I fatti parlano

I fatti parlano I fatti parlano Intorno ad ogni evento determinato dall'iniziativa dell'Asse la propaganda britannica segue un ormai abusato metodo che vagola tra le menzogne più impudenti e i calcoli più sottili che finiscono per tradursi nella più sciocca puerilità. Data la frequenza dei convegni fra i ministri d'Italia e di Germania se ne volle dapprima trarre la conclusione di presunti contrasti sugli aspetti attuali della lotta come pure sugli sviluppi successivi della collaborazione tra Roma' e Berlino. Poiché nessuno, anche fra i più proclivi per congenito servilismo alle plutocrazie e per la brama di veder mutate in reaità le proprie aspirazioni intime, ha abboccato a tale infida esca di Duff Cooper, Londra è stata costretta a cambiar tattica e campo di manovra: l'incontro del Brennero sarebbe dovuto alle preoccupazioni dei due Dittatori per il prolungarsi della guerra. Ed è l'ufficiosa Reuter che svela la parola d'ordine arrivando a scrivere persino di un progetto di pace da parte delle Potenze dell'Asse le quali non sarebbero più affatto sicure sulle sorti finali del conflitto. Noi non vogliamo credere a tanta stupidità britannica da lasciarsi illudere da simili prospettive; se così fosse risulterebbe provata ancora una volta l'inferiorità mentale e psicologica dei nostri avversari che ha già loro procurato le più cocenti delusioni. Piuttosto è da rilevare in questo atteggiamento uno di quei tentativi di sondaggio a cui accennavamo nel primo commento al colloquio del Brennero. I dirigenti inglesi nel marasma che li avvolge e li soffoca cercano di sapere, di intravedere le iniziative dell'Asse sperando di potersi meglio preparare a reagire ai colpi. Fatica vana; le indiscrezioni appartengono al bagaglio societario e democratico; il Fascismo e il Nazionalsocialismo, Mussolini ed Hitler hanno sempre preferito di lasciar parlare i fatti. Così avverrà anche stavolta. E per fatti bisogna intendere principalmente avvenimenti di carattere militare. Le discussioni, i compromessi sono ormai impossibili; l'ultima occasione per un accordo sulla soluzione dei tremendi problemi agitantisi nella guerra si ebbe col discorso del Fuhrer nel luglio scorso; da allora la decisione è alle armi e si tratta di una decisione che investe tutto il complesso dell'impero britannico, che non può più essere circoscritta a questo o quel settore. Winston Churchill, strumento di un inesorabile e provvidenziale fato storico, ha voluto che bruciassero tutti i ponti; così il destino si compie. Ancora ieri egli ha voluto dare una stretta alla sua intransigenza cieca e infatuata chiamando a collaborare intorno a sè i più fanatici. E' un segno di forza? A noi non sembra affatto; sarebbe se mai un segno di forza che gli elementi già un tempo a lui ostili si fossero oggi convinti della bontà dei suoi metodi. Comunque per noi si tratta di questioni secondarissime; noi vediamo veramente il dito di Dio in questo incupirsi di odio selvaggio, in questo chiudersi di volontà forsennate, sintomi certi della dissoluzione e della fine. La rabbiosa incoscienza chiama su di sè la giusta punizione; essa è già in atto; essa lo sarà ancora più domani: questo è il più esatto angolo di visuale per comprendere l'incontro del Brennero. I fatti già per loro conto sono tutt'altro che muti da ogni lato che li si consideri. L'offensiva su Londra e sui punti più delicati dell'organizzazione bellica inglese prosegue martellante e inesorabile; non ci sarebbe da stupirsene se in questa settimana non avessero fatta la loro comparsa le pioggie e le nebbie, cioè gli elementi lgsgdcrsslrsqtfsrtdndltpGgdsainTf t e le speranze britanniche. Ciò significa che non vi saranno soste e tregue; l'Inghilterra non godrà dell' auspicato periodo di pausa e di raccoglimento che avrebbe dovuto servirle a riparare parzialmente i guasti subiti e a intensificare il suo sforzo di preparazione. Il prolungamento della guerra peserà molto più gravemente sulla sua potenzialità che non su quella degli Alleati dell'Asse. Se ci rivolgiamo ad un altro terreno, quello diplomatico (ma fin dove arrivano i limiti di separazione in tempo di guerra?) abbiamo oggi un documen to di importanza eccezionale, le dichiarazioni del Principe Konoe. Si ricorda che l'indomani del Patto tripartito le sirene londinesi non cessarono di tentar di .accarezzare l'amor proprio nipponico presentando il Governo di Tokio come un ingenuo preso nelle reti infernali di Roma e di Berlino. E non solo Londra giuoco di astuzia; a Washington Sumner Welles in dichiarazioni che si servivano di tutti i toni non mancò di gettare l'amo verso i giapponesi affermando che non esisteva problema asiatico che non potesse essere risolto pacificamente discutendo intorno ad una tavola; dei giornali di oltre Atlantico fecero eco avanzando la proposta di nomine di commissioni, di convocazioni di conferenze, così come ai tempi beati di Ginevra. Il Primo Ministro giapponese, statista la cui personalità sta assumendo una sempre più spiccata autorità storica, ha precisato il punto di vista del suo Paese con una chiarezza che non ammette alcun equivoco: gli Stati Uniti debbono riconoscere i compiti direttivi fissati a Berlino per l'Asia e per l'Europa se desiderano il corrispettivo riconoscimento delle funzioni direttive degli Stati Uniti nell'emisfero occidentale. La cooperazione è concepibile solo sotto questa condizione; altrimenti Washington manifesta la volontà di lanciare una sfida che sarà raccolta dai firmatari del Patto di alleanza. Il ragionamento di Konoe è di una logica cruda e serrata che non ammette le deviazioni coltivate dalle due sponde dell'Atlantico; la proposta di conferenze è seppellita sul nascere poiché il Giappone non può adattarsi ad ingerenze americane nel continente asiatico. Subito dopo la firma il Patto del 27 settembre è entrato in azione con fulminea totalitarietà così come era stato concepito nella lettera e nello spirito; e se ne fa paladino proprio il Giappone che, secondo la propaganda anglo-sassone, vi avrebbe fatto figura di contraente riluttante e pieno di riserve!... Alfredo Signorettì

Persone citate: Duff Cooper, Hitler, Mussolini, Washington Sumner, Welles, Winston Churchill