L'ostilità inglese contro l' Italia per la guerra d'indipendenza del '59 di Marziano Bernardi

L'ostilità inglese contro l' Italia per la guerra d'indipendenza del '59 L'ostilità inglese contro l' Italia per la guerra d'indipendenza del '59 Un giudizio di Cavour: "La mediazione inglese è una perfidia,, - Un confronto del Ministro degli esteri inglese del tempo: "L'Austria ha lo stesso diritto alla Lombardia e al Veneto che l'Inghilterra all'Irlanda e all'India,, Basta aprire uno dei tanti libri sulla storia politica dell'Ottocento per trovarvi il vecchio luogo comune sulla tradizionale amicizia inglese verso l'Italia. E* la frusta idea rimasta incavicchiata nel cervello di tanti, troppi italiani quasi fino alle sanzioni malgrado le iniquità di Vcrsaglia. E' la incrollabile persuasione della quasi totalità degli stessi inglesi, feriti al cuore dalla nostra nera « ingratitudine », convinti in fondo che siamo in preda a un accesso di follia dalla quale tosto o tardi rinsaviremo dopo la loro « vittoria », per riprender docili il nostro posto di pupilli generosamente protetti dalle ali di Albione: e ce lo lasciano intendere anche nei volantini che piovono ogni tanto dai loro velivoli notturni. Cavour e gli « Hargneux insnlaires » «Val meglio una cosa assurda, che sia sempre stata fatta, diceva lord Balfour, che una cosa savia che sorga all' improvviso ». Meglio quindi, secondo la mentalità inglese, una menzogna tenacemente ripetuta fino all'acquisizione di una sua pscudo verità storica, che la sincerità cruda e la realtà dei documenti. E' a questo modo che l'egemonia mondiale può diventare un « dovere », la conquista violenta una « missione », la schiavitù di centinaia di milioni d'uomini quello che Kipling chiamava gravemente « l'obbligo dell'uomo bianco ». Come il puritanismo vittoriano chiudeva gli occhi davanti agli slums perchè restassero salve le apparenze, le convenzioni e soprattutto la decenza, ed esigeva dai tragici libri di Dickens almeno un rasserenante « lieto fine ». così il classico liberalismo inglese ancor oggi si gloria d'aver tenuto a battesimo la liberale Italia del '59. Di quale acqua fosse pieno quel fonte l'aveva capito Cavour, nelle sue mirabili schermaglie col ministro inglese a Torino, James Hudson: « L'intima alleanza stipulata con la Francia deve, ben 10 comprendo, alienarci l'Inghilterra e perciò la vostra missione diventa sempre più difficile e penosa... Dobbiamo porre la nostra attenzione a non irritare questi hargneux insulaires ». Sue parole ad Emanuele d'Azeglio, tre mesi prima della guerra. Ora la guerra del '59, pietra miliare nello sviluppo dell'unità e dell'indipendenza della nostra Patria, fu voluta, preparata e condotta contro la volontà e contro la politica manifestatasi nella maniera più intransigente da parte dei governanti inglesi. Octave Aubry nel suo Second Empire non tralascia d'insistere sulle preoccupazioni di Napoleone III alla vigilia della campagna d'Italia. «Che farà l'Inghilterra?». A Compiègne, dove ha inviato i due capi dell'opposizione whig, tenta di sondarne le intenzioni, e se Palmerston è più riservato, Clarendon non nasconde addirittura 11 suo spavento. Avesse Napoleone III ascoltato uno solo dei consigli di lord Cowley od una sola delle parole che, concertate col Principe Alberto, la regina Vittoria gli scriveva minacciandolo di privarlo della sua « amicizia », anche a parte l'ostilità dell'imperatrice Eugenia, di Walewski, di Persigny, di Morny e di quasi tutta la diplomazia francese, sul fantasma di Plombières, su quel piccolo affascinante ministro pie montese, occhialuto dèmone ten tatore, sarebbe scesa una pietra tombale. L'unico uomo di Stato europeo il quale — dopo l'incauto e provvidenziale ultimatum au striaco —- tenta ancora di impe dire a Napoleone III di schierar si col Piemonte per la liberazione della Lombardia e del Veneto, è il