IL PASTORELLO POETA di Francesco Argenta

IL PASTORELLO POETA La pena di morte dopo dieci anni IL PASTORELLO POETA Nel castigo degli uomini scorse il castigo di Dio e non se ne dolse : cantò in duecento strofe il destino che gli toccava e andò all'espiazione con passo sicuro, con animo fermo a sgrNAbairsrtadfeccnva e o a a i i ù i e ROMA, dicembre. Il castigo dell'uomo si è plasmato sull'esempio offerto dal castigo di Dio? I razionalisti l'hanno tenacemente contestato, ma, a dispetto delle negazioni onde fu subissata, la tesi 6 riaffiorata ancora, si è fatta largo fra le varie ed avverse correnti, si è incuneata, dopo la recente rielaborazione che le ha ridato attualità credito consistenza vigore, nel masso saldo della dottrina. E' stato uno studioso nostro, il Luciani, a rispolverarla; a tentarne, con criteri che mirano ad una definitività di conclusioni e di risultati, l'ultima ma intima organica e sistematica rielaborazione. «Assicurate la mamma,.,» Secondo tale tesi, il concetto del castigo ultraterreno inflitto dalla divinità, in virtù, soprattutto, della compattezza delle dottrine derivate dal cristianesimo, ha influito decisamente sulla organizzazione del ministero e della funzione penale. Tutto il sistema penale si colloca, a cagione di tale fenomeno, nel quadro di quella che l'imaginazione ha configurato come pena divina: da questa fonte discendono i concetti di libero arbitrio di imputabilità di responsabilità; l'ordine giuridico risulta profilato sull'ordine morale; il giudizio umano sullo schema del giudizio universale; il delitto sullo schema del peccato; la pena sullo schema dell'espiazione; il giudice umano (omnis potestas a Deo) appare come ministro della giustizia eterna, e perfino il carnefice trova legittimata la sua funzione dal fatto di apparire come l'esecutore della giustizia voluta da Dio, mentre l'inquisizione e persino la tortura sono vòlte soltanto ad accertare la verità, per la commisurazione del male-pena a retribuzione della colpa, a reintegrazione della giustizia, conculcata ed offesa, a ristabilimento del perturbato equilibrio morale. Avversata pur sempre da teorici e dottrinari, la tesi è intuita con oscura presaga coscienza della sua realtà e del suo fondamento dai soggetti passivi della funzione penale, è accettata da essi, supinamente, nella sua tragica estrinsecazione, nella sua fatale portata. L'esempio, che può vale re per molti, ci è dato da un pa store della Sardegna. Dannato a morte dalla giustizia terrena, egli ha visto nella sanzione il castigo ultraterreno, il segno la manife-stazione la volontà della giustizia divina. E non si è ribellato. Non ha avuto una parola un gesto che potesse significare angoscia o sbigottimento, protesta o rivolta contro il destino che lo toglieva dalla e l scena terrena; non ha imprecato o contro gli uomini che di tale de- j stino erano manifestamente gli artefici, non ha bestemmiato la vo- ù a r e e i l i l i e n , a e i a a i o o o lontà a cui la fatalità del destino, mediatamente o immediatamente, si rannodava. L'espiazione cui si vedeva dannato era la naturale retribuzione per la colpa di cui si era macchiato. Per questo l'accettava ed era pronto a subirla. Il cappellano non durò fatica a prepararlo nell'ora fatale. Egli era intimamente, consapevolmente preparato da tempo: dal giorno stesso in cui la condanna lo aveva raggiunto, soprendendolo nel travaglio del rimorso conseguito al delitto, nella amarezza dell'onta onde si sapeva eternamente perduto. Avviandosi al luogo dell'esecuzione, non ebbe arresti tentennamenti paure. Aveva raccomandato al cappellano, mentre lo toglievano dalla cella: Assicurate la mamma che sono andato con coraggio alla morte. Fra stravolto e selvaggio E, sceso dal carrozzone, si era diretto con passo fermo verso il centro del quadrato, dal quale doveva essere sollevato pochi istanti dopo — dilaniato e freddato dalla mitraglia — per essere