I Brea, pittori di Nizza

I Brea, pittori di Nizza ITALIA OLTRE IL VECCHIO CONFINE I Brea, pittori di Nizza La gloria pittorica di Nizza e del Nizzardo è la famiglia dei Brea: Lodovico — che gli autori francesi chiamano Luigi —, i suoi fratelli Pietro ed Antonio, dei quali però il primo nulla ci ha lasciato di certo, ed infine Francesco, così ligio seguace dello zio Lodovico nei modelli, negli schemi, nell'ispirazione che se non fosse la più robusta vena di questo e la fiacchezza ritardataria di quello l'uno potrebbe esser facilmente confuso con l'altro. Pittori francesi? Inutilmente i critici d'oltre Varo si sforzano di far rientrare la scuola nizzarda, di citi Lodovico Brea è il massimo rappresentante, nella sfera d'influenza della scuola provenzale; inutilmente Carlo Sterlxng — per citare uno scrittore che recentemente s'è occupato dei Primitivi francesi — parla, a proposito della pittura di Nizza sul finir del Quattrocento, di «Provenza orientale*, che è un elegante modo per sfuggire alla definizione di « Liguria occidentale ». Se Gandolfino da Roreto, piemontese nato nelle vicinanze di Bra e vissuto ad Asti, avesse avuto maggior talento e più ampia informazione delle correnti stilistiche contemporanee, avrebbe dipinto precisamente sulla linea di Lodovico Brea, che non diverso da quello del nizzardo era il suo ideale estetico. Del resto una prova della « italianità » del gusto del Brea, è che le più copiose richieste di lavoro gli vennero da centri liguri: Genova, Savona, Dolceacqua, Montalto Ligure, Ventimiglia e soprattutto Taggia. Perchè lo stesso non era avvenuto, ad esempio, per Giovatali Mìraìlhel, qualche decennio prima, squisito artista di Montpellier che prima del Brea ebbe assai fama a Nizza ma che, malgrado le influenze catalane, svolse l'opera sua in un c'ima culturale schiettamente francese? Le due «Pietà» Evidentemente perchè Lodovico — come gli rimprovera appunto 10 Sterling — dopo aver dipinto nel 11,75 « nella sua ancona di Cini iez una Pietà nettamente derivata dalle tradizioni avignonesi benché vicina ad una Santa Caterina il cui tipo è tolto dal Borgognone, nei suoi quadri susseguenti si lascia sempre più dominare dall'influsso piemontese, del quale suo figlio Francesco diventerà schiavo del tutto». Con l'errore storico di scambiare un nipote per figlio, lo Sterling ne commette un altro critico: quello di notare un elemento non provenzale nella Santa Caterina a destra della Pietà e di non accorgersi che il San Martino, a sinistra nella stessa ancona di Cimies, è una pittura inconfondibilmente italiana, che fa pensare ad un Gentile da Fabriano se non addirittura a un Gozzoli. Certo quel Cristo morto che la Madonna contempla con tanto soave accoratezza sotto il gentilissimo volo degli angeli piangenti intorno alla Croce altro non è che un ricalco, persino nel lungo braccio stecchito e negli scheletrici piedi martoriati, del mirabile modello della celebre Pietà di Villeneuvelès-Avignon, una delle più alte e drammatiche espressioni dell'arte religiosa di tutti i tempi. Questa sublime scena, di cui la critica non è ancora riuscita a stabilire l'autore ma che rivaleggia in suggestione con quelle analoghe dell'Angelico al Museo di San Marco e di Ruggero van der Weyden al Museo di Bruxelles, fu dipinta fra 11 11,50 e il 11)60, ed il Brea non potè non vederla; e tanto dovette rimanergli impressa che poi la ripetè, trent'anni dopo il quadro di Cimiez, nella Pietà detta del Parroco Teste, della cattedrale di Monaco: meno scarnita, però, nel divino cadavere, raddolcita nel tocco e nelle ombre, e resa più cordiale poi (se la parola s'adatta a simile soggetto) dalle figure dolenti del Sun Giovanni e della Maddalena: insomma, d'un discorso più italiano; scomparso è anche il fondo oro del cielo (le nubi che si vedono' nell'ancona di Cimiez sono un'aggiunta posteriore), ed il suo posto è preso, nella Pietà di Monaco, da un tenero azzurro sul quale si profilano basse montagne, 1 Appennino ligure. In quei trent'anni, infatti, Lodovico Brea, che avrebbe potuto benissimo gravitare verso i centri d'attrazione provenzali, era diventato nient'altro che quello che la sua nascita stessa suggeriva: un buon pittore italiano di nette preferenze per gli esempi lombardo- piemontesi, un onesto, coscienzio so maestro di non grande ardire di fantasia, di non potente tem peramento, preoccupato anzitutto di soddisfare i numerosi committenti, ma sicuro di mano, abilissimo nel mestiere, e spinto dalla sua indole senza dubbio mite e riflessiva a crear figure di santi e di sante, d'angeli e di madonne tutte spiranti una malinconia va ga o una raccolta adorazione o un gaudioso sacrificio. La sua in tera opera fu a servizio della Chiesa, ed egli non esitava a ri copiare diligentemente, nelle predelle e nei pannelli laterali delle sue Assmizioni, dei suoi Battesimi delle sue Crocifissioni, le composizioni e i personaggi che già prima aveva dipinto in altre ancone. Eran tanto piaciuti, e nessuno gli chiedeva di far del nuovo, di non ripetersi; per questo conservava i suoi cartoni e se ne serviva più e più volte. Ma questa stessa pigri zia intellettuale esclude subito die si possa concordare col Labande, che nel suo minuziosissimo e diligentissimo