Il sentiero del Pascoli di Ferdinando Neri

Il sentiero del Pascoli Il sentiero del Pascoli Diciamo sentiero: elle va per i campi ed i boschi; al Pascoli sarebbe piaciuto di più. Ma vogliamo dir questo: ò possibile segnare attraverso un'opera così diffusa e irrequieta una linea che ne rappresenti il corso ideale, che segua uno sviluppo dell'arte, concorde all'animo, all'ispirazione òW poeta? Il quesito è stato ripreso in un libro che viene ora alla luce : La poesia del Pascoli, di Carlo C'urto; il quale è persuaso che si possa tracciare la storia, « una storia interna, nel tempo d di quella poesia, e vi si c posto intorno con una diligenza tenace e Sofct.il. L'errore che insidiò finora ogni tentativo analogo fu quello di limitare l'indagine ad una struttura del pensiero, a nelle cerniere in cui esso si salda », nei nessi di un ragionamento vero e proprio; mentre il pensiero del Pascoli sfugge ad un ordine logico, procede per lampi, per intuizioni, a balzi e come « a strappi». L'inchiesta deve rifarsi dall'intimo della creazione, con l'analisi d'ogni poesia, d'ogni verso, dove risuoni volta a volta la parola nuova, dove si annunzi il nuovo baleno. Per tutta la prima parte, che studia il costituirsi delle Al gru cac, il Curto ha assolto felicemente il suo compito: le esperienze, le riprese, gl'intrecci, le brevi strofe ohe si compongono e ricompongono come le tessere di un giuoco prezioso... il Curto ha descritto e definito con vigile coscienza di critico un'assidua e segreta vicenda. In quel primo periodo, tenendo conto delle Varie raccolte da Maria, appariscono gli elementi, i temi essenziali che il Pascoli svolgerà nel suo cammino. Vi si coglie, all'inizio, il senso della splendida scuola del Carducci: e non alludo alla scia monotona delle « barbare », dove solo importa la prova giovanile del D'Annunzio, ma all'impronta nitida, luminosa, profonda delle Rime nuove. Forse, dal Cinquecento in poi, non c'era stato in Italia un gruppo di poeti così coerente, così convinco e fiducioso nella virtù dell'arte; il Pascoli e Severino Ferrari sentivano allo stesso modo quando e come un verso è bello, un verso dell'uno o dell'altro, liomagnu solatiti, dolio paese o orse che dorme; raggiando, la luna... ed erano, col loro buon maestro, i sani cantori dell'Alberino, dell'» infido Piano che sfugge al curvo Reno e al Po », e del Mago, e di Biancofiore. I bei giorni della nostra poesia ! Il Pascoli ritrovò il suo lembo di terra, che fu anche la sua conquista ideale; penetrò del suo amore il lavoro umano, « come pura espressione di bellezza, fatto contemplazione riposata dell'anima »; distinse le immagini umili, agresti, precise nella luce fuggevole ; e nelle Myricae, ogni erba, ogni foglia, ogni fiore. (Apro una parentesi. Più di una volta e, si direbbe, con insistenza il Pascoli rimproverò al Leopardi le rose e le viole del Sabato: fiori troppo generici, di fronte alla varietà della flora campestre che sarebbe meglio convenuta alla « donzelletta » del contado ; e forse il Leopardi non sapeva distinguere gli squilli della cingallegra dallo « spincionare del fringuello, a cui assomigliano ». ila se la conoscenza dei fiori e degli uccelli era povera nel Leopardi, e invece tanto doviziosa e minuta nel Pascoli, questi era meno esperto di pietre... Leggiamo nel Lauro: Nell'orto, a Massa — o blocchi di tur- Ichcse, alpi Apuane! o lunghi intagli azzurri nel celestino, all'orlo del paese! Perchè, alla prima, questi versi non riescono ben chiari, 6e anche ne sentiamo subito, come per suggestione, la bellezza? Dell'azzurro e del celestino, qual è il colore che meglio s'appropria alle turchesi? Il celestino, parrebbe; ma il Pascoli ha inteso certamente l'azzurro: poiché gl'intagli sono quelli dei monti sul cielo, come provano i versi che il Pascoli aveva scritto fin dal 1885, e che trovo citati dal Curto, quasi una prima stampa della stessa immagine: Siede Massa tra lucida verdura d'aranci, a specchio del tirreno mare; vedi tagliente dietro lei spiccare come un zaffiro immenso la Tambura. Insomma, l'« azzurro » vali' ugualmente, e genericamente, nel Pascoli, per la turchese e lo zaffiro... Ma la parentesi è chiusa). E poi, più su: panln viaiora. Il Curto ri pigi ia la sua lente e affronta l'esame dei Poemetti. E qui si fa