deposto, senza il pianto di alcuno, in una grezza bara ricavata dagli svettanti abeti della sua terra. Il capo eretto, lo sguardo senza ombre, egli sostò al centro del quadrato: fissò la sedia sulla quale doveva prendere posto, chiese in qual modo dovesse disporsi, si lasciò bendare e legare senza un brivido una contrazione un lamento, e, ripetendo ad alta voce le preghiere che il sacerdote andava recitando presso di lui, attese: attese che la scarica troncasse il rosario delle giaculatorie che lo introducevano nel mondo di là, e, spegnendo la iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiii ■ II1111,1,11 ItIMMIt Ili 1 sua ferma voce, folgorasse la sua giovane vita. Aveva 23 anni ed era un pastore di Orgòsolo, nella plaga di Nuoro: Giovanni Ignazio Catgiu. Aveva vissuto sempre sugli aspri balzi della sua terra ed il tono agreste e primitivo che dominava il breve cerchio della sua vita, si rifletteva nel suo aspetto, nella sua espressione. Quando, nelle carceri di Nuoro, fu portato dinanzi all'obiettivo, la toeletta carceraria non lo aveva ancora trasformato. Nella duplice posa — di profilo e di fronte — onde dovevano essere eseguite le fotografie destinate a corredare la cartella biografica, e che oggi figurano al Museo criminale, insieme ai documenti che rievocano la drammatica gesta, l'obiettivo lo colse in quell'aspetto, fra stravolto e salvaggio, in cui era apparso alla vittima, in cui era apparso ai valligiani quando, dopo il delitto, aveva preso ad errare per i dirupi della sua terra, non già per sottrarsi all'arresto, ma per sfuggire all'onta da cui si sentiva travolto. Gli abiti rozzi e laceri, i capelli incolti che gli spiovevano sulla fronte breve, percorsa da solchi precoci, lo sguardo di una fissità metallica... Tutte le fotografie che escono dai gabinetti segnaletici hanno qualcosa di infinitamente triste, di cupo. Ma la cupezza di queste è senza confronti. L'antropologo si fermerà dinanzi ad esse per vagliare e misurare una certa caratteriologia fisionomica che formalmente si inquadra negli schemi tristissimi e notissimi che sono stati elaborati dall'antropologia criminale, ma il profano sosterà dinanzi ad esse colpito soltanto da questa espressione stravolta: un'espressione nella quale è già riflesso il destino che chiuderà il buio orizzonte di giovinezza perduta. a a i o j tVice della volontà — è inutile -jrjcor(]are come certe animalità aoaiususCome un «raptus» Spaventoso, orrendo il delitto. Il Catgiu portava al pascolo le mucche sulle alture di Baddutzai quando si incontrò in una fanciulla, Antonia M., sedicenne, che era intenta a far legna. Come cedendo ad un raptus improvviso, egli si precipitò verso di lei, la raggiunse, la serrò in una stretta furibonda. Per due volte la fanciulla gli sfuggì e per due volte egli l'inseguì, la raggiunse,' tentando di trascinarla nel folto del bosco. Non li riuscì, e la vertigine ottenebra- una i |a a l a , a o , a a e o a e o a perverse e subconsapevoli siano capaci di generare eventi tristissimi ■— lo trascinò con furia indomita al delitto. Con un sasso si diede a colpire la fanciulla al capo, sino ad ucciderla. L'estrema violenza parossistica onde aveva agito, l'aveva stremato. Si riebbe, tuttavia, e tornò alle mucche che si erano sparpagliate pei pascoli: le radunò, le portò sulla strada che conduce al villaggio e poscia si diede a correre per i dirupi ben noti, in una pazza corsa che poteva sembrare una fuga ed era, invece, il principio di una dura espiazione. Intanto il delitto era stato scoperto ed i sospetti di tutti, subito, si erano addensati sul Catgiu: più d'uno infatti, l'aveva visto dirigersi nella località dove la fanciulla era salita a far legna. Ma nessuno dei valligiani esternò questi sospetti, formulò delle accuse: il nome del colpevole era sussurrato da tutti, ma non era fatto giungere ai carabinieri. Un fenomeno d'omertà curiosissimo, che astraeva, per