Il martirio degli italiani nei campi di concentramento francesi

Il martirio degli italiani nei campi di concentramento francesi Il martirio degli italiani nei campi di concentramento francesi Lq prefazione del Ministro Pavolini a un volume che raccoglie la impressionante documentazione delle feroci persecuzioni poliziesche ——————| e e a a e a e d i , i i i e a e à e a , a e a a r e ì i Roma, 16 ottobre. A cura del Ministero della Cultura Popolare è stato pubblicato un interessante volume che raccoglie un'ampia documentazione corredata da fotografie e da facsimili di documenti sui maltrattamenti subiti dagli italiani nei campi di concentramento francesi. Il volume, di circa 500 pagine, reca la seguente prefazione del Ministro della Cultura Popolare eccellenza Alessandro Pavolini. « Or è più di un anno — tra la fine di agosto e i primi di settembre 1939 —- il Duce esperiva il Suo ultimo tentativo per evitare la guerra che Gran Bretagna e Francia si apprestavano a muovere alla Germania col pretesto del « corridoio » e di Danzica. Invano. La guerra — dalle due democrazie ■— venne dichiarata. « Un patto di alleanza universalmente noto legava l'Italia alla Germania. E durante i nove mesi in cui l'atteggiamento italiano fu di « non belligeranza », l'Italia tenne sempre a riconfermare l'assoluta lealtà del suo impegno. Avvenimento ben previsto « Se nella recente storia d'Europa si è mai dato un avvenimento non solo prevedibile e atteso ma scontato in anticipo, questo è appunto l'intervento italiano nella presente guerra. Si aggiunga, per quanto riguarda la Francia, che assai prima del 10 giugno il Governo Fascista aveva preso contatto col Governo francese per regolare il rimpatrio del rispettivo personale in missione diplomatica consolare giornalistica eccetera all'atto del nostro ingresso ne) conflitto. « Mai quindi una dichiarazione di guerra riuscì meno imprevista maCgozbriolcdstdtpildpcgsmadt1' ìStÌoÌE n°J;ifi^ata " 10 ^"Pibdall'Italia alla Francia, nelle più | tradizionali forme del protocollo internazionale. E per parte sua. l'Italia provvide al rientro delle rappresentanze francesi secondo le regole concordate e con lo stile di signorilità di una Nazione civile. Non un solo cittadino francese in Italia venne trattato meno che correttamente dalle autorità e dalla popolazione. « Per il fatto che in Francia non sia accaduto altrettanto nei riguardi degli Italiani non v'è dunque nessuna scusante: nessuna di quelle spiegazioni, se non giustificazioni, che possono derivare dalla fretta e dall'orgasmo di un avvenimento subitaneo o da una reazione di reciprocità sia pure trasmodante e moltiplicata. « Quel che successe in Francia e nelle colonie francesi nei confronti dei nostri connazionali — il 10 giugno e durante i giorni successivi — è quanto questo libro racconta con la voce schietta e ferma dei suoi documenti. « Ineccepibili documenti. Incompleti se mai, perchè si sono voluti ridurre al minimo le ripetizioni; senza dire che alla Direzione generale degli italiani all'estero e al Ministero della Cultura Popolare nuove testimonianze continuano ad affluire, delle quali non si è tenuto conto per non ritardare troppo la pubblicazione. Successive edizioni non potranno quindi modificare la tragica realtà che qui si espone se non aggravandola ancora nella misura complessiva e negli episodi. La caccia agli italiani In Francia la notizia della nostra dichiarazione di guerra non fu che il VIA per una organizzata e selvaggia caccia all'Italiano. A rivoltelle spianate, gli agenti irron nono di nottetempo nelle abitazioni, arrestano chi trovano e come si trova. Furi.', ingiurie e percosse accompagno no un po' dovunque l'operazicr.c che divide famiglie e disperde averi. E mentre all'Ambasciatore e all'Ambasciatrice d'Italia si offre, per attraversare Parigi, un carrozzone dei detenuti, a decine di migliaia Italiani di ogni età sesso condizione vengono stipati in carri bestiame e avviati ai campi di concentramento. II mito bugiardo della « quinta colonna » funge da pretesto poliziesco. « E c'erano, in quei giorni, ben iltisvlsnsc'erano, in quei giorni altre colonne contro cui gli uomi- ni validi si sarebbero dovuti sen- tire il dovere di combattere. Maparve che la Repubblica concen-trasse il residuo spirito organiz-zativo nella grande soperchieriaanti-italiana, dove impiegò contro inermi un numero di armati non trascurabile. Mentre la guerralampo bruciava le sue tappe in un settore almeno, la Francia non volle farsi battere in velocità. Incredibilmente rapida riuscì l'immensa retata degli Italiani, quasi nel timore che la preda sfuggisse e l'odio non facesse