libro sui Brea, peintres nicois du XV et XVI aiècles en Provence et en Ligurie (Nizza, 1937) pone Lodovico all'altezza di im Froment e di un Vincenzo Foppa, e più in là, per la quantità della produzione, lo paragona ad alcuni grandi maestri del nostro Rinascimento. Una simpatica immagine Portato invece su un equo piano di giudizio il Brea diventa uno dei più simpatici pittori dell'Occidente italiano. Simpatica è la sua figura d'uomo generoso e scrupoloso, sollecito dell'avvenire delle figlie e dei nipoti (alla figliuola Francischetta costituiva una bellissima dote e per di più regalava una casa), corretto quasi sempre nel rispettare i contratti; simpatica è la sua figura di artista che, per nulla insuperbito dai successi, volonterosamente si reca a lavorare in piccoli borghi liguri e soddisfa le ingenue ambizioni di poveri prelati, .' modesti conventi. Mi dispiace eh la critica del Labande, suffragata da vari eruditi pareri, tenda a distruggere la tradizione che nella figura del San Pantaleone dipinto in alto a destra della bella Annunciazione c/te è nel Convento dei Domenicani di Taggia ravvisava l'autoritratto del pittore. E' un caro omino dagli occhi mansueti, dagli zigomi sporgenti sul viso ossuto, con barba arriccia, capelli lunghi che gli sfuggono dal berrettone. Ha mani delicate ed esili da intellettuale, e i guasti della tavola danno un che di sdrucito all'abito, che mi pare adatto. Doveva averlo logorato quell'abito girando da paese a paese, su pei clivi grigiargento della Liguria. Vivendo per tanti anni con pescatori e contadini, preti solitari e frati ormai dimentichi del mondo, dormendo nei conventi e cibandosi parcamente, i suoi costumi e i suoi pensieri certo s'eran fatti semplici. In quei villaggi dipingeva santi, madonne, martiri, si levava all'alba al primo richiamo del gallo, andava a letto col tramontar del sole, lavorava finché durava la luce. Anche quell'essersi posto quarto, nella pittura di Taggia, con Sun Domenico, San Gregorio e San Sebastiano, non mi sembrerebbe un troppo grave peccato d'orgoglio. Coi santi non aveva forse dimestichezza quotidiana? Non prestava loro anima e sentimenti, che in fondo erano i suoi? Invece, addio autoritratto. Ecco i guai dell'erudizione. L'attività certa di Lodovico Brea va dal 11,75, anno della Pietà di Cimiez, al 9 marzo 1322, data della consegna d'una Annunciazione, oggi perduta, eseguita per la parrocchiale di Chàteauneitf-deGrasse. Le sue opere sicure sono diciotto, fino al San Giorgio di Montalto Ligure, collocato nella chiesa nel 1516, ma circa altrettante possono essergli attribuite senza passar per temerari. Morì quasi certamente nel 1523, varcata la settantina, a Nizza dov'era nato. Verso il gusto italiano Modesta fantasia artistica, s'è detto, la sua; ed infatti quando verso il 1485 dipinge la Madonna della Misericordia di Taggia si attiene senz'altro ad un modulo allora diffusissimo dal Piemonte alla Provenza, di cui noi abbiamo un esempio delizioso nella tavola di Casa Cavassa a Suluzzo (la tavola col ritratto del marchese Ludovico II e di Margherita di Foix), e ch'egli aveva avuto sott'occhio a Nizza nella pittura del Mirailhet. E' lecito affermare che forse a questi moduli si sarebbe assai più a lungo mostrato fedele se non aves se visto nel 11,90 lavorare accan to a sè, nella chiesa di Santa Maria di Castello a Savona, Vincen zo Foppa? Il Labande sostiene che quella collaborazione non ebbe grande influenza, e che quanto il Brea dipinse dopo il 11,90 avrebbe potuto uscire anche prima dalla sua bottega; ma è certo che da allora il suo stile si fa progressivamente più libero e personale, tanto che il Labande stesso è costretto a postecipare di circa trent'anni la data della robusta Crocifissione di Palazzo Bianco a Genova, dove di pittura oltremontana nel sontuoso corpo del Cristo non v'è più nessuna traccia. Del resto le influenze del maestro lombardo — come già scrìvevamo qui cinque anni fa in occasione di una mostra dei Brea nel Convento domenicano di Taggia — saltano all'occhio solo ad osservare i volti dal bell'ovale delle Vergini e delle sante del Brea, le forme placide, sostenute, ben modellate ad ombre, il tornito corpo del San Sebastiano nell'Annunciazione di Taggia, ch'è schiettamente fo'ppcsco; e la libertà aggraziata degli sfondi, l'incisiva fermezza dei molti ritratti che si scorgono nell'affollato Paradiso della chiesa di Santa Maria di Castello a Genova, denunziano poi un deciso e rapido orientarsi del pittore nizzardo, che motto aveva viaggiato e moltissimo aveva veduto, verso il gusto rinascimentale italiano. Benché arricchito d'esperienze resterà sempre un artista un po' timido, un pittore prò vincialc di talento- e'ver attestò . , IUIC»to> <• pei qttesio\ ivt prmClpio abbiamo citato Gah- dolftno. Ma sia lui che il fratello]Antonio ed il nipote £Y(()!cesco,|,.i,„ f;„..A .. j ... .che fissò addirittura la sua resi denza a Taggia almeno fino al 151/7, fra l'ima e l'altra riva del Varo spiritualmente scelsero quella orientale; e dal loro nome alla loro arte restarono italiani. Marziano Bernardi Lodovico Brea. La « Pietà » della chiesa di Clmiez, Nizza (1475). Presunto autoritratto del Brea. Particolare della u Annunciazione » di Taggia.