altro, da ogni preoccupazione per la sorte che sarebbe toccata al colpevole e trovava la sua spiegazione, soltanto, nella costernazione in cui l'evento tristissimo aveva gettato il piccolo borgo: una costernazione generale profonda amarissima. Era la sorte toccata alla piccola vittima che commoveva angosciava straziava gli abitanti del borgo, e quando il medico-settore rivelò che il martirio della fanciulla si era compiuto senza che il colpevole avesse potuto far strazio della sua purezza, fu un sospiro di sollievo in tutti, fu come se il piccolo borgo si fosse libe- rato da un incubo spaventoso. Ilnome del pastorello fu pronunciato ad alta voce, senza riserve e senza rimpianti, fu fatto gtungere ai ca-rabinieri. Arrestato, il Catgiu non oppose negative: confessò il delitto, ampiamente, rivelò il turbine nel quale aveva agito, l'onta da cui sisentiva travolto. Tuttavia, quando vide che il suo racconto era messo 11 111 1,1,1, MMIMIIIIIIIII, IMI 1,1,1, ,111 ■ e à a verbale, ebbe un arresto: si oscurò in viso, si fece diffidente aspro chiuso ostile: dichiarò che i dettagli dati poco prima erano un cumulo di bugie e spiegò che si era attribuito il delitto per dare una soluzione alle indagini, per salvare, soprattutto, i genitori della fanciulla. Ma in quest'atteggiamento di tortuosa difesa egli non zamscaessdinsistette, e la condanna e morte!spronunciata dalla corte di assise | gdue mesi dopo, lo trovò non solo)vrassegnato, ma intimamente e fer inamente persuaso che l'estrema sanzione era la giusta retribuzione per il crimine di cui si era macchiato. Il regolamento carcerario vuole che il condannato a morte sia sottoposto ad isolamento continuo ed a sorveglianza non interrotta; dispone, ancora, che la sua cella sia accuratamente e frequentemente perquisita, per evitare che il condannato detenga qualsiasi oggetto atto ad offendere sè od altri; affida, infine, al direttore al cappellano ed al medico il compito di visitare più volte al giorno il detenuto, per seguirlo in quel processo di reazioni che si determina in vista dell'espiazione. Congegnato siffattamente, il sistema detentivo offre il modo di cogliere ogni atteggiametno del condannato, di seguirlo nelle sue manifestazioni, reazioni ecc., di esplorare, persino, le profondità abissali della sua personalità psichica, cosi spesso irrivelabile ed abnorme. Orbene, il giudizio che fu espresso sul Catgiu durante la sua detenzione fu univoco: « mite serio educato rispettoso Aveva seguito, e neppure per intero, i corsi elementari, ma dimostrava di possedere un corredo di nozioni che ec [cedeva, forse, i limiti di quello ac-iquisibile attraverso le scuole pri- n i marie. Soprattutto, era dotato di |una intelligenza aperta, d'una sensibilità acuta, vigile delicata. Fornito, come molti della sua terra, di una naturale vena poetica, esprimeva in canti dialettali, di un tono schiettamente popolaresco, ma che traboccavano di sentimento e di delicatezza, la triste realtà del suo destino, la sacra realtà dei suoi affetti. Tutto Adorava la dramma madre ed alle sue l lettere rispondeva con lunghi can-ìti che si snodavano come dolorose jngnie. ICara mamma dolente — bosnaro in su momentu — in custalettera ischides sò sanu — isperoin su presente — siedas a intento — sona e allegra tota 'fittianu... E cantò anche il suo dramma, Lo za compiacenze espressive canto in duecento ottave, sen-compiacenze espressive, macon accenti drammaticamenteumani. Ogni volta che gli agenti iponevano l'occhio allo spioncino jdella sua cella, ogni volta che il|direttore, il cappellano ed il medico si recavano a visitarlo, lo trovavano curvo sul quadernetto che gli era stato dato e che si andava di giorno in giorno infittendo dei versi che scaturivano dalla sua fresca vena e che egli trascriveva con la sua grafia minuta, primitiva, ma con cura gelosa, meticolosa. Sulla copertina del quadernetto aveva scritto l'ultimo giorno: «Vita