I canti dell'anima côrsa

I canti dell'anima côrsa I canti dell'anima côrsa Nella tristezza e nel dolore i "Lamenti,, delle donne assurgono alla dignità della poesia - Contro la corruzione e il servilismo sbocciano sferzanti le satire Sono, dunque, donne del popò-inlo — mogli e figlie di pastori, di j pcontadini, di montanari — che;p— i . a i r i : , o i i o i i n n a , r i ; , e a oao, smonhe a he E crodi oi s¬ hanno creato e creano i tementi ed i voceri, le. più genuina espressione dell'anima corsa. Senza dubbio, in Corsica, poeti letterati ve ne furono e non pochi. Nelle biblioteche di Bastia e di Ajaccio, si trovano volumi di poeti córsi stampati a Venezia come le Rime di Anton Giacomo Corso (in Vinegia, per Comin, 1550) e di Sebastiano Carbuccia (in Vineziu appresso Antonio Bosio, 1675) e si trovano raccolte poetiche di Biadelli, Mutaldo, Tiberi, Raffaelll, Pasqualini, senza contare quelle numerosissime dei poeti corsi in pura lingua italiana del XIX secolo, primo fra tutti Salvatore Viale, autore della Dionomachia, poemetto eroicomico in sette canti. Ma, per lo più,, si tratta di poesie men che mediocri, pallide, studiate e pretenziose, senza Tener- BsvdcMcbAuspdradcenecnbgia, il candore, la freschezza deiiscanti popolari. c! L'ispirazione dalla povera vita Le donne, che hanno composti questi canti, molto spesso non sanno nè leggere nè scrivere. La vita, che conducono, è dura e difficile; la terra, dove abitano, è aspra, povera e selvaggia. A ciò, si debbono aggiungere l'anarchia amministrativa, la corruzione dei, magistrati e dei funzionari, le an- <gherie degli sbirri al servizio del- «ia Francia, che proibiscono l'uso sdella lingua italiana e boicottano glo stesso dialetto, nonché l'attrez- altura economica e sociale scan- datamente in ritardo su quello, !,\\ „„i hor,ofir.iUT,„ „u_i anccsAzepcli cui beneficiano gli altri dipartimenti francesi e persino le Colonie conquistate in questi ultimi trent'anni, il Marocco per esempio. Per quale miracolo l'anima di queste donne possiede quella semplice sensibilità che si esprime inconsciamente sotto la forma che gli uomini hanno battezzato con il nome di poesia? E' la vita, appunto, ch'esse conducono e la loro terra a dare ad esse l'anima del poeta. Nell'isolamento e nell'abbandono, il loro cervello resta vergine e, conservando un'estrema freschezza di espressione, registra senza sforzo un numero considerevole d- idee e di immagini, idee ed immagini che sgorgano dall'ambiente rude e primitivo, e che fin dalla più giovane età vengono immagazzinate nel subcosciente. Senz'accorgersene, d'altronde, esse hanno subito una lunga iniziazione. Bambina, la futura voceratrice assiste sovente alle veglie funebri, fremendo ai lamenti senza, tuttavia, avere diritto a partecipare al « chiama e rispondi»; la sera, nella piazza del villaggio, ella ascolta le paahielle, segue per ore ed ore i canti alternati, che il vento della montagna porta nella pace notturna. Poi, un bel giorno, sotto l'impulso di un forte dolore o di una viva passione, la fanciulla dà libero sfogo ai propril sentimenti, e la strofa tradizionale fluisce dalle sue labbra come dalla roccia una fontana montanina. A questo punto, qualcuno di voi mi domanderà se ogni lamentu o voceru cantato sovra un morto è sempre opera originale della Za. metiiatrice. No. E mi spiego. So- no esistite ed esistono in Corsica popolane dotate di un vero senso poetico come Maddalena Fariala e Beatrice di Piedicroce. Sono que ste le autrici dei lamenti e dei voceri raccolti per la prima volta dal Tommaseo e recentemente completati da Giovan Battista Marcaggi. Tali lamenti e voceri costituiscono — come dire — la base, lo pnunto per tutti gli altri. Attorno ad essi, come attorno ad un canovaccio, la voceratrice tesse, di volta in volta, 1 dati ed i particolari della persona- oggetto del lamentìi o del voceru. Se, però, fra le donne raccolte attorno alla tota, una ve n'è che, dotata di genio poetico, trae dal proprio cuore Immagini nuove o accenti emozionanti, le sue strofe vengono subito afferrate dalle presenti e, in seguito, ripetute di casa in casa, di villaggio in villaggio e finiscono per diventare anch'esse la base, il canovaccio, la spina dor- sale di altri lamenti e di altri lo ceri. E che sia così io stesso ne Tao amneltdEndqsepdsa <JU" fumo davtt "\seF,no dl.v"a « E 'a casa di Bartoli », mi dis sero. Bartoli. il cosidetto bandito gentiluomo, era stato ucciso quel Jhe S«"™» P"ma ln "n ff^ato. ^ ,sa ma' dlstef s"Ila era !vA($.luta da una trentina di donne. All'improvviso, la sorella, giunta avuto una prova a Palneca. Pai- neca? Un nido di sparvieri a pie- co su di un burrone di 200 metri, | con casolari di pietra dalle finestre strette ed alte come feritoie. Al mio arrivo, saliva da un'abitazione all'estremità del paese un esile filo di fumo bluastro. Nel paesaggio grigio e silenzioso, sqlo qualche minuto prima, da un