A PARIGI CON I TEDESCHI di Concetto Pettinato

A PARIGI CON I TEDESCHI A PARIGI CON I TEDESCHI Parigi, 22 giugno. Quando, nel 1930, detti alle stampe, intitolandolo: A Parigi coi francesi, quel libro sulla Francia di cui forse qualcuno ancora un po' si ricorda, presentivo il tracollo di questo popolo troppo felice, ma non pensavo davvero che di lì a dieci anni avrei potuto scrivere Collo stesso inchiostro un articolo intitolatale: «A Parigi coi tedeschi ». Nè quando, il 18 luglio 1939, un funzionario della Prefettura di polizia mi consegnò il decreto di espulsione che mi ingiungeva di lasciare entro 48 ore il territorio della Repubblica, avrei giurato di poter rientrarvi meno di un anno dopo, senza bisogno del permesso del signor Langeron. Il fantasma di Napoleone Ma le cose più strane accadono ili questo nostro tempo di meraviglie, ed ho preso da un pezzo il partito di non stupire di nulla. Avevo lasciato Parigi felice, ricca e pomposa, piena di orgoglio e di sicurezza di sè; ho ritrovato due sere or sono una città deserta e tetra, rannic' chiata e come diminuita di statura, solcata di tutte le rughe della decrepitudine e della stanchezza. Passando per piazza Venderne mi fermai ad ascoltare dallo sportello di una vettura militare tedesca la radio di Berlino trasmettere il bollettino di guerra. C'era intorno, sul piccolo gruppo di ufficiali in feldgruv, un silenzio da cimitero. Nel crepuscolo calmo, la cerchia dei palazzi del gran secolo si velava di rosa cinereo. La colonna, confitta nella sua piramide di sacchi di terra, portava al cielo un Napoleone infinitamente piccolo e solitario, infinitamente lontano e sperduto come un fantasma nell'argento della luna affacciata all'orlo dei tetti. Il braccio del Cesare aperto sul vuoto pareva incarnare la tragedia dell'inafferrabile. Il luogo non era certo più lugubre allorchè, poco più di un secolo prima, la effigie imperiale giaceva abbattuta nella polvere, sacrificata alla rabbia del suo stesso popolo. Per la seconda volta in un settantennio la potenza militare francese si è inabissata in una catastrofe. Le analogie tra i due disastri s'impongono alla mente più superficiale. L'uno e l'altro traggono origine dalla ignoranza del valore dell'avversario e dalla stima esagerata dei propri mezzi. L'impero autoritario e poliziesco di Luigi Napoleone ha incorso nei medesimi abbagli della Repubblica poliziesca ma democratica di Lebrun. All'esercito che nel '70 partiva coi fiori in cima ai moschetti gridando: «A Berlin! A Berlin!», non mancava un solo bouton de dTqmpcSvinroPlelurmpclsdtFgupmslitrmasrinLcctQbcbs1sIdttlspNdtvncrmdscncmsadmdcguètre: l'esercito che nel 1939 dichiarò la guerra alla Germa-i nia si credeva vestito di una in- vulnerabile uniforme di cemen-1 to armato e di acciaio. Entram-lrbi vennero spogliati dei loro r■ apngdgissngpusberghi e messi fuori combat timento in poche settimane. La disfatta del 1940 è stata immensamente più strepitosa di quella di settant'anni fa, prova che nel frattempo non solo la sproporzione fra i due avvversari, Francia e Germania, si è ingigantita, ma che si sono ingigantite le due ignoranze di cui sopra, vale a dire che la dege: nerazione degl' istituti pubblici francesi non ha cessato di progredire. Comunque, le due vicende sostanzialmente si somigliano e si fanno riscontro. Le due Sédan Dopo aver votato l'Impero alla maledizione, la Repubblica ha finito col fare la sua stessa politica. Da quando Emile Ollivier intraprese la riabilitazione della propria opera di governo, la squalifica gettata su « Badinguet » dai « puri » della fine dell'800 cessò di aver corso e la Francia si rivelò moralmente matura a seguirne le orme ed a produrre dei nuovi Bazaine. La politica europea di Parigi dopo Versaglia ricalca la politica europea di Parigi dopo Sadowa. La Sadowa del secolo XX si è svolta in più tempi — l'avvento del Nazionalsocialismo, poi la rimilitarizzazione della sinistra del Reno, la annessione dell'Austria, ecc. -—e questa molteplicità di tappe ha confuso le idee dell'Europa, dandole a torto la impressione di una lunga pazienza. In realtà, la nuova guerra era virtualmente stabili; ta a Parigi dal giorno in cui Hitler prese il potere. Quando! l'uomo delle Camicie brune penetrò a bandiere spiegate nell'arca santa della democrazia dove Mussolini aveva aperto la prima breccia, la Francia credette rivedersi di fronte il Bismarck del 1866 e ritrovò in fondo al proprio cuore gl'identici fermenti della Francia imperiale. Al posto della Corte di Compiègne c'era il Grand'Oriente della Rue Cadet; l'aquila cedeva il passo al triangolo ed alla cazzuola, di cui, del resto, lo stesso Napoleone III era un adepto disciplinato: ma le direttive erano sempre quelle : opporsi all'ingrandimento della Germania e dell'Italia, ristabilire l'egemonia e i a o i o o l , l e i n i i o a e a i o o o o i a l e o , o a i l a i : n e della Francia. La risposta del [cTerzo Reich è stata identica aiquella della Prussia di Gugliel-]unmo I: il paese invaso, ed invaso proprio