In Corsica quasi tutti dove si compendiano i dialetti italiani

In Corsica quasi tutti dove si compendiano i dialetti italiani GIRO D'ITALIA IN CERCA DELLA BUONA LINGUA In Corsica quasi tutti dove si compendiano i dialetti italiani CAPRERA, giugno. Bonifacio è un'isola nell'isola, linguisticamente. E' in Corsica, ma vi si parla dialetto genovese: e più puro che quello di Genova, poi che si è mantenuto — press'a poco invariato — qual era nel XII secolo, quando cioè i Genovesi, dopo aver vinto i Pisani per il possesso, popolarono la meridionale cittadina còrsa con coloni liguri. Bonifacio è un'isola linguistica nell'isola italianissima, come lo è in Sardegna Alghero, ove si parla un dialetto catalano. Il caso di Busto Arsizio Ma non ti stupisce ancor più trovare una di queste isole dialettali genovesi nella pianura lombarda, tra Gallarate e Rho? Gli abitanti di Busto Arsizio parlano un genovese più arcaico ancora del bonifazino, poi che « il bustocco viene dal mare, da gente ligure, da circa due millenni venuti a dissodare l'infernale brughiera » (C. Azimonti, Linguaggio bustocco, Busto Arsizio, 19S9, p. 11). Nella parlata dei Bustocchi il nome dell'Olona, il fiume che scorre lì a due passi nella pianura lombarda, si contrae in Ona, con quella esasperata condensazione linguistica che è tipica del genovese. Fenomeno ancor più strano — e sarebbe interessante andarne a scovare le storiche ragioni se la ricerca non ci conducesse troppo lontano — è che il dialetto di Busto Arsizio, in Lombardia, abbia una voce speciale per indicare quel copricapo che è caratteristico dei Còrsi e dei Sardi: la si chiama nilza. In Corsica, la barretta migia (il g va pronunciato alla toscana e perciò alcuni scrivono misgia) è quasi un distintivo nazionale; in Sardegna è semplicemente sa barritta; e miggia, in sardo-campidano, è la calza. Il tipico copricapo regionale delle due isole sembra appunto una larga calzetta in funzione di cappello. ' Ma noi non stiamo navigando nelle Bocche di Bonifacio per ricerche folcloristiche o dialettali: si va alla ricerca del buon italiano. La motonave della « Tirrenici » entra di buon mattino, da est, nel pittoresco Stretto di Gibilterra N. 2, che è più stretto e più pittoresco di quello N. 1. Doppiata la Punta Capicciclo, appare tutto un arcipelago di isole e di isolotti di ogni dimensione: dai minuscoli Gavetti e la Porraja alle più importanti isole di Cavallo e di Lavezzi mentre, verso meridione, appaiono più grandi quelle che si confondono con La Maddalena, con Caprera e con la costa sarda: son lontane e avvolte nella bruma matutina. Ieri, alla stessa ora, si attraccava a Bastia, dove il piroscafo sosta sino alle 3 del pomeriggio. I funzionari che ti permettono — o non ti permettono — di metter piede su terra còrsa son tutti francesi, e delle province più nordiche o occidentali. La Polizia e gli organismi affini della Repubblica reclutano molti agenti e funzionari nell'in Isola della Bellezza » («l'ile de beauté») ma preferiscono inviarli altrove: ed alcuni fanno buona carriera. Un celebre Questore di Parigi non era forse còrsof « Sfrancisà » Ti capita perciò di trovare su tutt'ultro confine •— a Vallorbe o tra Basilea e Saint Louis, o magari a Hendaye o Port-Bou — doganieri e gendarmi francesi che, quando ti riconoscono per italiano, ti rispondono nel nostro bell'idioma canoro. La pronunzia e l'intonazione ti stupiscono: odi una buona lingua italiana, assai prossima a quella ideale che andiamo cercando: più corretta, cioè, che in molte regioni della penisola. Con apparente paradosso, si può affermare che la dominazione francese ha giovato alla purificuzione dell'italiano in Corsica: per reazione. I Còrsi hanno congegnato, in dialetto, l'efficace verbo sfrancisà, che non si può tradurre con un vocabolo solo: infatti sfrancisà non soltanto chi si atteggia a francese, ma anche chi parla francese quando potrebbe esprimersi in buon dialetto o in buon italiano, o persino chi, parlando còrso o italiano, introduca nel discorso qualche parola di ispirazione gallica. Per i veri Corsi, sfrancìsanu o sfranciseghìanu coloro rhr. dicon lunette invece che ucchiali o spicchietti, o parfùme per prufùme, o dintélla per trinetta («. merletto »): tutto quo • sto è sfrancisume! E i radio-ascoltatori còrsi, affezionatissimi alle trasmissioni dell'E.I.A.R., inoi-ridirono stupefatti (ma non essi soltanto!) quando udirono le nostre stazioni emettere il vocabolo «overtura! ». Altro che Sfrancisume! Questa parola dialettale còrsa dobbiamo ricordarla bene, non per introdurla nel