Una tappa interessante: Venezia

Una tappa interessante: Venezia Giro ti'Italia in cerca della buona lingua Una tappa interessante: Venezia Dove si apprende come mai la cadenza veneziana somiglia tanto a quella spagnola VENEZIA, aprile. A Vanesia pullulano i negozi di calzature; e quest'abbondanza può avere una ripercussione sulla pronunzia. Basta che tu percorra le Mercerie o Calle dei Fabbri, la Frezzaria o Salizzada San Moisè per incontrare ad oyni cinquanta passi un vetrinone dal quale occhieggiano scarpe d'ogni tipo: e anche quelle moderne, a sagoma ortopedica. Se ossei~vi le passanti, pure ai piedi delle popolane vedrai scarpcttine alla moda, che non fanno rumore. Ancora un ventennio fa, le calli veneziane echeggiavano di un caratteristico rumore predominante: quello degli zoccoletti femminili — pianelle a suola di legno ticchettanti sul piancito. Oggi qtiesta xilofonica armonia di sfondo non la trovi più, nel cuore di Vene-zia. Puoi udirla an cora un po' intorno ai Frari, die tro Santa Fosca o nei campielli della Giudecca: timidi ticchettìi che non osano avventurarsi sino alle Procurane o in Piazzetta. Anche gli zoccoletti... La voce stradale di Venezia è mutata, in men che un quarto di secolo. Nel I Congresso Inter nazionale di Fonetica Sperimentale, in Amburgo (1914), il prof. Silvestro Buglioni, Direttore dell'Istituto Fisiologico di Roma e Presidente dell'Associazione Italiana di Fonetica e Foniatria Biologica, dimostrò con geniali esperienze che « sull'altezza media vocale, che costituisce la tonalità, hanno essenziale influenza i suoni dell'ambiente » (G. Baglìoni, Udito e voce - elementi fisiologici della parola e della musica. Roma, 1925, pag. 336). La scomparsa degli zoccoletti femminili e della loro armonia a tono costante avrà dunque un'influenza — se già non l'ha avuta — sulla pronunzia veneziana ? Dinanzi a questa rimane incuriosito e sconcertato colui che, con orecchio attento, abbia compiuto un viaggio in Spagna. La cadenza veneziana si potrebbe dir gemella di quella spagnola. Ma c'è di più: nella pronunzia corrente, il d spagnolo si attenua nei participi passati, e sulle labbra del popolo scompare addirittura: andado e portado diventano andao e portao. Una canzonetta veneziana del XII secolo dice: Che me mario pe n'è amino, ch'ei me cor culi) lui ha portao et eo cuin ti me dco confortare... Questo ao — oggi scomparso in molle parti del Veneto, — era così predominante che vi fu chi osservò ehe fin colà dove ni parla in * ao » penti dir « Almorò» per «Ermolao* E quando poi si constati che ogni strada di Venezia è una cai le, e calle è anche ogni via urbana spagnola, ci sarebbe tanto quanto apparentem-ente basti per affermare che gli avi dei Madri mfestspn2gosesedclacngrrocglocuurbl'msrdtpasitammprb«QcdtdTmtrpr(mtgtcrlleni abitarono presso Rialto, op-\fpure che sulla Riva degli Schiavo-'JdlslptlsgcdappslDszni sbarcarono in massa i vocaboli iberici. Son i rischi che si corrono — prendendo spesso imponenti granchi — quando non si tenga presente il buon monito della vecchia logica, la quale pone in guardia contro la « falsità di causa» f «non causa prò causa»). Che la calle spagnola e quella veneziana siano gemelle (anzi « gemelle monocoriali ») è fuori dubbio: e sono identiche, perchè il linguistico ovulo che le produsse entrambe è la callis latina,, che significò «sentiero» ed era di genere femminile: e femminile è rimasta a Venezia e in Spagna, mentre divenne maschile per Dante (« segreto calle », « questo calle ») e lo è in italiano. Lo Schultz all'inferno Forse si comprenderà un po' più nei -misteri linguistici, quando si porranno in primo piano i grandi fenomeni fonetici d'insieme, collocando le minuzie al posto secondarissimo che loro spetta. Il /e- «omeno Grandioso dell'intonazione, TeZZZn^^t^Ancrale musicalità deli-idioma o dW|dia!e»o è trascurato: e montagne 'di tesi di lauree e di memorie dot-\te elencano scrupolosamente in quante parole sia avvenuto un determinato fenomeno di assimilazione omorganica, di palatizzamento, ecc.. Un