldo fosse sempre lo stesso piccino, gracile, paliidino, e quieto quieto che se ne stava seduto Bill paucheltino ai suoi piedi... Ahimè!... Troppo giacile, troppo quieto, troppo silenzioso... A suo marito ella non avrebbe detto più nulla, ma vedeva bene che edi non poteva più riprender sonno, in quanto a lei sempre più ri sentiva stretta tra le spire del serpente terribile. Se alla staziote ci fosse stato solo Felicia... Alla stazione Felicia era sola. Sola, e irriconoscibile. Cappello per storto, viso in fiamme, occhi jlia rjarevan bruciati dalle lacri- jme. Carmela si aggrappò al ma riti), J,0 vedi?... 11 marito la sorresse, inghiottì qualcosa, strabuzzò gli occhi in faccia alla parente- e domandò 'con un voeione da far spavento: —Come sta.?... — Oh?... fece con un fil di voce la povera Fejicia. — Osvaldo, perbacco!... — Bone, di salute... — Alla buon'ora!... i si scrollò di dosso la ilio- glie, si sbracciò a chiamare i fai--jm'1''1'11' p caricò tutto e tutti in un 1tassì. Nel tassì la povera Folicia si mise a lacrimare e a spiegare |tutto, ma nello sfogarsi faceva juna gran confusione. — Ali. cari miei, una simile responsabilità!... Non me lo per- ttcdtptlddL, Tanti propositi szndonerò mai... lo che avevo presoIotutte, le precauzioni!... Non me ctta. , sche contesso la sua fatale negli-;pgetiza. ^ I c— Tutte le precauzioni menolvuna: ho preso una servetta gio-j cvane, canna... ELa servetta giovane e carina rstava nella, sua stanza e da quel- , , 1 la stanza usciva uno strano ri ne consolerò mai... Tanti sogni.. Ma in nome di Dio. Fu alla fine della corsa, salendo le scale, arrivando all'uscio. more, un rumore che sembrava a un miagolio, ma ascoltando bene si rivelava, chiaramente per un vagito. Inquanto a Osvaldo entrò nel salotto calmo, disinvolto, quasi fiero: — Caro papà, cara mamma... Il vecchio sogno (una moglie ricca, e magari nobile.) giaceva a pezzi lì sul tappeto del salotto, ma i due non osavano aprir bocca, era diventato troppo alto, Osvaldo, per sgridarlo, alto, e bdiverso da prima, un uomo ehe| parlava, con tono di autorità e diceva, prendendo sotto braccio i genitori, uno da una parte, l'altro dall'altra: — Andiamo a vederli... Felicia, rimasta sola in salotto, si chinò e raccattò qualcosa di abbandonato, una vecchia calzet- .ta sporca., sudaticcia, dura corneifun merluzzo, e da cui i ferri non sarebbero usciti più... Carola Prosperi i

Persone citate: Calzetta, Carola Prosperi, Sola