in tempo a sfogarsi. Nei campi di concentra- mento la gente del nostro sangueviene addensata in ambienti ini mondi e sottoposta a cevizie di aguzzini. Vernet. St. Raphael, Cyprien, Montech...; nomi di orrori che questo libro consegna ner sempre alla memoria delle gf__"\razioni fasciste. « C'è chi ammala inguaribilmente. C'è chi arriva al suicidio attraverso il delirio e la pazzia. C'è chi cade come Turletto: e raggiunge nel Cielo dei martiri gli operai di Aigues Mortes. « Leggendo queste testimonianze semplici dove, all'urto di una bieca ferocia, l'altissima superiorità della nostra gente risplende, occorre vincersi per conservare lucido il discernimento, tanta è la commozione e l'ira. Ma si tratta di uno sforzo necessario. Dalla sanguinosa esperienza occorre trarre tutti gli ammaestramenti di cui è ricca. Occorre dedurre tutte le conclusioni che essa comporta. Il gran lampo di odio antiitaliano investe la Francia di una luce sinistra e penetrante, svelandone l'intimo con una precisione preziosa. Esplosione di odio « Anzitutto è da rilevare: l'odio che esplode al 10 giugno contro gli Italiani in Francia non conosce discriminazioni di sorta. «Esplode contro gli operai, i minatori, i rurali, i meccanici, gli artigiani; contro i,dirigenti di industrie e di banche; contro gli intellettuali, gli artisti, i giornalisti, i professori. Accomunati nei maltrattamenti e nelle vessazioni troverete in queste pagine nomi di corte e di officina; colonizzatori della Tunisia e cattedratici della Sorbona, dirigenti delle organizzazioni fasciste e lavoratori e familiari di lavoratori alieni da attività politica militante. « Come questo odio non conosce differenze nel proprio oggetto, così non ha epicentro, non è legato a situazioni locali. Si manifesta uguale dal Marocco a Parigi, dalle città di provincia ai neeppbol-ghi della campagna: dovunque e o e e e a a n cdlsPasFrtcrpsil lavoro italiano" ha reso fertile la terra non saputa conquistare o tradita dai francesi; dovunque la intelligenza italiana portava il suo contributo inestimabile alla vita del paese; dovunque gli Italiani immettevano un flusso di sanità e un ritmo di equilibrio nella decadenza circostante. E' l'odio di governanti francesi, ebrei e meteci, i quali premeditano e ordinano gli arresti in massa; odio di ufficiali, di soldati, di poliziotti i quali eseguiscono gli ordini con l'aggiunta personale di una inaudita brutalità; è odio di folla che al passaggio degli Italiani indrappellati, al transito dei convogli, di là dai fili spinati dei campi, prorompono in invettive e minacce, iterando i medesimi miserabili ritornelli Sale italien! Sale macaroni! — a testimoniare come l'astio sia ge nerale, uniforme, antico, tenace... « E' insomma — occorre ren dersene conto e compenetrarsene — l'odio di tutta la Francia verso il Popolo italiano. <: Se alla fine della sua vita di larva retorica, la Latinità aveva bisogno di una pietra tombale, ec cola. Sotto questo blocco di docu menti il vecchio fantasma equi voco giace per sempre. « Secondo. A parte quanto ci offende come Italiani, il trattamento inferto dalla Francia ai nostri connazionali ci colpisce come europei: come partecipi, voglio dire, di una comune civiltà dei popoli di occidente. << Cne una particolare crudeltà albergasse nelle genti galliche, lo si sapeva dalla loro rivoluzione irta di picche, balenante di ghi gliottine, smisuratamente gron dante di sangue. Ma ci si era il lusi che il contatto sempre più frequente con le altre genti del Continente avesse a poco a poco smussato l'antica barbarie. Ci si era lasciati ingannare dai vezzi della politesse parigina. « Questo volume dimostra che l'acerba — ma anche franca e anche ardita — violenza di un tempo, lungi dallo scomparire o dall'attenuarsi, s'è andata invece corrompendo nel teppismo degli apaches e nel sadismo dei degenerati. Non per nulla la letteratura e il cinema dell'ultimo decennio francese appaiono tanto gremiti di malviventi su desolati sfondi di delinquenza metropolitana e coloniale. Non era quella dei libri di Carco o dei filmi di Renoir una falsa Francia: era astdva- una Francia autentica: quella a1 stessa che qui si scopre in piena -'e cruda luce con empiti di corru-j zione umana e anche con scorci a'di sporcizia ambientale quale non jo n n n i e a si potrebbe supporre esistano an- - ' pagine, corre una differenza che e'non è soltanto di stirpe o dì idea: cora — alla metà del Novecento — nel centro d'Europa. « Fra gli occupanti germanici Irreprensibili, fra i correttissimi soldati italiani, i quali a Mentane tengono il primo lembo delle terre che saranno nostre, e le canaglie