villaggio vicino, intonò il suo voceru: Eo burla che la me voci disse tamunt'e lu turni chi passasse par la loci da Palneca a Vizzuuova; pecchi soni in tutti I loci la to' morte, o me' frateditu. A parte l'ultimo verso, la strofa ripeteva il vocerà d'a suredda sopiJa morie di laninu, riportato da G. B. Marcaggi. E, dopo alcune variazioni sulla prestanza fisica dell'ucciso, sul suo coraggio e sulla sua dirittura morale, la sorella verso la fine ritornava allo stesso voceru: Nun ti valse lu curragBlu nuu ti valse la schluppetta, min ti valse lu pugnali, nun ti valse la tarzetta ; min ti valse ingermatura, nè razione hininietta. I lamenti ed i voceri, tuttavia, ardente che, causa la cattiva amministrazione della giustizia, conosce ancora oggi le inquietudini e il pericolo quotidiano come nelle antiche età, la parodia e la satira rappresentano un'altra forma diffusissima della poesìa popolare. I E, stavolta, autori delle satire ejnnon costituiscono l'unica forma]della poesia popolare corsa. Per quanto la cosa possa apparire I sstrana in questa gente focosa e|elezioni, la corruzione politica e|tparlamentare, i funzionari giunti dalla Francia, e specialmente il servilismo di coloro che vanno in Francia e ritornano nell'isola imbastarditi, danno a chi resta attaccato alle sue montagne aride, ai suoi campi grami spunti bellissimi per staffilate senza pietà. Purtroppo, còrsi servili ve ne sono e molti. Anzi, non credo di esagerare affermando che la Corsica è diventata una specie di riserva da cui son tratti sottufficiali di carriera, i doganieri, gli uscieri, i guardia-caccia e i gendarmi. Ma come questo popolo di guerrieri e di ribelli può fornire i tutori dèi l'ordine pubblico, i bassi funzionari di tutta l'amministrazione me-itropolitana e coloniale? 1Impieghi e satire Jack London, in Zanna Bianca,! ha scritto: «Buon volere e fedel-j tà sono le caratteristiche del lupo e del cane selvaggio quando sonoj addomesticati ». In 160 anni • di padronanza, in poco più di sei ge-j nerazioni, la Francia è riuscita a creare lo stato di spirito, le condizioni di ambiente e di vita necessarie per « addomesticare » l córsi. Come? C'è un mezzo irresistibile per domare gli animali più selvaggi"lattarne ^NeTl'ìaoìa" ab"'bandonata a sè, i'corsi morivano di fame La Francia invece di svi-luppare il commercio l'asrricoltu- ra e l'industria invece di costruì-re strade e ferrovie ha offerto ajcórsi Derchè non morissero di fa-m ^ irnoieg-hl fui r^t.nentn ^ nn to'noi chi ner aliava™' <rii iinrln mahiii ro<=i ri« ila fVm» min„ ar"torninone l'ubbidienza, non biso-gna mai rinfacciare a costoro 11 foro Sta di sorvitnri rhV f„ mabili resi dalla fame meno arditi, per ottenere più che la sot- ne di comandare. Logico che quando costoro, in vacanza o in pensione, tornano all'Isola natale, fac Francia. Dà ai córsi impieghi, nei quali essi possono cullare 1 illusio- BI E il servilismo di certi córsi viejne bollato in questa «Richiesta al ]ciano gran pompa di si. Più lo-j gico ancora, però, che le satire | I sprizzino taglienti come una lama. | |g miò riirliolu ù ghitintu da Francia.|vK li linzòlt li chiama «lesdi'ups» .sE le calzette le chiama « Ics bue », 1 U miò figlioli! quantcllll ne sa. Ha sbatizatu hi cane e la gatta Uno è «le chieti» e l'altra ò <ilc chat I toni sò «Ics souris». o «Ics rats U miò figlioli! rutont'ellu ne sa! lcpsdtH^|t0-to a palazzo Borbone): Cani Mauncllii, ili In me i-ore omo d'onora e ili ri--pettn. Supr'a voi coutil pai* un impicco da n riL'liiilacciu ili u i-orciu cego. fatene puru imi i-iiusiiclieru chi lo sumaru è di razzimi, Pietra In spinti sotto rimhastu e u so lincili un'è mai miastu. Porta la coppia come li lioi e s'asBtimigtia in tutt'a voi. depnodI lamenti e i voceri, le satire e .ìotle parodie, tutti i canti popolari' isono dialetto córso. Ma il canto! 1^^^ ! j j j l ù Dio vi salvi, Regina-, e niailre universale pel cui.favor si sale al paradiso. A voi sospira e ttcnie il mistro al't'litto core, in un mare ili dolore e d'amarezza. Gradite ed ascoltate, o Vergi na Maria, dolce, clemente e pia. il sot-no nostro. Voi. della Pi-ancia ostile a noi date vittoria; e poi l'eterna gloria in paradiso, llLIl canto è d'autore ignoto. Ven-i"'ne Portato dall'Italia oppure com-1o ;Posto lla un ™onaco in uno di queiì-1conventi corsi dì francescani chej- fllrono e aono focolari di patriot- -'tismo? EsPrimei in 0=nl modo,Ij|l'a-ng-osoia. e la suprema speranza!-'dei C0rsi che' abbandonati dagli; iuomini' nella Prima metà del se- ,col° scorso' posero la loro isola "1 soU° la Protezione della Vergine(Immacolata. Il «Dio vi salvi, "Re--|SÌna* Pu* .considerarsi il canto 1 "gionale corso, il canto dell'irre- l dentismo. Fino a qualche tempo blto. Paolo Zappa fa, lo si cantava in tutte le par-i | r0CChie dell'isola, dopo le grandi -[funzioni religiose. Adesso, è proi- Le prima note del « Dio v( «alvi Regina », canto dell'irredentismo còrso.