linguaggio nazionale (quasi quasi si potrebbe anche accettarla come contributo còrso e come ricordo storico), ma per servircene eventualmente per dirlo a chi, dopo averci pestato un piede in italiano, ci chieda scusa con un esotico «pardon! », quasi che la voce d'oltre Alpe — più o meno mal pronunciata —• possa essere un buon anestetico... A chi non rispetta l'integrità dialettale, infranciosandola, e dice, ad esempio f. Circa mizziòrnu a quattordici ore », traducendo cioè letteralmente dal francese ( « Chercher midi à quatorze heures»), il vero Còrso ricorda con un sorriso ironico che in buon dialetto si dice assai più effica¬ cernente: « Circa cinque pedi in de u muntone! ». Esaminiamo questa frase, e ci accorgeremo quanto sia erroneo il luogo comune, pur tanto diffuso persino in Corsica, che vuol vedere nel còrso — specialmente nel « cismontano » — un parente stréttissimo del toscano. « Mai a Corsica pudarà rinnega a so' lingua ch'è u ricordu più sacru di a so' naziunalità... U còrsu, ch'è u più tuscanu d'i dialetti, duvaria esse a l'onore in le scole, in li tribunali, in pulpitu e in tutte le conversazioni ». (Sant'u Casanova, nell'Almanacco Popolare di Corsica, Oletta, 1936, pag. 95). E' proprio toscano, questo? Napoleone parlava male il francese Tranne l'isolotto linguistico di Bonifazio (e quello greco di Cargese, ove sono i discendenti dei 700 abitanti di Comno accolti da Genova), il dialetto dell'isola ha connotati che lo rivelano legato a quelli che si parlano nella penisola italiana a sud-est del Tevere. A Calvi ed Isola Rossa, ossia su le coste ove si parla in più autentico « balanino », è frequente quello stesso errore di pronunzia che è tipico del romanesco: dire tera e guera invece che terra e guerra. E un Abruzzese o un Napoletano che capitino nell'Isola della Bellezza possono ben stupirsi udendo in pretto còrso espressioni assai simili a quelle in uso nelle loro regioni: avarraggiu per « aurei », mammana per « levatrice », màmmata per « tua madre », e persino — proprio come a Napoli — l'affettuoso raddoppiamento nel chiamare lo « aio »: ziziu. Fra loro, i « balanini » si chiamano cordialmente, come sui Colli Albani o in Ciociaria o più a sud, « compare »: «o* cumpà! ». La cadenza dei Còrsi — « cismontani » o « oltramontani » che essi siano — non ha affatto la curva tipica del toscano. . I Francesi riconoscono subito un Còrso, quando egli parli francese: lo riconoscono persino i Marsigliesi, alla pronunzia e all' intonazione, poi ch'egli commette gli stessi errori che un if aitano. «Il 15 dicembre 1779 Carlo Bonaparte partì con i due figli da Aiaccio per Marsiglia e dopo alcuni giorni di fortunata navigazione, Napoleone decenne calcò la prima volta la terra di Francia e il 1° gennaio entrò con il fratello Giuseppe nella scuola di Autun, dove durante tre mesi studiò la lingua francese di cui non sapeva una parola ». (D. Merezkovslij, Napoleone, trad. R. Olkienizkaia Naldi, Firenze, 1931, pag. 137). Nè, durante tutta la vita, Napoleone riuscì mai a parlar bene la lingua che non era sua. Se i Còrsi trovano difficoltà a pronunziar correttamente il francese, essi hanno invece pochissimi difetti regionali fònici quando si esprimono in italiano, e nessun difetto sintattico. Qualcuno dice, è vero, «son tre ore-» per « son le tre »; ma tale formula non gli deriva dal dialetto: è inconscio sfrancisume, poi che in vero dialetto si dice « so' e tre ». Visione panoramica In Corsica confluirono correnti linguistiche diverse, sicché la parlata insulare si direbbe un bizzarro compendio dei nostri dialetti centro-meridionali, frastagliato come, per l'azione dei venti e dei flutti, è accidentato il contorno dell'isola. Ma puoi mai calcolare e sistematizzare con regole banali il lavorìo con il quale le correnti dell'aria del mare hanno cesellato o frantumato la roccia attraverso i millenni? Le energie linguistiche hanno operato come quelle della natura che, nella meravigliosa grotta dello Sdragonato, presso la Punta della Madonnetta, sotto Bonifacio, hanno disegnato nella vòlta esattissimamente il contor- no della Corsica: è una precisa carta geografica dell'isola incisa nella roccia, illuminata dai mobili chiarori riflessi dall'acqua del cavernoso specchio, cui la vegetazione del fondo dà un fantasmagorico colore violaceo. Puoi accontentarti di pensare ad una pura coincidenza fortuita, ed attribuire al « caso » il disegno di una così precisa sagoma. Nello stesso modo semplicista e comodo non si può considerare strana e casuale la coincidenza, sulla medesima rotta, dei