Troppe banche d'emissione...

Troppe banche d'emissione... Giro d'Italia in cerca della buona lingua Troppe banche d'emissione... LAGO DI COMO, maggio. Mettiamoci nei panni, anzi nell'uniforme di un funzionario di Stato il quale, nato molto a meridione del Po, abbia compiuto i suoi studi a Napoli o a Roma e sia stato destinato in queste ridenti regioni manzoniane, ossia proprio su « quel ramo del lago di Como...». Nessuno dei due rami «volge a mezzogiorno », poi che l'uno è in direzione sud-est e l'altro (appunto quello al quale non allude il Manzoni) va verso sudovest, con maggior tendenza « a mezzogiorno ». Ma la nostra indagine geografico-letteraria è di tutt'altra natura: è linguistica. Proprio come don Abbondio all'inizio dell'VIII capìtolo manzoniano, il nostro giovane funzionario di Stato sta ruminando fra sè: — Gatti Bruno! Chi è costui? La « pratica » d'uccio, redatta in lingua nazionale, qualifica il Gatti Bruno come « prestinaio ». Che egli gestisca un'agenzia di prestiti? Ed ha per ciò regolare licenza? « Prestino e posteria » Il Gatti, invitato a presentarsi nel competente ufficio per fornire schiarimenti sulla sua attività professionale, afferma, in puro italiano, che culi ha un nei/ozio di «prestino e posteria» . Al funzionario non rimane altro rimedio pratico che un sopraluogo: recarsi a constatare de visu: e gli risulta, così, che il nominato Gatti Bruno è un galantuomo il quale vende pasta, riso e generi diversi. A Roma lo chiamerebbero « orzarolo ».' vocabolo non nazionale neppur questo, poi che, in lingua italiana, l'« orzarolo » o « orzaiuolo » è un piccolo foruncolo sìiI bordo delle palpebre: l'orzo ha, in esso, soltanto l'etimologico compito di alludere alla forma granulare. In tutta l'Italia centrale predomina — e s'è diffusa anche altrove — la formula «generi diversi» che, accompagnata con « pane e pasta » forma l'insegna di quei negozi che, qui, portano la scritta « prestino e posteria ». Potresti sospettare che questa sia, in qualche modo, influenzata dal vicino confine. Pochi minuti di filobus — poco più di mezz'ora a piedi — bastano per arrivare da Como a quel villaggio che, pur non avendo alcun ponte monumentale, si chiama Ponte Chiasso e che, dopo un semplice cancello di ferro, diventa Chiasso. Quel cancello divide due Stati: ma la lingua e il dialetto sono identici, al di qua e al di là di esso. Il Canton Ticino è comasco: il vento di tramontana è la breva, /«tiro se esso soffi sul lago di Lugano che su quello di Conio. Si deve ancora ad una ripartizione amministrativa ecclesiastica del XVIII secolo Ile cui origini risalgono ad una investitura del ~7~) se Campione d'Italia appartiene al Regno, provincia di Como: ma non vi si può pervenire che attraversando il territorio svizzero, dal quale è interamente circondato. Questo nostro giro d'Italia a scopi linguistici deve comprendere perciò tutto intero il Canton Ticino, politicamente Stato estero, ma etnicamente e linguisticamente itatianissimo. Anche i Cantoni svizzeri francesi sono « francesi »: ma gli elenchi telefonici di Ginevra o di Losanna raccomandano agli abbonati di dire septante e non soixuntc-dix, di usare esclusivamente nonante e non quatrevingt-dix. Tale consiglio ha carattere pratico, ma, sostanzialmente, esorta ad usa, vocaboli che, a Parigi, sono indecifrabili o quasi: a parlar francese-svizzero e non francese. L'italianità ticinese non ha eccezioni. Le rive costeggiatiti il magnifico lago di Lugano ospitano i turisti nordici assetati di sole meridionali : hanno nomi italianissimi: Riva Paradiso, Riva A. Caccia, Riva V'incendo Vela, Riva G. A!bertolli. Il 'centro animato della vecchia Lugano è Piazza Dante. « Posteria » e « prestino » non son dunque voci ultramontane. Già sulle antiche strade imperiali di Roma erano le stazioni, ognuna delle quali era pòsita ossia « posta » per il rifornimento di cavalli e di viveri; eia n . le etimologiche antenate delle « posterie » che trovi in questi paraggi. Mancanza di consenso Prima dell'invenzione delle macine, il grano era pestato nel pistrinum: ii ciceroniano metaforico « tibi mecum in eodem est pistrino vivendum » (de Orat., II, lkh) è quel che noi diremmo « Devi mangiare lo stesso mio pane! » o addirittura « Caro mio , dobbiamo servirci dallo stesso fornaio! ». I « prestinai » di questi paraggi potrebbero dunque avere per loro patrono Giove Pistore, così chiamato da quando suggeri ai Romani, assediati in Campidoglio, di gettare pane ai Galli, a dimostrare che non si sarbbero arresi per fame. Latìnissimo per origine, « prestinaio » non è vocabolo italiano, soltanto perchè su di esso manca il consenso nazionale. Anche ". offella » è un diminutivo del latino offa, ch'era un « boccone », ed anche un buon boccone, poi che significava pure « focaccia ». Ma oramai non si trova, in tale senso, che in qualche zona della Lombardia e del Veneto: il cittadino siciliano o barese che, a tarda notte, vaghi per le strade di Padova e legga « offelleria » su l'insegna di una bottega, dovrà attendere il mattino, ossia l'apertura delle saracinesche, per comprendere che diamine si venda lì dentro. Ma la stessa perplessità egli potrà avere persino a Firenze, dinanzi ad una « mescita ». Questo vocabolo è un po' più chiaro, poi che evidente è la sua derivazione da « mescere », verbo indubbiamente nazionale: ma che cosa si mesce? Quando ci decìdemmo a dare 10 sfratto a tutte le voci esotiche, taluno propose di sostituire con « mescita » la parola bar. Sicché avremmo dovuto dire: — Andiamo alla mescita a prendere un cappuccino? Ed un portiere d'albergo, interrogato, avrebbe dovuto rispondere: — /; cuv. Pippi non è in camera: forse sarà in sala di lettura o alla mescita. Perchè mai avremmo dovuto Ripudiare bar? Anche se importato da Paesi anglo-sassoni, era derivato dal basso-latino barra. 11 nostro vocabolario aveva già da tempo accettato bazar, che è voce persiana (basar). Entrambi, bar e bazar, suonano italianamente: possono rimare con «mar» e con tutti oli infiniti dei verbi della prima coniugazione poeticamente troncati. E le calze ? Nel settore lessicale dei diminutivi, ogni cittadino laziale c convinto di esprimersi in corretto italiano quando parla dei «pedalini»: e si stupisce dello | stupore della commessa toscana, la quale gli risponde sorridendo ironicamente: — La vorrà ddire i halzini! j Ed è convinta, lei, di avergli impartito una lezioncina di buona lingua! Il purista affermerà che il vero vocabolo italiano da usare è pedule. Per « essere senza scarpe, con le sole calze » si dovrebbe dire, secondo lui, « essere in peduli ». Cu eccellente modo sperimentale per assicurarci se un vocabolo o una locuzione possano essere « nazionali » è anche quello di sottoporli alla prova del ridicolo: se generano umorismo, son senz'altro da scartare. In qualche modo, però, dobbiamo ben riuscire a metterci tutti d'accordo: non è necessario un ciclopico sforzo per eliminare dalla nostra lingua, meravigliosamente unitaria nella sua struttura e nel suo lessico, queste piccole scorie regionali. Nel dominio della fonetica, il dialetto influenza localmente la pronunzia dell'italiano; in quello lessicale e persino didattico, le cause sono spesso di tutt'altra natura. Ogni regione è in buona fede usando come puro italiano questo o quel vocabolo, questa o quella locuzione, che invece sono fuori d'uso o addirittura