Quattro monaci di Chiaravalle riaprono il monastero del Poblet

Quattro monaci di Chiaravalle riaprono il monastero del Poblet FEDE CRII* ir II a\N A II iip a © n a Quattro monaci di Chiaravalle riaprono il monastero del Poblet POBLET, dicembre. In quei pezzetti di carta scura, fitti di caratteri in corpo sei, residui eroici dei giornali, che vendono per le strade di Barcellona, c'era, giorni fa. una notizia piccina piccina, in quattro righe, che diceva: « / monaci italiani che s'insedieranno nel monastero reale del Poblet, sono ai rivati a bordo di un aeroplano dell'Ala Littoria nella nostra città ». Che è — si domandò qualcuno — questa storia di monaci italiani? L'Italia prende possesso d'ùr. monastero spagnolo? L'Italia, la cui campagna è stata illuminata da un cosi puro disinteresse, manda i suoi monaci in Ispagna? Ma intanto questi erano già arrivati, ed erano stati accolti con entusiasmo superiore a ogni descrizione dalle autorità spagnole; avevano dovuto perfino, data la severità dell'Ordine, respingere con umile fermezza gli omaggi a cui volevano costringerli il Governatore civile di Barcellona e il Generale. E ancor più piena d'un'intima soddisfazione e fierezza, se anche conventualmente silenziosa, era stata l'accoglienza delle suore spagnole del monastero cistercense di Valldoncella, dove i nuovi venuti avevano ricevuto ospitalità. Erano, questi, quattro frati italiani, dell'Italia centrale, impregnati delle tradizioni e dello spirito chiaravallense che da quel grande centro marchigiano si è diffuso nei secoli in tante regioni d'Italia, ripetendo nei nuovi monasteri e nei paesi che vi nascevano intorno il nome gentile, e così italico, di Chiaravalle, irraggiando fino alla Spagna. Nell'accento marchigiano, umbro, toscaneggiante, nei volti tagliati con grazia fresca e un po' rude, come negli affreschi di Filippo Lippi e del Beato Angelico, si sentiva venire da queste parti quasi una zaffata di Medio Evo italiano. Ed erano con loro due prelati, venuti ad assistere all'avvenimento, ma che ora ritornano in patria: l'abate presidente della Congregazione di San Bernardo di Chiaravalle (da cui dipende il monastero del Poblet), Gregorio Billi, e l'insigne Padre Generale dell'intero Ordine Cistercense, e l'Abate mitrato Edmondo Augusto Bernardini. La tomba di Roseli! Alle sette della mattina mi sono messo in viaggio per venire ad assistere all'entrata dei monaci a Poblet. Centocinquanta chilometri attraverso la campagna sorridente e un po' nebbiosa, di questa stagione, della dolce Catalogna. Terra settentrionale, materna, direi quasi femminile, nell'ubertà misurata e saggia dei suol campi, nella mitezza dei suoi orizzonti. Precedo di due ore buone il grosso Capitanojvibrante. | delle autorità, che partiranno, si dice, alle otto, e ne approfitto per fermarmi in alcuni cimiteri di guerra, poco discosti dal mio itinerario. Pellegrinaggio mattutino ai nostri morti, quelli dell'offensiva di Catalogna, dell'ultima e dura battaglia ,che si conchiuse a Barcellona — fra poco son due anni. Ecco la tomba dell' indimenticabile capitano Roselli, giornalista, marinaio, legionario, ma sopra tutto poeta, ingenuo e vibrante Fiesolano dagli occhi guizzanti e la barbetta grigia, già capo dell'Ufficio Stampa del nostro Corpo di spedizione, che non ebbe requie finché non l'ebbero mandato al fronte,— e vi mori. — Era un vivace amico di Sandri, che a volte scherzava sul suo lirismo. Staranno canzonando e discuten- do ancora ? E' mattina, mattina di domenica, e Roselli riposa in una tomba pulita, nella pace candida equasi toscana di Santa Colonia deQueralt, fra i colli. Il cimitero è su un rialto, e la cittadina si ada-jgia abbasso, in una conca acca- | rezzata dal sole, soffusa d'una lu- jce liquida, come a Firenze, come a |Firenze quando si guarda la città dal cimitero di San