recente manuale di fonetica discute se la caduta «di una sillaba atona simile ad una tonica » (come in qualcosa invece di qualche cosa, per intenderci in soldoni) debba chiamarsi più esattamente aplologia oppure apaxepìa (C. Battisti, Fonetica generale, Milano 193S, pag. 393), : n ì e o r mentre nello stesso volume si afferma che « non è compito di questo manuale di indicare i fattori spirituali e sociali che determinano lo sviluppo fonetico » (pagina 263). Dante, che pur fu studente in gioventù, collocò in Paradiso quel Donato ch'alia prim'arte defilò porre mano, ossia Elio Donato, fiorito nel IV secolo e la cui Ars Grammatica serviva ancora di base agli studi dei nostri nonni. A Napoli, men che un secolo fa, la grammatica latina sì chiamava «'u Dunatiello». In un girone infernale — nel cerchio VII fra i bestemmiatori o nell'VIII con Simon di Troia — gli ex-studenti classici della generazione ora adulta collocherebbero volentieri Ferdinando Schultz che confezionò la famigerata grammatica latina (ahimè, modello a tante altre!) con gli stessi criteri con i quali si compilerebbe un manuale per il montaggio di un robot, l'uomo meccanico da baraccone. Ma, .se dai un ceffone a un ro bot (lasciamo il nome esotico al l'invenzione brevettata altrove), il meccanico fantoccio non reagisce: non arrossisce neppure. Il latino, invece, anche nel periodo che noi chiamiamo «decadente » 0 « basso », fu in lotta continua contro ogni linguistica im- vejrlaumsanposizione esotica. Si impose, anzi,\lscai dominatori. Ancóra sulla « elle » E continua, pur nei periodi più lisconquassati della nostra storia,\bita sua evoluzione di perfeziona mento armonioso, che noi dobbiamo e possiamo continuare e completare. Cicerone scriveva a Bruto che, recandosi nella Venezia, vi udrebbe vocaboli poco usati in Roma: « verba parum trita Romae »; e Quintiliano esortava i Padovani a correggersi— parlando o scrivendo latino — della loro «patavinitù» (Quint., I, 5, 56 e Vili, 1, 3); di patavinitas fu accusato anche dotnnmrspTito Livio Con tali precedenti, noi possiamo cordialmente esortare i Veneti a correggere, ad esempio, la loro 1, o, piuttosto, a pronunziarla, poi che spesso essa diventa addirittura latitante fra due vocali] g(canale diviene qualcosa di inter- nilezrfottcnslsgrcqtpssmlaLgHstasmedio fra canaje e canàe), mentre assume un suono quasi gorgogliante dinanzi a consonante (altro è quasi agl'tro,); si trasforma, cioè, in «1 unilaterale »: nella pn-lra pronunzia italiana, la lingua é'libera e sciolta, nell'articolarla. iI Veneziani pronunziano moglie, U-\figlia, guglia, quasi fossero scrit-\-'Je molgie, filgia, gulgia: di questo pdi f etto fa motteggio il Goldoni nella Cameriera brillante (Atto III, se. 8), dove pone in rilievo anche la difettosa pronuncia del c. Le consonanti doppie, poi, scompaion tutte: « le dopie scompaion tute », dirà un veneto parlando italiano. Tra i dialetti nostri armoniosissimo è il veneziano: e il suo larghissimo uso, anche tra le classi colte, attesta tuttora la potenza della Serenissima. Quando il Doge arringava nel Maggior Consiglio, parlava in dialetto: — Serenìsimo Mazor Consegio, paròn de la Republica e paròn nostro... Noi non avremmo, in italiano, la bellissima parola Doge, se il Dux non fosse divenuto Doxe (dose, con l's dolce, sonora) in veneziano. E tutta una letteratura dialettale dà al dialetto quasi un rango di lingua. i — a a n a i i l e , ù i di e- Esso possiede espressioni effi e, caci e talora intraducibili. Come]A^ P»<° «<««««<» « *ar —W|'n tei >^>. ^« !