ministro degli esteri inglese lord Malmesbury; e lo tenta con un sotterfugio tipicamente britannico: inviando cioè un dispac ciò a Torino per far credere il Governo austriaco ancora ignorante dell'adesione di Cavour alle ultime proposte inglesi, consistenti nel disarmo preliminare del Piemonte e dell'Austria e nella ammissione degli Stati italiani al Congresso. Non solo: ancora il 28 aprile, dopo il fatale rifiuto del conte Buoi a questa partecipazione, il Malmesbury si sforza di raggiungere una mediazione, a patto che le forze austriache restino sulle loro posizioni. Ci vuole il telegramma dell' impaziente Francesco Giuseppe al generale Gyulai: « Dovete prendere l'offensiva contro la Sardegna e i suoi alleati », per far crollare l'ultima speranza del tenace lord. L'incomprensione della tragedia italiana tSvmrliaLrlsetdsopusictelrnzqtoleliD«scrpasrmgBm'aenpsdarssplnlaoftrbcccmcsltsL'avversione dell'Inghilterra ad una guerra destinata a dare all'Italia la sua indipendenza fu diplomancamente condotta « fino all'ul timo sangue ». Uno dei grandi me riti del recente libro di Alfredo Si gnoretti, Italia e Inghilterra durante il Risorgimento (Istituto per gli studi di politica internazionale, 1940, XVIII) è la limpi da imparzialità storica che conferisce alle sue argomentazioni, :il di sopra di qualsiasi più legittima ed appassionata contingenza polemica, un valore di scrupolosa probità. Parlano soltanto i fatti e i documenti, e perciò il serrato gioco diplomatico che alla vigilia della guerra del '59 si svolge fra Inghilterra, Francia, Austria, Piemonte, ' Prussia e Russia, balza in tutta la sua convincente chiarezza. L'h guaribile incom prensione britannica della inelut- afiip tabilità delle grandi catarsi della Storia vi è denunciata con nitido vigore: « La divisa della diplomazia britannica, da Malmesbury fino ai più umili segretari di legazione presso le varie corti italiane, fu di conservare la pace ad ogni costo, ed esaminando il Libro blu su tale periodo si è meravigliati dell'immensa mole di lavoro condotto a Saint-James e si è convinti che ivi tutto quanto era umanamente possibile fu fatto per evitare la guerra; l'errore di tutta quella brava gente consistette nel non aver afferrato che ormai gli interessi in giuoco non potevano essere sistemati senza un cozzo sanguinoso: l'incomprension^ della storia e della tragedia italiana era alla base ». Errore che — ancora una volta — si potrebbe definire di «umanità»: errore che farà scattare Cavour, lo stesso 28 aprile quando la guerra sarà irrimediabilmente decisa, nella celebre fra::e: « La mediazione inglese è una perfidia ». Perchè una perfidia? Perchè questo cocciuto perseverare nel tentar ogni mezzo che impedisse od almeno lungamente ritardasse la riscossa d'Italia? Pure, nel 1851 eran state pubblicate le famose lettere di Gladstone ad Aberdeen in cui il Governo borbonico delle Due Sicilie era presentato come « la negazione di Dio eretta a sistema di governo », e Palmerston, compiacendosi con lui, si dichiarava convinto che la pubblica opinione britannica dovesse essere agitata dalle terribili denunce. Ma è da ideologi prender questi sentimenti (mito di un'Inghilterra vindice della libertà d'Italia come d'ogni popolo oppresso) per giudicare la politica della Gran Bretagna nei nostri riguardi, prima ed anche dopo la guerra del '59. Lasciamo andare il personale astio della regina Vittoria contro Carlo Alberto, da lei considerato e bollato come un volgare predone; ma lo stesso atteggiamento politico di Palmerston (il ministro solitamente dipinto quale 11 grande « amico » dell'Italia) fra il '48 il '49 è sintomatico. Prima, egli accoglie la dichiarazione di guerra del 23 marzo con scarso entusiasmo: « l'avvenire era minaccioso, l'assetto territoriale europeo poteva essere sconvolto anche nelle linee cardinali a cui aderiva nettamente l'interesse