Le due vendette di S. Bernardino

Le due vendette di S. Bernardino La cacctafa dei ixAixcesi AaAVA\>xt*xxc Le due vendette di S. Bernardino i Questa resistenza, legata alla storia della Repubblica napoletana del '99, ebbe il suo epilogo con la rivincita di pochi mesi dopo. L'Abruzzo era stato conquistato; ma soltanto per modo di dire; che non solo la guerriglia delle masse non cessava, ma i soldati francesi si trovavano spesso bloccati. Nell'Abruzzo aquilano appunto ■— che è l'argomento della nostra narrazione — il capo delle masse, il generale Salomone, dominava quasi tutto il territorio della provincia; il suo paese nativo. Arischia, che conserva nella fierezza quasi beffarda dei suoi abitanti il senso di quell'antico coraggio, era uno dei centri più vivi della resistenza. Altri centri erano Montereale, Navelli, Fagnano, Capestrano. ecc.; ma si può dire che ogni paese e villaggio avesse un capo locale, che era spesso o il parroco o qualcuno dei possidenti. Poiché questo è soprattutto da notare, e gli storici non l'hanno sottolineato a sufficienza: in Abruzzo, mancando il latifondo, ed essendo i grossi feudi del sovrano e non dei baroni — e quindi le terre erano in gran parte demaniali, come i feudi erano allodiali, farnesiani o medicei •—, fra le classi non esisteva quel distacco profondo che si notava nelle altre regioni del regno. Nè il ceto degli avvocati, le ■< sciamberghe », come erano chiamati con un tono di scherno dal popolo, nè in genere i . galantuomini », che in altre parti del regno s'erano fatti giacobini per salvare i privilegi e le sostanze acquistate con l'astuzia e col sopruso, erano separati dalla classe popolare al punto da parteggiare per l'invasore; anche se questo, nonostante il trinomio rivoluzionario della •< liberté, egalité, fraternité ». non toccava, anzi rassodava, a beneficio dei galantuomini », quei privilegi. Naturalmente l'invasore, nell'intento di scompaginare le * masse » dove nei momento del pericolo erano confluiti, senza distinzione di classi, nobili, possidenti e popolo, minacciò di confiscare i loro tieni; e questa minaccia, attuata abbastanza largamente, se non scompaginò del tutto quella fusione, la raffreddò, mise in allarme i possidenti, e qualcuno abbandonò la propria « massa ». Ma, a paragone di questo danno, restavano ancora maggiori i danni dell'invasione; la distruzione delle chiese, la baraonda degli .alberi della libertà », i soprusi, le ruberie, e le fucilazioni. L>'assedio al Castello A tener desto questo sentimento di solidarietà fra le classi s'adoperava intanto il generale Salo-i mone; che andava di paese in paese a rincuorare i nuclei locali, a distribuire di nascosto armi, a ren-l dere difficili i rifornimenti di cui! i presidi francesi avevano bisogno. L'Aquila, dove i francesi s'erano insediati nel castello, si poteva dire bloccata dalle amasse»; i vi¬ veri cominciavano a scarseggiare, i francesi dovevano fare delle sortite, e non di rado si buscavano delle fucilate. Intanto, Salomone aveva fatto occupare i passi al contine romano, da Leonessa ad Accumoli; e il 15 gennaio, appena un mese dopo l'occupazione della città, le «. masse » diedero l'assalto ad Aquila, ed entrarono. Ma i francesi ricorsero ancora al cannone, e fecero fuoco dal castello sulle vie. Ci fu un nuovo massacro; le «masse» furono costrette a ritornare sulle posizioni di partenza, i villaggi circostanti, da Arischia a Bazzano, da Rojo a Barete, da cui s'erano mosse. E i francesi si vendicarono fucilando i prigionieri ch'erano caduti il giorno prima nelle loro mani. Fu un atto di brutale vendetta; che servirà però a rinfocolare l'odio delle « masse ». Passò cosi il febbraio; e nonostante lo scacco subito, dovuto in parte a deficienza di coordinazione nel comando delle squadre in cui le ;-. masse » erano suddivise, il generale Salomone non si perdette d'animo. Il primo di mar¬ llll I !»l 11 ITI 111MI ili I llll 111 liti 111 Ititi 11111111 II I II II Hill I III I zo convocò un nuovo « parlamento » nella