Leopardi e il suo mito

Leopardi e il suo mito Leopardi e il suo mito Son giusto quaranta anni che omparvero a stampa, a cura di na commissione presieduta dal Carducci, i primi volumi dello Zibaldone leopardiano: e per uanto da principio non destasero risonanze se non fra una cerhia ristretta/li studiosi (allo tesso Carducci ne sfuggì il vero alore), essi segnano idealmente una data molto importante nella toria della fortuna del Leopardi : egnano anzi, con coincidenza pur cronologica, l'inizio della ua fortuna novecentesca. Quella ottocentesca era andata via via crescendo dopo la morte del poeta, sino a raggiungere il olmo con gli studi del De Santis e del Carducci. Ma poi aveva subito una sosta, durante la quale, venuto nelle mani dei pqsitivisti e degli antropologi, il poeta era stato oscurato dall'uomo empirico, il suo spirito dal povero corpo malato. D'altro canto il gusto, dal verismo e dal classicismo romantico del Carducei volgendo ormai, con Pascoli e D'Annunziqv al decadenismo, non era il più propizio al Leopardi. Che D'Annunzio avesse per lui scarsa simpatia, si arguisce, oltre che dal carattere stesso della sua poesia, da alcuni accenni diretti: come da quello che si legge nel Libro segreto: « taluno ammonisce che il gobbo Leopardi verseggiava filologicamente ». Quanto al Pascoli, nonostante certe apparenti affinità di contenuto sentimentale, di esperienza del dolore, egli è ben. lontano dallo spirito di quella poesia: e basti pensare a quelV« errore dell'indeterminatezza » ch'egli le rimproverava a proposito del « mazzolin di rose e di viole » del Sabato del villaggio; dove avrebbe-voluto veder determinate le varie specie di fiori, d'alberi, e di non so che altro. ~ O non nasce forse, da cotesto amore del particolare, da cotesto sostituire a quel nvago» e a quell'n indefinito «che sono prin- cipii fondamentali della poetica leopardiana (ma ohe si traducono poi così spesso, intendianioci, in definita e concreta poesia) ; non nasco torse tutta la poesia pasco liana e, anche, dannunziana! iu non fascera la poesia dei crepuscolari emaciata erede di queste ? D°n ^,qUella del ' fratell° » Leopardi? 0 ' bblidll Zi Leopardi? 0ra' 'a pubblicazione^dello Zihàldone se per questo lato SembraY.a giungere troppo tardi, e ardi anche rispetto allo stato della critica, proprio in quegli anr» ln grande travaglio eli nnnovamento per impulso delle ■ cie co1, D-T Sanctis: ma ln *enere' secondo il suo gusto, aveva accen: nuove, dottrine estetiche; in veni a giungeva, a buon punto per avviare quella ripresa degli stu- di e della fama leopardiana, che, come tutte le i riprese •, doveva richiedere una le nta rnaturazione ™.™?0' co"« S-t™tt°1'i aj"*K ne a X*?*,?™L Z'bfT'n8^ A, Sufi *»• non..difettarono : „da , quelli < „n ' enta cavarne un coerente pensiero estetico. Poi vennero via via nuovi saggi e nuovi studi. La critica leo*ardiana dell'Ottocento era sta¬ t ^ nell'opera del Leopardi i ^ pgic£logjcj ricercandoli, sulla scorta delle Operette, dell'Epistolario e dei Centoundici pensieri, sopratutto nei Canti, Il che significa che essa aveva finito col trascurare, per il poeta, il prosatore. La nuova critica, pro- seguendo e insième correggendole conclusioni della critica precedente, si rivolgeva sopratutto al Leopardi delle prose, mirando a illuminare o integrare il pensiero dplle Operette con quello dello zibaldone. Lavoro lungo e paz^nte. che doveva finalmente trovare la sua sistematica coordi- nazione col Gentile; mentre al- tri_ Spmpre più numerosi, sensi- bili alle esigenze più propriamen- te stilistiche della letteratura postdannunziana, si giovavano. dello 'Zibaldone (e basti ricordare {\ De Robertis) per meglio inten- dere l'arte delle Operette, delle quali pertanto ponevano in risal- to, sul valore filosofico e morale, quello fantastico e poetico, Qoù ner la via dell'arte si tornavà ai Canti; meglio, stu- diando a fondo i nessi fra le Ope re)tr e i Canti si tornava aìpro hiema lasciato insoluto dalla criticaottocentesca, dei rapporti fra ^ „ prinlo „ e «secondo» Leo pardj fra quello dei primi idilli £ delle canzoni e quello dei nuovi callti dei grandi idilli. Ma que¬ Mn Y0;ta per risolverlo, appunto, COn la mediazione delle 0perette; eini, indicando nel cosidotto pe- riodo di i ariditài del Leopardi, corrispondente alla romposiziono di quelle e alla maggior parte delle annotazioni dello Zibaldone, ,m tempo, anzi, di profonda e feconda elaborazione dei suoi motivi- i quali, da. cotesta espe- rienza di « poesia in prosa » e da potestà riflessione critica. presto usciranno arricchiti e lincamen- te potenziati. Concetto senza dubbio importante ; intorno a cui in più direzioni oggi lavora la critica leopardiana, ambiziosa di darci sul poeta quel compiuto studio, quella sintesi di tante sintesi parziali, che ancora ci manca. Al quale fine saranno mezzo prezioso le edizioni critiche delle opere e dell'epistolario approntate con tanta diligenza dal compianto Moroncini. e la nuova edizione dello Zibaldone, curata dal Flora. Ma accanto a questa fortuna, più singolarmente è venuto formandosi in questo periodo quello che chiamerei il a mito » di Leopardi. Intendo quel vagheggiamento della sua opera, da parte di nostri scrittori, come modello e guida alla propria opera ; o meglio — dacché nessun intento pedissequo è in loro — quell'elevare, che essi fanno, il Leopardi a simbolo dei prjpri ideali estetici, del loro gusto, della loro poetica; quel ritrovare in lui alcun segreto di =6. Mito che ta*

Persone citate: Carducci, D'annunzio, De Robertis, De Santis, Moroncini