britannico; la fine o l'Impotenza dell'impero austriaco, il flusso oltre le Alpi e oltre il Reno della preponderanza francese erano mali irreparabili per la grandezza di Albione ». Solo i primi successi delle armi piemontesi spronano poi i ministri liberali (col consueto atteggiamento britannico a simpatizzare col vincitore quando la vittoria coincida col suo interesse) a favorire — continua il Slgnoretti — « la for mazione di un regno indipendente che comprendesse tutta l'Italia settentrionale e costituisse una so lida barriera alla secolare rivalità nella pianura padana tra l'Austria e la Francia ». Anche Palmerston ostile ccrclsme«scrappsstszcqscmiersicfcsqnuera lctnrzfdea a i o a a , e - E' l'eterno calcolo britannico arido, egoistico, intimamente perfido, che incatena ogni sentimento anche se pure il sentimento esiste, che trema di scoprire una sola delle sue batterie, e perciò tempo reggia, moltiplica le astuzie, spia la minima circostanza favorevole, tende le fila di infiniti raggiri. Os serva il Signoretti: «L'equilibrio italiano stabilito dai trattati del '15 soddisfaceva gli Interessi bri tannici: nessuna mania quindi di mutamenti territoriali esistette in Inghilterra nei diversi uomini e nei diversi partiti al governo, fintan tochè gli eventi maturati per ope ra nostra o di altre nazioni misero gli statisti Inglesi di fronte a fatti o a tendenze da cui non si poteva prescindere. Invano nel 1854 Manin si sforzava di dimostrare a Palmerston che all'Italia era necessaria innanzi tutto la sua unità nazionale ». Quando poi Cavour si recò a Londra, dovette liberarsi « subito della dolce illusione » per un momento coltivata durante i colloqui col Clarendon. All'Inghilterra occorreva un'Austria abbastanza forte per contenere la Russia, ma non soverchiante nell'equilibrio europeo; un Piemonte abbastanza solido per non subire un'egemonia francese; una Francia che fosse tenuta in rispetto dall'impero asburgico. Occorreva perciò contare soltanto sullo spirito avventuroso, romantico e -agamente cospiratore di Luigi Bonaparte e sulla gloria militare indispensabile alla nuova dittatura francese. Dopo Plombières i sonni di lord Malmesbury sono agitati. La potenza britannica usciva indebolita dalla rivolta delle Indie, la sua industria stava conquistando i mercati europei ed una guerra avrebbe rovinato il suo commercio. Le parole dette con gli occhi socchiusi da Napoleone III all'ambasciatore austriaco HUbner al ricevimento di Capodanno del 1859 facevano balenar la prospettiva che « la Francia avrebbe potuto ritrarre da perturbamenti dei vantaggi territoriali, e la Francia di quegli anni sembrava ritornata agli splendori del Primo Impero; tutto ciò mentre la Russia si estendeva in Asia e nel Mar Nero, e appariva pronta a spezzare alla prima occasione i vincoli impostile dal trattato de! 1856 » La simpatia per la causa italiana era in certe classi inglesi superficialmente diffusa, ma la sterlina rivendicava i suoi diritti e soffocava qualsiasi sentimentalismo. Di fronte a un slmile aureo idolo lo stesso Malmesbury non esitava a di- chiarare (in un dispaccio segreto) che « l'Austria aveva lo stesso diritto alla Lombardia e al Veneto che l'Inghilterra all'Irlanda e all'India»; e con il Cowley, ambasciatore a Parigi, si lagnava che mentre nessun interesse francese era in urto con l'Austria, c'era « uno Stato » e c'erano delle « persone» (leggi Piemonte e Cavour) che avevano interesse a trascinare i due imperi In una guerra « per accrescere il proprio territorio e per rafforzare la loro posizione personale». Si badi bene: accrescimento territoriale, non sacrosanto diritto a un'unità patria; in pdtvteresse personale, non meraviglio-t so ardore e disinteressata abnega-jzione. Cosi il lord inglese giudi-!cava la rivoluzione italiana. In ] queste parole v'è la sintesi del pen-1 siero politico britannico da due se-! coli