incomprensibili appena si varchi il confine regionale. Sino ad alcuni decenni fa, circolavano in Italia banconote di diverso tipo: potevi averi in ni mano tre biglietti da wu Un di tre diversi formati e con tre figurazioni differenti, poi che anche il Banco dì Napoli e il Ban- i co di Sicilia erano Istituti di / emissione: dopo il R. D. del 6 maggio 192G hanno corso, nel Regno e nelle Colonie, soltanto i biglietti della Banca d'Italia. Non è ammissibile che esistano una dozzina — e anche più — di idiomatiche banche di emissione, ciascuna delle quali ponga in circolazione qualche sua linguistica banconota regionale. A chi ce ne presenti qualcuna, possiamo dire con diritto: — Cambiamela in un biglietto della Banca d'Italia! « Fiacchere » e « botte » Possiamo dirlo persino all'amico fiorentino il quale ci parli di « fiacchere » o di « fiaccheraio ». Cim sacra immagine — quella di Sun Fiacre — era presso la prima rimessa parigina che inaugurò le vetture pubbliche; ma in nessuna città italiana — nemmeno in Toscana — si celebra il 30 agosto la festa di San Fiacre, il quale fu monaco irlandese del VI secolo, divenuto poi protettore dei giardinieri! I « brnmisli » milanesi debbono il loro nome a Lord Brougham (com'è noto, si pronunzia brù'm) il quale fu, a quanto pare, anche l'inventore di una tipica vettura. L'unico mezzo di trasporto urbano il quale abbia legittimamente una sua speciale denominazione è la gondola, poi che speciale è anche la forma, e non la forma soltanto. E proprio il dialetto veneziano manca del vocabolo « gondoliere »; adopera il generico barcariòl. « Gondola » è italianissimo, pur se la tipica imbarcazione non naviga che nella Laguna. In che differisce, invece, un « brumista» ambrosiano da un vetturino di Genova, di Torino 0 di Bologna? Ed il « fiacchere » ha forse una ruota in più o in meno della « botticella » romana ? L'arguzia romanesca ha rievocato la grande figura di Attilio Regolo per burlarsi di chi, pur carico di debiti, non rinunci alla domenicale passeggiata al Pincio, in vettura pubblica: gli uffibla il nomignolo di «Attilio Regolo », poi che anch'egli si trova «con tanti chiodi in una botte ». II doppio bisenso non regge in pura lingua italiana questa ammette «chiodo» per «debito» (in qualunque regione si può «piantare un chiodo»); ma « botte » per « vettura pubblica » è romanesco. E romanesco c perciò anche il « botticellaro », come è partenopeo il « carrozziere ». In italiano equivale a « carrozzaio », ossia chi fabbrica o racconcia carrozze, non chi le conduce: usarlo nel significato di «vetturino» è altrettanto regionale quanto lo sarebbe il trasportare in lingua lo 'gnuri, ossia il vetturino siciliano. La trazione animale è ancora cora abbastanza diffusa: cerchiamo almeno di unificarne nazionalmente la terminologia. Ma nemmeno il tassi è a regime unico, linguisticamente: a Napoli si dice ancora: — Prendiamo un taxi! (pronunziando quasi: un dàxi). Si c congegnato, così, un curioso vocabolo, il quale conserva l'esotico x, ma ha spostato l'accento sulla prima sillaba. Come parola piana, tassi ha fisonomia più italiana che tassi; oramai però questo è già da parecchi anni autorizzato di circolare liberamente in tutto il Regno. E, oramai, in tutto il Regno 1 veicoli tengono la destra: la unificazione della «mano» è stata compiuto rapidamente e senza inconvenienti. Altrettanto facile può.essere la completa unificazione linguistica, attraverso l'insegnamento scolastica radio, la stampa peri' listi ufficiali. Non si compre»» Napoli, persino »• ■ •»• • nicipulì. la cu ■ tdale debba avt re •■■ nomi¬ nazione .ì' ■■ pubblico », // e- apparitenr -"' lista c'ir con¬ tini, ■ ni ■. il brumi- Toddi.