chiara l'idea maestra che domina il suo libro, e ch'era annunziata fin dalle prime pagine; la storia della poesia del Pascoli si raccoglie, si accentra, per il Curto, nell'elevazione dalle Alyricde ai Poemetti: « con esse opere si va dall'inizio all'esaurirsi della sua ispirazione migliore. Le altre opere vi si dispongono intorno, a modo di corona », e Fra pnstslLlel«queste opere, come debbo dire? marginali, sono i Cauli ili Castel-iqvecchio e i Poemi conviviali. Tre libri, le Myricae, i Primi ed il Nuovi poemetti, bastano a dimn- strare a quant'era nei fini » del | ulavoro. eE qui dissento interamente dal dCurto: proprio sul punto dove ssi annoda la sua interpretazione della storia poetica del Pascoli. I Poemetti non rappresentano un vertice ideale; e direi che il tipo, il modulo del « poemetto » pascoliano, più che un momento effettivo, è un momento fittizio de! suo sviluppo artistico: il mondo delle Myricae si cinge di un'aspirazione simbolica, che non lo rinnova, ma lo infonde di elementi oratori, vittorughiani (la « Leggenda dei secoli » fu una costellazione nel cielo del Pascoli, d'un influsso vario e durevole). Si badi: nessuno svaluta, o nega, quel ch'è di gentile, e di ardito, nei Poemetti ; e vi 6Ì possono con ragione additare i segni del più profondo cammino che percorre il poeta ; ma quei segni rimangono al di fuori dell'assunto programmatico, del concetto d'una forma nuova, che il Pascoli s'era proposta, come per l'invenzione d'un conio più vigoroso e significativo. La storia intima, verace — o io m'inganno — della sua poesia è da cercare per quella via più nascosta, più ombrata, quasi in una spirale, onde il Pascoli ritorna alle Myricae e le rinnova con altra anima nei Canti di Castelverrino. Con un'anima lesa. E non tutti i Canti, so bene; la Cavalla storna non è tanto lontana, o tanto più innanzi del Giorno dei morti, che apre le Myricae. Ma l'accento, il carattere del libro è mutato, macerato, approfondito. Non v'è più sqigendcstvetdssd l'alacre impegno del fabbro sull'acciaio. « Le fatate rilucenti A rei enne- » erano pure esistite sull'orizzonte giovanile del poeta; poi s'erano velate, oscurate: Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba... Il dolore assume un'espressione turbata, morbida ; è un soffio silenzioso, d'« ali molli come fiato » (e se ne può seguire il presagio fin dalla Civetta, e poi nella Digitale purpurea) : Lascia ch'in guardi dentro il mio cuore, lascva- ch'io viva del mio passato. Aveva cantato: i.a. via fatta, il trascorso dolore m'accenna... ; ed ora e giunto a mirare tutte le cose, come possono vederle « quelli ch'amano ed amo », cioè quelli che non sono più: M'era la casa avanti tacita, al vespro puro... Tu quale vespro, che risorge da un giorno lontano, perduto, o eh'è la luce spenta di un sogno, di una memoria che riappare nel sogno? Tutta l'amarezza che ri¬ sale dal suo passato si placa in quell'ora estatica; e la morte imminente è già commista ai suoi giorni, e gli sembra così familiare e suasiva perchè ha qualche li neamento dei volti che gli sono di nuovo presenti, che vivono ancora e soltanto, taciti e pallidi, in lui. La risonanza più grave, simbolica, di cui i Poemetti tentano a fatica la cifra, 6Ì effonde nei Canti, con un brivido ch'è veramente alla soglia del mistero e vibra di una singolare, affascinata dolcezza. Ai margini, se vogliamo così ma concordi con quest'onda acco rata, stanno i Poemi, conviviali dove tutta la bellezza antica, marmorea, è corrosa da quel sen so languido della morte. I miti sono umanizzati, e cioè resi an ch'essi mortali, riavvinti alla ca tena da cui parevano salvi per il dominio della fantasia; nellT'7 timo viaggio tutta l'Odissea è dissolta nella sorte comune, perch'è sfiorita della stessa illusione poetica. In certo modo, come i Canti di. Castel vecchio alle Myricae, così (ma in un ciclo minore, meno comprensivo, e meno espressivo) i Poemi conviviali stanno ai primi Poemetti. Il cerchio si chiude e suggella nello spìrito del Pascoli con un compianto del passato — di lui uomo, e di tutti gli uomini — in cui egli ha confuso ormai, e liberato, anche se stesso. Ferdinando Neri ILdUlnlsInmcn

Persone citate: Biancofiore, Carducci, Cavalla, Curto, D'annunzio, Severino Ferrari

Luoghi citati: Castelverrino, Italia