prolungamenti dei lati omologhi dei due triangoli del teorema di Desargues? E, invece, questa bizzarria ti si trasforma in chiara grandiosa visione di leggi metriche e geometriche se, dalla « geometria del piano», passi a quella « protettiva », ossia se sai scegliere un diverso punto di vista, sollevandoti dalla carta nello spazio, dalle linee scritte al « fascio di raggi ». F, T. Marinetti è l'apostolo dell'aeropittura; la R. Aeronautica, con i suoi rilievi fotografici dall'alto, fa dell'aeropittura a scopi scientifici e pratici; forse abbiamo bisogno di nn'aerolinguisllca, la quale si sollevi ad alta quota, ed abbia dall'alto visioni d'insieme, storicamente e geograficamente, invece che vagare per terrene viuzze, con l'orizzonte chiuso da scaffali librari. Sollevarsi ad alta quota sitilo Stretto di Bonifacio permette la veduta panoramica delle due isole, mentre si profila, a levante, la costa tirrena della penisola italiana. Prossima una all'altra, ma diversamente distanti dalle sponde italiche, Corsica e Sardegna ebbero due diverse evoluzioni linguistiche, pur se qualche fenomeno è in coincidenza, a nord e a sud delle Bocche. Da Santa Teresa di Gallura a Bonifacio, ossia dalla costa sarda alla córsa, il piroscafo giornaliero che viene dalla Maddalena impiega appena un'ora. A vela o a remi ci vuole un po' più: ma le due isole si direbbero quasi congiunte. Caratteri del Sardo Eppure il destino linguistico è stato assai diverso. I Sardì rimasero più separati: e nell'isola loro si conservarono più inalterati i caratteri di quel latino che vi fu introdotto nel 230 avanti Cristo. Quando, in Sardegna, odi heri per «ieri», proprio come in latino, e hoie (Campidano) oppure hoi (logudorese) per « oggi » fiatino hodie), e nemos o nemus per « nessuno », e inoghe (lat. in hoc) per « qui », e domu per « casa », e Janna (lat. janua) per « porta », hai l'impressione di trovarti in un museo classico nel quale però, invece che in marmi e pietre, le voci di Roma siano su filmiche colonne sonore, incise due millenni fa. In sardo, « domani » si dice tuttora cras, esattamente come in latino; trovi persino chentu per « cento », ossia il centum latino come era pronunziato nei tempi arcaici. Possiamo dedurne dunque che i Romani avevano anche quella tipica articolazione staccat<i, quasi nettamente martellata, che fa distinguere a primo udito ogni Sardo pur quando egli parli italiuno? E dobbiamo riferirci al sardo, come custode del latino, per sapere quando debbano esser pronunziati aperti e quando chiusi i suoni di e e di o, ossia per risolvere uno dei punti più controversi e difficili della ortoepia nazionale f Certamente no, poi che la pronunzia sarda di queste vocali si allontana dalla toscana e dalla romana anche quando queste due sono d'accordo fra loro. Errata è la pronunzia regionale della finale avverbiale « -mente », che i Sardi dicono con Ve aperta, trasportandocela integralmente dal dialetto: pronunciano, in italiano, chiaramèn- ce modellandolo sul claramènti Campidano o sul giaramènte logudorese. La nostra desinenza avverbiale « -mente » è l'ablativo di mens, che fu usato in origine per indicare uno stato d'animo: forti mente, jocunda mente, dubia mente, e poi passò ad indicare più genericamente (generica mente) gli avverbi di maniera; deriva da « mente » e ne seOtte perciò il fònico destino. Il Sardo che voglia parlare correttamente italiano deve porre molta attenzione a queste infide ■ iitiiiiiiiiitiiiiiiiriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii vocali e ed o, ch'egli pronunzia spesso inversamente di quel che dovrebbe: dice stélla per stélla e prèmio per prèmio: e, mentre pronunzia popolo con suono stretto, dice pittóre con suono aperto, per l'influenza del dialettale pintóre. E, sopratutto, deve temperare almeno un po' quella dizione martellata, tipica della sua isola, nella quale ogni sillaba sembra un colpo fònico indipendente. Egli può ricorrere all'esperiente di figurarsi la lingua italiana scritta sul pentagramma musicale, con una notazione iniziale che non indichi « staccato » ma « legato ». Ogni lingua è un po' un canto, e specialmente la nostra: «est autem in dicendo quidam cantus obscurior », d/ceua un nostro oratore che se ne intendeva parecchio: Marco Tullio Cicerone. I letterati amano chiamarlo « L'Arpinate », per antonomasia: ma non crediamo che tale appellativo gli avrebbe fatto piacere, almeno pei- quanto concerne la pronunzia. Toddi iiiiiiiiiiiiiiiiijfiiiiiiiiiiiiititifiiaiiiiiiiiiiiiirtiiiitiiitii Bonifacio, visto d alle « Bocche ».