MILIZIA FASCISTA exercitus praesentalis

MILIZIA FASCISTA exercitus praesentalis 1° FEBBRAIO I • XVII MILIZIA FASCISTA exercitus praesentalis che conti interrotta Fu Diocleziano •— il grande Imperatore guerriero che fece mordere la polvere ai ribelli della G a 11 i a — a creare l'exercitus praesentalis con legioni destinate ad essere presenti ovunque Roma dovesse difendersi o conquistare. Erano truppe sceltissime, famose per valore militare, capacità tirofessionale, rapidità di manovra, sveltezza nell'azione, rotte a tutti i climi dell'immenso territorio, legate al Principe e all'Impero da quel supremo interesse che è il disinteresse personale, vittoriose dappertutto. Nell'Italia fascista e romana quella superba creatura di Mussolini che è la Milizia, combattente e vincitrice in Libia in Etiopia in Ispagna, sostegno armato della Rivoluzione continua, operosa sulle strade nei boschi sulle vette dei confini, divisa in dieci specialità e indivisibile nell'unitaria fede costruttiva, è il nuovo il moderno il perfetto « exercitus praesentalis » nua una tradizione per secoli ma la cui sostanza viva e* originaria, noialtri militi, l'abbiamo nel sangue. Celebrando oggi l'annuale della fondazione, il pensiero ritorna, in tanta pienezza di potenza e di gloria, agli inizi, all'albeggiare di questa nuova Forza Armata dello Stato quando lo Squadrismo prode senza perdere nulla del suo immortale spirito garibaldino ma facendone l'alimento ideale di una disciplina di ferro, si trasformò in Milizia « onorò la camicia neì-a dell'Insurrezione con il grigio-verde di Vittorio Veneto, Non è senza giusta fierezza che noi, di Torino, parliamo oggi della Legione primogenita. Appena decisa in Gran Consiglio dal Duce la fondazione della Milizia, l'eroico Quadrumviro de Vecchi di Val Cismon — al quale le legioni devono il non di' menticato, romano «Regolarne^ to di disciplina» pietra angolare della nuova formazione — telegrafo, per ordine del Duce, al comandante generale le squadre d'azione torinesi Piero Brandimarte di costituire una Legione di militi. Ciò avveniva il 14 gennaio 1923, I dell'era fascista. Il 23 successivo la legione dal fatidico nome di « Sabauda >, radunata in piazza San Carlo, era presentata dal console Brandimarte alle autorità militari, mentre le rappresentanze delle truppe presidiarle schierate di fronte testimoniavano la inscindibile solidarietà fra l'antichissima tradizione militare italiana e le nuove formazioni guerriere nate dal fermento rivoluzionario e ansiose di emulare le insuperabili virtù dell'Esercito nelle prove decisive. Così fu che fino dal 23 gennaio la Milizia esisteva di fatto attraverso la legione torinese. Com'era stato possibile reclutare truppe e quadri in così breve tempo ? Era stato possibile perchè gregari e ufficiali provenivano direttamente dalle squadre d'azione non soltanto di To- rino ma di tutta la Provincia che allora comprendeva anche le valli d'Aosta. Con quella intuizione politica che è connaturale ai piemontesi, gli squadristi capirono subito che ad insurrezione vittoriosa dovevano trasferirsi, immutato l'animo, dalle squadre ai battaglioni. I manipoli, le centurie ebbero i nomi e le fiamme delle vecchie squadre, quei nomi di strage e di gloria che avevano echeggiato come squilli vittoriosi nei duri combattimenti, e che erano anche stati pronunciati insieme con l'ultimo respiro da quelli che, caduti, adesso ritornavano, guardie ideali, a marciare — invisibili agli altri, non agli squadristi — in testa alla Legione. Da allora la « Sabauda » — come tutta la Milizia — non visse che per servire lo Stato e obbedire al Duce. Servì e obbedì in Patria, nella stessa Torino, quando, di lì a poco, in difesa della Legge cadde il milite Porcù del Nunzio; servi e obbedì nel periodo (che molti non vogliono ricordare più per non dover arrossire e che molti altri non vogliono ricordare per darsi l'aria di politici sopraffini) della Quartarella, periodo che precedette la necessaria logica gloriosa « seconda ondata » del 3 gennaio, periodo che vide la Milizia pronta ad uccidere e a morire, baluardo di cuori pugnali moschetti — ma cuori, cuori soprattutto — contro i molteplici assalti di morti illusi d'essere vivi perchè stavano ancora in piedi, contro l'opaca trista bestialità di una opposizione ricca di tutto tranne che di ideali. Servì e obbedì in Libia con quelli che combatterono a Beni Ulid e a El Regina, mandò schiere di armati a tutte le Divisioni Camicie Nere che conquistarono l'Impero, suoi uomini ancor oggi combattono sotto le bandiere di Franco per liberare sulle grandi strade del mondo la Civiltà del Littorio. Con le altre fierissime Le- gioni — la 2" Alpina di Torino, la 12" di Aosta, la 28' di Vercelli, la 29» di Domodossola, la 30* di Novara e con la Coorte motorizzata « 18 novembre » costituita dai forti lavoratori della Fiat — l'antica « Sabauda » costituisce i due Comandi di Gruppo e quello della 1* Zona. Per una coincidenza che non è senza significato, lo squadrista Brandimarte, il nostro « Brandi », è oggi al comando della 1* Zona. Soldato per temperamento, fascista per vocazione, combattente nella guerra del mondo, in Spagna, in Africa, il generale Brandimarte è un tipico rappresentante di quella aristocrazia rivoluzionaria che si è conquistata la capacità del comando con l'esercizio dell'obbedienza. La Milizia è un « Ordine > e 1 militi ne sono i frati laici armati, intransigenti con se stessi^ implacabili con i nemici. Cosi vissero, infatti, coloro che idealmente rientrano, nel giorno della celebrazione, ai loro posti di comando e di disciplina dal regno delle grandi ombre: come il centurione Giuliani e come il capomanipolo Azzi, l'anziano e il giovanissimo, tutti e due ventenni nello spirito casto e ardito. Con essi salutiamo, presentando il pugnale che ci ha dato Mussolini, la schiera dei prodi. Milizia ordinaria, Cacciatori di Frontiera, Legionari della Universitaria « Principe di Piemonte», della Forestale, della Dicat, della Ferroviaria, della Stradale, della Postelegrafonica: tutto quanto il nerbo guerriero della Piazzaforte della Rivoluzione saluta con VA noi.' ardito squadrista legionario i Caduti che rivivono nell'eternità dell'Idea. E con anche più tenero desiderio e con alta speranza, saluta quegli altri Volontari che un [ giorno, lontano vicino, in nome dell'Italia caddero per la Francia alle Argonne a Bligny, e non riposano ancóra... Cent. Carlo A. Avertati