in qua. jAnche per il nostro grande « a-1 mico » Palmerston la questione italiana, nel gennaio '59, doveva esser risolta attraverso adeguate riforme: e premeva in tal senso sul cancelliere austriaco Buoi; ma il 3 febbraio, in Parlamento, dichiarava: « Una tal guerra significherebbe avvolgere l'Europa in calamità che sarebbe difficile descrivere, per una causa che, per quanto in astratto desiderabile, non giustificherebbe i pericoli di un tale procedere ». Il linguaggio politico inglese non è mutato in co e materialistico concreto, cioè la salvaguardia della propria ricchezza. La Regina costernata dalla vittoria di Montebello ottant'anni: dal 1859 al 1939: da I un lato il desiderabile astratto, I dall'altro (e soverchiarne) il bie-1 Questa è la base degli innumerevoli tentativi di mediazione svolti dal Governo inglese, con diecine di dispacci giornalieri alle varie Corti europee, dai primi annunzi della guerra liberatrice d'Italia fino all'irrevocabile telegramma di Francesco Giuseppe al Gyulai; e il Signoretti li segue ed analizza si può dire ora per ora. Tutto dalla Gran Bretagna fu diplomaticamente tentato perchè il Ticino non fosse varcato. Non per nulla Vittorio Emanuele II, nella sua rude franchezza, aveva detto a Cavour: « Soprattutto non lasciamoci irretire dalla diplomazia: per giungere a un risultato è necessario il cannone ». Ma anche quando cominciò a tuonare il cannone, l'astio britannico acuito dalla delusione delle mediazioni fallite ap- parve in molti significativi episodi oltre che nella costante ostinata illusione di arrestare la guerra. Un bastimento ingles? entrando nel porto di Livorno liberata si rifiutò di salutare la bandiera di Vittorio Emanuele; ne nacque un vivace incidente diplomatico fra Torino e Londra. Quando il Piemonte dichiarò, cacciato il Granduca di Firenze, di assumersi la protezione dei toscani all'estero, l'Inghilterra protestò e spinse a simile atto anche la Turchia. Ed una solenne protesta inviò il governo inglese in difesa della violata neutralità della Duchessa di Parma quando le truppe sarde oc cuparono Pontremoli. La Regina Vittoria e il Principe Consorte erano particolarmente accesi di un furore antitaliano; la splendida vittoria di Montebello, pura gioria della cavalleria piemontese, li gettò nel dolore e nella rabbia tan to da mostrare la loro ansia di fare assumere all'Inghilterra il suo posto di responsabilità naturalmente a fianco dell'Austria: fu lo stesso Malmesbury che fece loro comprendere l'assurdità di una simile direttiva. Ma Vittoria e il suo consorte e inspiratore sono divorati da un'ansia febbrile; per tutto il mese di maggio la Regina — scrive il Signoretti — « continuò a inviar lettere ai suoi ministri, ora difendendo il diritto dell'Austria, ora rilevando l'infrazio I ne portata ai trattati del 1815 dalI l'assunzione di Vittorio Emanuele 1 del governo di Toscana, ora biasimando il linguaggio dolce non compromettente verso la Francia. Essa nutrì la speranza che la guerra potesse essere arrestata sul Ticino; e quando l'imperatrice Eu genia le scrisse perchè si adope rasse a trattenere la Germania dall'aiutare l'Austria, rispose che ciò era nelle mani di Napoleone: non passasse egli il Ticino... ». Il passaggio del Ticino nella primavera del '59 fu il momento culminante della crisi risolutiva dell'unità italiana; ebbene il più rigoroso e obiettivo esame storico deve giungere alla conclusione che l'avversione più continua e sistematica a che tale evento si producesse venne da parte dell'Inghilterra: se la volontà britannica si fosse potuta attuare, il moto unitario italiano avrebbe ricevuto il più pericoloso colpo di arresto Questa è la verità storica che non può essere influenzata e tanto me no modificata dai successivi adeguamenti dei liberali inglesi alle nuove realtà maturatesi contro i desideri e la politica di Londra. Marziano Bernardi