monturate che con le loro triste gesta empiono queste centinaia di i r una differenza di educazione, di livello, di civiltà, talmente forte che nella ricostruzione di Europa non si potrà non tenerne il debito conto per un dovere di profilassi xociale e di igiene collettiva. « Nell'analizzare l'accaduto, si nota accanto al livore antiitalianoì se allo sfogo teppistico un elemento. Le naturalizzazioni terzo vsdl« Si trattò anche, infatti, di una : persecuzione indirizzata a uno sco-1 po preciso. Quale ? Quello di estor- i moecere al maggior numero possibilp| ddi Italiani una dichiarazione di lea-jalismo verso la Francia. è«Questo pure è da notare. Que-Usto pure è istruttivo. Mentre le mP«jizerdinsio)ie>i rombavano sugli!casfalti di Piccardia, e gli Alpini I sscalavano il San Bernardo, ]a'gFrancia ufficiale proseguiva dispe-l m1 atzmpvratamente la sua politica di « naturalizzazione » contro natura. « Nazione infeconda, essa non cercò mai seriamente di curare le radici morali della propria sterilità. Aveva scelto invece altre vie. potenza di unsanguare iL vecchi »i collegati dal lungo vin-!ndnmr-»-.- ilstati, dei falliti. Ne sceverava Ve- ! slstsdtsuoi ceppi colo unitario mercè l'apporto di quanti straripavano per legge di vita e di lavoro sulle sue terre disertate, figli di differenti razze prolifiche. Inoltre, essa non rifiutava affatto, anzi sollecitava il dubbio contributo degli elementi marginali di ogni società nazionale: il flusso dei rifugiati, degli spo-j Jil negro dal breo dall'ariano, bianco. « Tutto valeva a far numero. Numero, ma non blocco: tant'è vero che all'urto della guerra, al collaudo estremo, il conglomerato ecco si sfaldava, si fendeva lungo tutte le sue incrinature. « Ma ciechi anche davanti a questa evidenza, i dirigenti francesi i e e o e i o i a i a non seppero se non proseguire e I taccelerare — nell'imminenza stes-'vsa dello sfacelo e durante — la-sloro tradizionale politica della na-j turalizzazione coatta. Moltiplicai sdo le illegittimità, cercarono (in-'vvano) di strappare a centinaia d)l vmigliaia di persone appartenenti.na un popolo con cui la Francia si I Ptrovava in guerra una frettolosa' Bdomanda di cittadinanza francese ,dManovra propagandistica per di- ?mostrare una presunta diffidenza \di masse emigrate col proprio Go-. lverno e con le sue decisioni? O, come abbiamo accennato, rinnovato tentativo in extremis di inflazionare le cifre della popolazione? « L'una cosa e l'altra. Certamen cte un nesso intercorre fra codesto' tentativo in grande stile e il fattoi che. a un dato momento, milioni, di francesi preferirono — alla mor- te — la vita, sia pure accompa- gnata dalla disfatta e dalla pri-1 gionia. Oscuramente la Francia, sentiva che l'esito stesso della [guerra era per essa secondario di'fronte alla imprescindibile neces- i sita di far massa, di far numero... ! Finché la Francia restava al suo'livello demografico senza salassi | paragonabili a quello della guerra a a i n mondiale: sinché rimediava a une perdita di vite non rilevante sia pure attraverso mezzi di artificiosa coartazione, la Francia, questo paese demograficamente in bilico sull'orlo del fatale regresso, conservava la speranza — o l'illusione — di poter mantenere l'antico posto nella gerarchia europea. « Il numero è potenza: certamente. Ma è potenza quel numero che sorge dall'energia spirituale e fìsica di una razza. Non è potenza — è anzi debolezza — il numero ottenuto artificiosamente per via di imposizioni agli immigrati (o per la scorciatoia obliqua del mejticciato). La sconfitta francese ne fornisce la più chiara riprova. « Nè potrà restare potenza, e grande potenza. nell'Europa di domani, un Paese che non possiede T>iù in se stesso le forse per mantenere e accrescere il proprio numero: ed è portato, perciò, — co-1me questo libro conferma — a me- itodi inammissibili di trasferimento |forzoso da una a un'altra naziona-1lità, tentando di imporre con la violenza quella cittadinanza chelin uno Stato degno di questo nome 'è un bene prezioso da concedere icon la più gelosa parsimonia. « Queste pagine gridano ven-detta. Ma non è vendetta quel che noi perseguiamo. « Soltanto quando sarà venuto il momento di reintegrare all'Ita-- lia le popolazioni e le zone che le spettano nonché di operare tutta una salutifera revisione delle posizioni francesi, riportando la Francia al suo limite e indicandole la via del risanamento, non si venga a chiedere proprio all'Italia serve solo a rendere vacillante la mano del chirurgo ». o quella 'pietà» che in questi casi

Persone citate: Alessandro Pavolini, Cyprien, Duce, Pavolini, Renoir, Turletto, Vernet