Miniato. Men- tre mi allontano pregando, vedo. Ipoco lontano dalle tombe marmo-iree dei legionari, una croce rozza, fatta di due tronchi giovani d'arbusto appena sbucciati, con una iscrizione non merto rozza, in caratteri neri e in italiano: Miliziano Guido Francisco, Brigata Lister. J8-1-19S9. Un rosso. Un rosso, con tanto di nome, cognome, grado e unità, iscritti in modo appariscente; sepolto come si conviene a un uomo, onorato come si conviene a un nemico. Sepolto per mani italiane, dai nostri legionari. Nel mio cuore scende una pacata certezza, una soddisfazione virile. « Roselli dev'esser contento, di là », penso. Il corteo dei monaci La reggia del Poblet si annuncia da lontano, per l'immensità della costruzione, .che campeggia, grigia, a mezza montagna. Populetum, toto orbe christiano nulli secundum, è 11 tipo compiuto di quei monasteri-città, di quei grandi conventi che, sviluppatisi quasi sempre intorno al nucleo originario d'una piccola accolta di frati o magari d'un nido d'eremita — le origini di Populetum si perdono nella notte dei tempi: la costruzione del 1100 costituiva allora l'ultima fase d'una lunga e oscura carriera di accrescimenti e di rimodernamenti — si andavano ampliando a mano a mano secondo le necessità di vita dei conventi, secondo la legge interna di ogni organismo vivo che tende a rafforzarsi e a espandersi, e alimentavano intorno a sè attività sempre nuove, determinavano una corrente di lavori e di traffici, si a da formare veri e propri centri di vita sociale, dotati d'un'intima e secolare struttura, regolati da leg- gi proprie. Il muro di cinta del l'edificio misura mille e cento metri di lunghezza; il dormitorio dei frati ne misura cento. Tutto parla qui di ampiezza, di stabilità, di ricchezza solida progressivamente aumentata: ricchezza sana, radicante nella terra, e che nella terra tutt'intorno si ridiffonde. I monaci italiani, che hanno passato a Barcellona questi giorni d'attesa, sono qui da ieri, e ora entreranno solennemente nel monastero reale. C'è festa intorno un gran tramestio di contadini: molta gente è arrivata dai villaggi vicini, sulle carrette; hanno sen tito dire che tornano i frati, non - vogliono mancare l'avvenimento ! che s'aspettava da più d'un secolo a il vecchi ripassano le memorie udijte nell'infanzia; 1835, la cacciata i dei monaci: cose più antiche di | loro, e che neanche i più longevi jhanno visto: altri « rossi», diversi Ida quelli del 1936; non cosi terri j bilmente cruenti e tutt'altro che | sistematici nell'assassinare, come erano invece i loro pronipoti; ma vandali, brutali, bestiali e sopra I tutto stupidi, stupidi come e più idi quelli di ieri. Erano i feroci liberali della prima metà del secolo XIX, di cui i più vecchi campagnoli hanno sentito parlare da bambini, con orrore. Nihil sub sole novi. Ecco, esce dalla casa del signor Toda, uno degli edifici della cittàmonastero, il corteo dei monaci, italiani. Per le viuzze anguste, fra palazzi augusti, archi, torri, scale, atrii, cortili, androni, piazzette, fra porte militari del Duecento, enormi, massicce, vere facciate di castelli, tanto imponenti sono i torrioni merlati che le fiancheggiano e le dominano, e la grazia fresca e serena del romanico e la ricchezza ancor morbida dell'ogivale (capitelli che sembrano modellati in una materia tenera, tanta è la fragranza burrosa dei loro contorni), tra la severità gotica delle volte del claustro ad archi incrociati e la classica nobiltà da Quattrocento fiorentino del Palazzo Reale (finestre, tetti, pietre che sembran portati qui di peso dalle rive dell'Arno, a dar sorriso e verecondia a quella dimora conventuale che i Re d'Aragona, i Sovrani della prima potenza mediterranea di quel tempo, vollero qui preparata sempre per loro, per passarvi mesi e anni e vite intere, e per riposarvisi nell'oltretomba) passa