La Roma di Leone X

La Roma di Leone X Fra l'arte e la storia La Roma di Leone X o e i o . ì a l à o e « Era la città ur labirinto di via anguste, tortuose, sterrate, fiancheggiate di casupole; qua e là, palazzotti merlati su cui s'ergeva la torre, appoggiati ai ruderi dei monumenti imperiali i castelli turriti dei baroni, e intorno al fabbricato le. vaste abbazie... Percorso un ciclo di potenza, di magnificenza, di gloria di cui il mondo non. ricorda l'uguale, la città pareva tornala all'umiltà dello sue origini. Il bestiame, come nei villaggi, vagava per le strade... E col bestiame i lupi... E l'anno 1442, alla vigilia cioè del ritorno di papa Eugenio in Roma, cinque lupi furono presi nel Vaticano ». Bastano queste poche frasi spigolale nelle prime pagine a dirci l'interesse quasi romanzesco del libro (Domenico Gnoli, La Roma di Leon X, Milano, Hoepli, 1938, L. 42). Romanzo, infatti, creazione artistica su una vaga trama di realtà piuttosto che storia vera e propria, ci può apparire una simile rievocazione di Roma: tanto la sua immagine, coi buoi e con i bufali ruminanti fra i monumenti del Foro, con le cave dove si riducevano in calcina, a scopo edile, gli antichi marmi, col maiali grufolanti pei vicoli, è lontana e diversa da quella aulica e solenne, di dominatrice magnanima, dei popoli, che il suo stesso nome fatale suscita da quando il mondo imparò a temerne e a venerarne il prestigio. Era invece la Roma bollata dal severo giudizio di San Bernardo, « gente che non sa stare in pace, avvezza ai tumulti, crudele e intrattabile finché non si assoggetti con la forza»; la Roma che aveva dimenticato sè stessa e la sua grandezza antica e faceva esclamare al Petrarca: • Mi duole il dirlo: in nessun luogo Roma è tanto poco conosciuta quanto In Roma »; la Roma del triste periodo avignonese, cui il Gregorovius assegnava non più di cinquantamila abitanti. Ma torbida, irrequieta, faziosa, dilaniata dalle lotte fra gli Orsini e i Colonna, divisa dalle rivalità dei papi e degli antipapi, desolata da Ladislao e da Braccio da Montone, affamata dagli assedi, decimata dalle pestilenze, era altresì la Roma di un Comune che sosteneva guerre vittoriose, la Roma della nobili famiglie dei bovattieri estintesi nella seconda metà de! Quattrocento, dai costumi rigidi, dalle tradizioni inattaccabili, di quella moralità selvaggia e generosa, violenta e tuttavia clemente, che a Marcantonio Altieri, già ai tardi tempi di Giulio II, ancora appariva in tutta la bellezza di un ideale perduto. La figura di quest'innamorato dell'antichità e della erudizione classica, discepolo di quel Pomponio che per il primo aveva dirozzato i giovani romani iniziandoli allo studio ed all'adorazione dell'antico è — nel libro postumo dello Gnoli — il tratto d'unione fra la rievocazione della Roma pre-rinascimentale e la mirabile rappresentazione della Roma dei grandi papi, da Giulio II a Leon X, la Roma di Raffaello, del Bramante, di Michelangelo, delle cortigiane descritte da Francesco Delicado, libertino prete spagnuolo, delle pasquinate famose, del « gran lume aretin, l'Unico Accolti» e dell'erede famoso di questo, messer Pietro. E' con Marcantonio Altieri, sognante ancora l'onore della casa e la dignità del parentado, nostalgico dei vecchi gentiluomini orgogliosi ma poveri, scandalizzato del contegno dei cardinali, dei prelati, dei cortigiani e soprattutto dei giovani delle nuove generazToni. che noi siamo introdotti nel mondo della nuova Roma dei due fieri pontefici. Ecco un passo vivacissimo ed eloquente, che in modo impressionante rende tempi e costumi: « Nel luglio del 1511 corse voce della morte imminente, o già forse avvenuta, di Giulio II. Tutta la città fu sossopra: i parenti o chi aveva ragion di temere, andarono a rinchiudersi in Castello: i cardinali asserragliarono i loro palazzi; si ammazzava per le vie. eseguendo le vendette che solevano riservarsi alla sede vacante; le milizie de' Corsi saccheggiavano la Magliana; i nemici del papa, francesi, milanesi, fiorentini, ferraresi, facevano pubbliche dimostrazioni di gioia; i baroni, gelosi l'uno dell'altro, accorrevano con le loro genti d'arme a Roma, che poteva da un'ora all'altra divenire un campo di battaglia . Ma il curioso (per non dir macabro i è che questo sconquasso avveniva per nulla, perchè il creduto morto pontefice si risollevava dal letto, ancor minaccioso e terribile, e soltanto due anni dopo doveva davvero sparire. S'iniziava allora il pontificato di Leon X, di quel grande figlio di Lorenzo il Magnifico, col quale parve risorgere in Roma il regno invocato di Apollo e di MinervaVittorioso, al conclave, di Raffaello Riario. di Adriano Castellesi da COrneto, del Grimani e del primate d'Ungheria, a soli trentasette anni il Medici assurgeva alla gloria del triregno. Secolo veramente d'oro? E' l'interrogativo che Domenico Gnoli si poneva fin dal 1S97, non per diminuire i meriti verso le lettere e le arti di Leone X. ma per sfatare criticamente la leggenda di un'età artisticamente aurea creata unicamente dalla volontà del grande pontefice; e citava soprattutto il formidabile impulso dato in tutti i campi della cultura e dell'arte dai due Della Rovere, Sisto IV, e Giulio II, la cui terribile audacia trovava specchio nell'ardire edilizio del Bramante, nella travolgente energia di Michelangelo. Pochi italiani, come Domenico Gnoli, studiarono la Roma umanistica e rinascimentale con tanta perspicacia, acutezza critica, precisione erudita, solidità di cultura; nessuno forse, come lui, seppe ridurre il documento, il ritrovamento, la scoperta, a cosi avvincente calore di poesia. Quo-, sto libro cui il nipote Aldo Gnoli, nella pubblicazione laboriosa e scrupolosa, ha dedicato si affettuose cure, ha — raro caso — il duplice pregio d'una lettura av- • vincente e spes.so affascinante, a ■ Vuna documentazione eccezion naie, mar. ber.

Luoghi citati: Milano, Roma, Ungheria