chiesa della Madonna di ,Rojo, un colle ad occidente della città, oltre l'Aterno; e settanta caporali di squadre giurarono di ubbidire ai suoi ordini. La notte del giorno dopo le ■< masse » sferrarono l'assalto; le difese francesi che erano state poste alle porte, furono prese di sorpresa; in alcuni punti, verso porta Romana e porta Bazzano, i più audaci scavalcarono le mura, e la mattina seguente la città era di nuovo nelle mani di Salomone. Come al solito, i francesi si chiusero nel Castello: una fosca costruzione quadrangolare circondata da un largo e profondo fossato, assolutamente imprendibile. L'unico punto da cui si potesse battere il Castello era dalla torre della chiesa di San Bernardino, che sorge a qualche centinaio di metri. L'ingresso al castello, sul cui portale del tardo cinquecento spiccano ancora le parole: Ad reprimenda»! audaciam aquilanorum, fattevi scolpire da un governatore spagnolo, era quindi guardato a vista dalle sentinelle delle masse, che s'erano ap- I I liti IMI ili l)t ili liti [MI 111 I^T 11111 I Milli IMI Hit i; pollaiate sulla torre della chiesa, sul tetto, e sugli abbaini delle case che fronteggiano la piazza. I francesi non s'azzardarono quindi a mettere il capo fuori del loro massiccio rifugio; avrebbero dovuto attraversare la piazza dando | facile bersaglio alla mira degli j schioppi. Ogni tanto, di notte e I di giorno, avvenivano scambi di | fucilate, e talvolta la sparatoria, ! specie nell'imbrunire, s'infittiva. ; La fantasia popolare credeva allora di vedere San Bernardino che i volava attorno alla cupola verde della sua chiesa, benedicendo e ; rincuorando i suoi fedeli aquilani. ! L'assedio durò venti giorni; e sarebbe finito con la resa dei francesi che mancavano di viveri, se ' una colonna di soldati mandati da Rieti di rinforzo non fossero riusciti a travolgere la squadra che ! teneva il passo di Antrodoco. Quasi all'improvviso la colonna | piombò sulla città, e le « masse » : accorse a parare questo nuovo pericolo, nella confusione del moj mento e data anche la scarsità di I combattenti, dovettero abbandona3 re l'assedio al castello, consentendo ai francesi d'uscirne. Prese tra ;due fuochi esse si difesero con I estrema disperazione, ma furono sopraffatte. Era il sabato santo; e jil giorno di Pasqua i francesi si (abbandonarono al massacro e al |sacco. Andarono nella chiesa di ;San Bernardino, dove cittadini e frati s'erano asserragliati. Sfondarono le porte; trucidarono ventisette frati, due canonici, e buon numero di cittadini. Sul corso, che divide la città da porta Napoli a porta Castello, giacevano, secondo un testimone dei fatti, parecchi cadaveri, e « non vi era chi si fidasse di toglierli e portarli alla chiesa per seppellirli ». La chiesa era piena di sangue; e i francesi, dopo il massacro, tolsero dall'altare il deposito dove giaceva la spoglia del santo, lo ruppero per toglierne l'argento che vi stava dentro, e fecero man bassa sulle pissidi, 1 calici e gli ostensori di quella e delle altre chiese. Il sacco durò due giorni, e costò alla città centomila ducati. Il martedì dopo Pasqua, lasciato un forte presidio in città, i francesi ripartirono alla volta di Rieti. Il doppio colpo Ma San Bernardino, come dissero gli aquilani, si vendicò presto. E fu doppia vendetta. La prima, immediata, perchè i trecento soldati che il martedì lasciarono l'Aquila, con il bottino delle chiese, le taglie raccolte, i cannoni e i cavalli che avevano portati, furono assaliti dalle masse •■ scampate e riordinatesi in fretta e furia agli ordini di Salomone. Attesero i francesi al passo di Borghetto, e a un segno convenuto gli piombarono addosso. liei trecento soldati, se ne salvarono ottanta; i due comandanti, uno dei quali aveva sfogata la propria ferocia sui frati di San Bernardino uccidendone cinque, ci rimisero tinsi» i l ! Il bimbo di un soldato della guarnigione di Giamaica, a bordo della nave che per la prima volta lo ha condotto in Europa

Persone citate: Hill I Iii I, Milli, Montereale, Rojo