«° "?e 'letto ma a flambé «« Rit-\che purista vorrebbe che, m^ « A bioscia » cosa è ? n eaale a d nrù ae), liano autentico, si possa (anzi si debba) dire « stare a bioscia ». Afa,Te, nelle mattutine radio-lezioni dilginnastica, l'istruttore di cultura fisica impartisse il comando « Ponetevi a bioscia! », cni sa quali bizzarrissime e varie posizioni assumerebbero gli zelanti radio-allievi, i quali non hanno il tempo di consultare un vocabolario! Ma proprio la radio ci documenta come si possa eliminare totalmente la tipicissima cadenza z e i l - veneta, e come si possano correg-1 grjrere le peculiari deformazioni del- dola pronunzia regionale: chi mai,! Ioudendo le spigliate ed ortofonica- lamente corrette emissioni di Ales- prsandro de- Stefani lo supporrabbe\mtrnato a Cividale nel Friuli? D\le quali ci debbono esortare al rispetto delle leggi nazionali della corretta pronunzia. f7n suono errato può infliggere ù lima diminutio capitis ad un voca,\bolo che non la merita. , : e a ; e de tempeste linguistiche ed alle Grave responsabilità è la nostra, ogni volta che apriamo bocca! Arsenale e locanda j Ma appunto per questa sua in* transigente fierezza fònica, oppo-\ nendosi ad ogni intrusione esotica nel campo delle sue mirabili armonie, la nostra lingua ha potuto | resistere — con -energie miracolo- \ se che la sola fonetica jwsitiva non può spiegare — alle più furibon- , i] grandiosa sintesi delle glorie ve- neziane: nella fondazione dell'Ini- insidie sottili; queste più perico lose di quelle. La Sala del Maggior Consiglio e quella dello Scrutinio, nel Palazzo Ducale, contengono — sulle pa-i .reti e nel soffitto — la pittoresca | =All'esame dell'intonazione e dei\'"fonèmi, lo diresti dell'Italia cen-|dotrale, con quel pochino di setten-ilitrionalismo che giova appunto a creare la vera pronunzia nazionale. Egli, è vero, dice penso (con l'e stretta) invece che penso; aperta è la pronunzia di questa e, sia in Toscana che a Roma, e così la registrano i vocabolari e il repertorio ortofonico dell'E.I.A.R. Dovrebbe esser chiusa (é), poi che tale è il suono dell'e nostra quando discenda da un'c lunga latina, sia in sillaba aperta che in posizione: ma l'e tonica (come l'o) si apre in tutte le parole dotte o semidotte «perchè da tempo immemorabile ogni e Zarina è stata letta nelle scuole italiane come aperta »; (F. d'Ovidio e MeyerLUbke, Grammat. Stor. della Lingua e dei dialetti ital. - Milano, Hoepli, 1919, p. 49). Sicché fra penso e penso v'è una sfumatura di rango: con l'e stretta si umilia il verbo, con il suono aperto lo si nobilita. Ecco una delle tante caratteristiche canore della nostra lingua,\ M, -lpcrio d'Oriente » (« ejusdem Impeé'rii quartae partis et dimidiae doiminator»); però al cantiere dove e, Ui costruivan le navi della signora -\deì mari di Levante era dato un o nome arabo: dargana'a; e, un se- pero latino d'Oriente, la Serenissi ma ebbe una parte predominante, e il Doge divenne «dominatore] della quarta parte e mezza dell'I ni¬ I, e n rsi a e o, o, o, il o i modificato il suo suono ! e]ìmL"„"'"oal/'««o « suo suono, —^^1^- Unti ?^iXXvMUi, atri 1 Riverso il pers.ano sciai: e s'è italia [J2,ato ^HcVeMOi fonicamente. colo più tardi, ancora abbastanza araba trova quella voce Dante: «ualc itell'arznnsi ilei Vini/inni bolle l'inverno lu tenace pece... Ma ben presto il vocabolo deve italianizzarsi: e, da Venezia, «arsenale », ossia foce nostra ormai, si estende in tutta Europa. Il più autorevole vocabolario del popolo che grava oggi sui mari col maggior tonnellaggio riconosce anche all'arsenal inglese l'origine italiana (Oxford Dictionary of current English, Oxford 1934, sub v.). A Venezia i traffici importavano, insieme con le mercanzie, anche i vocaboli: sul Canal Grande, dopo il Rio del Megio e di fronte a San Marcuola, è il Fondaco dei Turchi, destinato nel 1621 al commercio col Levante, e cui il rifacimento del 1860 tolse ogni originalità. Il nome è l'arabo fonduk; ma, per essere ammesso nella no-\ stra lingua, esso dovette italianis-1 zarsi al 100 per 100. In cambio, Venezia diede al Levante la « locanda»: in turco, anche oggi, lokanda è l'albergo e la trattoria: Ma le donne venete si amman- si a, . dilf«"«»° del caratteristico stài «ssa. ra ozuvi, nuoza prima che esso avesse tal nome: e se ne coprivano persino il volto, riunendo pudicamente i margini presso il mento: «apud Venetos virgines non nisi coperta facie prodeunt in publicum » (Cels. Rhod, 1, XIV). Purtroppo anche lo siàl va scomparendo, come gli zoccoletti... Toc»