la splendida processione dei Cistercensi. Sono sei: quattro monaci, quelli che rimarranno definitivamente qui, in luogo degli ormai scomparsi frati spagnoli, e due prelati, il generale mitrato dell'Ordine e il pre sidente della Congregazione italia p na di Chiaravalle. Vestiti di bianco ' m da capo a piedi, con ricchi abiti ca- j P denti, circondano il Mitrato cheavanza con solennità, avvolto in|duna lunghissima cappa d'ermelli- : nno, il cui strascico candido e gi-llgantesco è retto da sacerdoti e da ufflcianaselapres^^ la maestà dei modi sono accessori Pnnr inllHn nPil'Poprci7in d'un co-1 tnon inutili peli esercizio d un co-|dmando spirituale o politico, si può, ddire che l'Abate mitrato Bernar-i dini le possiede in sommo grado: perfino nella corpulenza e fdltezza della persona, che ne fanno quasi un prelato del Rinascimento, che avrebbe potuto servir di modello a Tiziano e più tardi al Velasquez, e che qui, nella cornice dei claostri ogivali del Dugento, acquista un rilievo di italica modernità e di possanza. Atto di fine politica, l'invio del Padre generale dell'Ordine a presiedere alla restituzione del monastero, che mentre ha rialzato il tono e ili valore della cerimonia, ha portato qui ti segno della romanità cattolica, ha dato un •accento di forza e di permanenza al nuovo assetto. La processione entra ora nella chiesa — facciata settecentesca sui muri rudi del Duecento e del Trecento — che fa parte del corpus di edifici del Poblet, e i frati italiani si schierano intorno al Mitrato che, davanti all'immenso altare d'alabastro, prodigio cinquecentesco, quasi la facciata d'un palazzo marmoreo, tutto diviso in nicchie di santi dalla testa mozza (1835!) recita le frasi liturgiche che consacrano la presa di possesso del monastero. La cappa d'ermellino del Mitrato splende come una macchia di luce più chiara dinanzi alla vastità bianco-giallina dell'altare. Resurrezione di un Impero In tutti i presenti è una commozione profonda. Gente del paese, quante volte hanno sentito rammentare, nei racconti e nei ricordi tramandati da tempi lontanissimi, la vita piena e operosa e fervida del monastero, focolare di civiltà e di ricchezza spento da più generazioni! Tutta l'esistenza dei paesi intorno era legata all'immenso convento, e la risurrezione di Poblet è la risurrezione d'un morto impero, d'un'epoca rimpianta, è il ritorno di creature e di fantasmi dimenticati, è una rivincita degli antenati. La cacciata dei monaci data dal 1835; ma il 1835 in Ispagna è il 1793 in Francia; la tempesta rivoluzionaria e antireligiosa si scatenò qui con alcune decine d'anni di ritardo, come accadeva alle mode politiche e intellettuali che passavano i Pirenei; tutto si riallaccia alla Rivoluzione francese, di cui quell'uragano era come un risucchio. Il ritorno dei monaci esuli — che, durante un secolo e cinque anni di vita in Italia si sono naturalmente Italianizzati, e ora sono puramente italiani — non è una delle tante, facili cancellazioni dell'onta recente, è un salto favoloso e leggendario nei tempi, è il riallacciare con al-1 tri uomini, altro stile, in altro am- j biente una storia interrotta dai lunghi sommovimenti d'una socie-] tà ch'era ròsa da un pezzo da unaj intima crisi; è il riprendere un racconto placido e bello che si sta- ì va raccontando quando avvenne la tragedia, a cui tante altre ne! seguirono, che pare, in si pocoi tempo, impossibile ricordarle; e| che ora non possono più udire i quelli che facevano circolo allora intorno alla narratrice. Ma questa,1 che è la Storia, torna nei palazzi abbandonati, richiama intorno a scsè i nipoti del nipoti dei bambini I * _ , , , id'allor". E il racconto ricomincia Riccardo Forte Una bellissima istantanea, presa dal nostro inviato, della solenne entrata dei monaci italiani di Chiaravalle nel Monastero reale di Poblet,