e prigionia di Giovanni Ignazio Catgiu, cantate da lui stesso, nelle carceri di Nuoro, nel mese di luglio 1937 ». E sotto aveva aggiunto: « Proprietà di G. I. Catgiu ». Il quadernetto è ora al Museo criminale, ma non si violano le norme da cui è protetta la proprietà letteraria se si riportano taluni versi, precisamente l'ottava con cui il Catgiu inizia il suo canto e si rivolge ai lettori per spiegare, come facevano i trovatori, il tema del suo cimento: Amabiles lettores bos presento — sos mios putimentos e dolores cantu sò in su mundu mi cun-tentu — de iscnltare tenzedas(tenzoni) amore — si bos t"'re male chi argumento — iscusade non su cantadore — istndiadu non sò e poeta — de bonde (di getto, estemporaneo) rende sos cosas perfetta. C'è tutto il suo dramma in queste duecento strofe che sì susse- ljguono fitte compatte concatenate o armoniose. Ma c'è, anche, la a (consapevole accettazione del de- -|stino che gli era serbato. Aperta, [l'ammissione della colpa: inesora-e | bile, la fatalità del castigo. Ed ilijcetta: lo offre in espiazione allao vittima, lo sconta per l'amore che o | porta alla madre. La sua esecu- 1,1,1 1 II 111 > 11 > 11,111111111,1111111111,1,111 Milli ■'pastorello che vede nel castigo de-|gli uomini il castigo di Dio, l'ac- zione si compi la mattina del 4 agosto 1937. Dormiva profondamente quando, a notte fonda, la sua cella fu invasa dai funzionari cui incombeva il triste carico di annunciargli l'imminenza della esecuzione. Si svegliò di soprassalto nell'intendere tutti quei passi e fu colto, all'annuncio fatale, da un turbamento profondo. Ma si ricompose subito: ascoltò in ginocchio, a mani giunte, come )voleva la mamma quando egli era fanciullo, la messa; poi rientrò nella cella, sorbì una tazza di caffè e quindi, con passo sicuro, con animo fermo, si avviò sul luogo dell'esecuzione. Un altro che faceva versi Un altro condannato a morte, un pastore anche questi della Sardegna, Antonio Casula, ventottenne, nativo di Sedile, ha trascorso gran parte dei giorni che han preceduto quello della sua fine a tessere versi. Erano versi popolareschi, costruiti sul popolarissimo ritmo di « trentasesi retrogau », ma erano banalità quando non erano sudicerie. Con un altro pastore, Antonio Bazzoni, ventiseienne, di Mamojada, il Casula aveva aggredito nel sonno, la notte del 2 maggio '36, i coniugi Luigi e Maria Boe, che gestivano un negozio di alimentari in regione Virziliu, presso Sassari, rapinandoli del poco che possedevano. I due si erano issati sul tetto della casetta, avevano rimosso alcune tegole e quindi, introducendo in un foro praticato nel soffitto una lunga asta munita all'estremità di un uncino, [avevano fatto scattare il catenaccio che chiudeva la porta di in¬ iSress°- Per questa erano poi pe ™}}^™?:.L^,00^1^ furono trovati massacrati nella camera da letto la mattina seguente: la donna rontolava ancora e potè accennare, agli accorsi, che gli aggressori erano tre « villani », cioè tre individui del luogo. Il terzo, tuttavia, non potè essere individuato: Casula e Bazzoni pagarono anche per lui. « Frivolo, spensierato, privo assolutamente di senso morale », come si legge nella cartella biografica, il Casula protestava contro la condanna, senza tuttavia ìosare di protestarsi innocente: di j chiara va che la condanna nposa Iva su delle induzioni, non già su sWe positive, su testimonianze a|dirette; non un «testimone ocuo<lare » — insisteva — era sfilato al , j processo contro di lui. E a queste sommesse proteste alternava le composizioni poetiche a fondo laido e scurrile. Chiuso per tempera-!mento' accigliato, il Bazzoni fu a.:incaPace dl profferire parola al- un singhiozzo un lamento un gesto di disperazione o di ira. Francesco Argenta e11 annuncio fatale: si espresse con i Pocm monosillabi alle domande jche *U venivano rivolte e si av|vl° al luoS° dell'esecuzione senza

Luoghi citati: Deo, Nuoro, Roma, Sardegna, Sassari