dopo un colpo simbolicamente inflittogli sui campi di Sédan, Parigi occupata, il governo in fuga, la capitolazione inevitabile. Ma la grande differenza fra le due Sédan è che oggi la Germania non porta a Parigi soltanto l'aquila imperiale, bensì i vessilli di una rivoluzione e che rivoluzione e guerra non sono soltanto tedesche, ma italiane, cioè incarnano il pensiero e la volontà di un blocco europeo di centotrenta milioni di uomini. La vittoria quotidiana cui assistiamo da un mese è la Valmy di un nuovo 1789. Sulla partita egemonica impegnata dalla Francia colla complicità dell'Inghilterra è venuta ad incidere una partita rivoluzionaria, impegnata in comune dalla Germania e dall'Italia. La via del disastro Alla Francia è sfuggito non solo il controllo degli eventi militari ma, cosa non meno grave, il significato degli eventi politici. La formula della sua guerra è stata scavalcata dalla formula della guerra altrui. I due avversari tiravano su due bersagli diversi. Per entrambi pareva non essere in gioco fuorché il presente, ma, mentre per l'u pigrilc«dcRmrbpsccsnsnFpriqidno questo presente si chiamava hLui.6*™1 «^®-"!*-peoi- -,Ar° ! ìIchiamava il passato. Si può uc cidere il passato perchè è mor to, non l'avvenire, che è vivo Questo errore di calcolo sta alla base di tutti quelli che hanno pplcondotto la Francia al disastro. :Interessante sarebbe oggi sta-lbilire se la.coscienza de 1 errore nsia o non sia entrata nel cervel-j19 dei francesi o quanto meno se sia o no suscettibile di entrarvi. Il fatto che alla vice presidenza del governo che dovrebbe riscattare le colpe del regime sia stato collocato Camillo Chautemps, l'uomo della massoneria, in.lur- sono unicamente le condizioni di!pace che le verranno dettate. Non si tratta di infierire sul caduto, nè di uccidere l'uomo morto. Non si tratta di negare ai vinto il diritto alla compassione del vincitore. Si tratta di creare una nuova Europa, sbarrando la strada delle ricadute mortali. Se un mondo nuovo ha da nascere da tante rovine, bisogna scongiurare il pericolo che tra le rovine attecchisca una nuova generazione di revanchards. Ora, senza molta fermezza da parte dei vincitori, senza una resistenza inflessibile alla tentazione della mansuetudine la Francia, dove generali, ministri e diplomatici già prendono appunti per stendere in centinaia di volumi la difesa lo- 9 a-i n- ro e del paese, rimetterà in linea -1 quanto prima una legione di Dem-lroulède, di Bainville, di Mauro ras, non ad altro dediti se non a riaprire la partita. Stavolta le perdite d'uomini subite non sono state grandi. Milioni di prigionieri, che ormai l'esercito tedesco rinuncia persino a raccogliere ed a contare, torneranno in patria. La borghesia col suo spirito curialesco, acerrimo, esoso è ancora intatta. A crisi finita, quando i milioni di profughi che hanno disertato la capitale potranno lasciare i loro ricoveri della Gironda e dei Pirenei per riprendere la via di casa, tutti ritroveranno Parigi iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiniimiiiiiiiiiiiniiiii t a di a a rè nui e: ci oii come l'avevano lasciata — che i tedeschi non vi hanno toccato; una pietra — e non avranno se! non da aprire le finestre e dissi ' pare 1 odore della naftalina per immaginarsi reduci dalla villeg-1 giatura. Bisogna che per costo-i ro ci sia qualcosa di cambiato,' in Francia. Non illudiamoci sul-1 la resipiscenza di cui può esserci garante la ossequiosità del) « sergent de ville » sull'attenti davanti all'ufficiale tedesco, fin-: che alla Kommandantur della' Rtie Royale c'è un governatore militare che non si chiami Bering ma Von Vollard-Berkelberg. La servilità verso l'occupante è di rito: ma dietro la maschera compunta il rancore non cessa di covare e di crescere. L'odio contro l'Italia I Più forte che mai il rancore contro gl'Italiani, sebbene la no-, stra volontà di ridurre al mi-i nimo ia violenza della guerra sia stata di quelle che rico-j noscerebbe un cieco. Mai, in Francia, l'odio è stato per noi; più profondo, cupo, tenace, giu-i rato. Chi ci riconosce per via ci ; incenerirebbe cogli occhi. A quest'odio bisogna limare le un- ; ghie in tempo, se si vuole che i il Mediterraneo non ridiventi domani, a pace fatta, il nido di tutte le tempeste. Ma la solidarietà italo-germanica saldata col sangue non solo ma con l'unità di pensiero e di idea, è ha chjaVe di volta di tutte ìI? soluzioni politiche, economi- che e sociali che si stanno per prendere. Non dimentichiamo i mai che, se la guerra fosse stata perduta nè l'unità ted sca nel l'unità italiana vi avrebbero so :vvissut0i Parigi aveva de. lcretat0 u ritorno della Germa. nia al 1648 de,malia al 1860. jNon dimentichiamo che per la Francia di ieri „ d ti * de, nostro popolo era quello di uni popolo inferiore, condannato al generare ed a lavorare per essa. Che l'Italia, affamata e mutilata, esportasse in eterno milioni !rlc£d' e9C0 ?a nostra parte, Quest'egoismo va reciso alla radice. Concetto Pettinato ! pjilpdmbvlegqbsgsmllBfcdcpdgncvtggetavq_ccnti