RIMORSI

RIMORSI RIMORSI Si svegliò bene, come di rado le capitava, piena di serenità, di equilibrio e di forza, quasi di letizia. Da giovane, quando si svegliava cosi, sentiva, l'istinto di gettarsi subito giù dal letto, di agire, di consumare quell'energia in una maniera che armonizzasse con la sua vita di moglie e di madre, cosi ricca di affetti. Adesso, naturalmente, tutto era diverso. Adesso era anziana, vedova, coi figli ammogliati, fe liei, avviaLi a carriere riuscite. Solo l'ultima figlia, Fernanda, era ancora con lei, ma già fidanzata, già prossima a sposarsi, col corredo pronto e tutto in ordine. Neppure per lei c'era più nulla da fare. E allora Allora le solite cose, la passeggiata, le funzioni in chiesa... Fu giusto uscendo di chiesa, che incontrò una cugina, dolce e zelante dama benefica, sempre in giro per ospedali, soffitte, tuguri, sempre alla ricerca affannosa di soccorsi materiali e morali, e questa, volta non la sfuggì, come le capitava di fare nei giorni di malinconia nera. L'altra l'afferrò subito per un braccio, raccomandandole questo e quello, e le disse anche: — A proposito. Renata, sai chi ho trovato in una corsìa dell'ospedale, convalescente di all'operazione gravissima? Quella Zaira, quella bella ragazza che era da te, tanto tempo fa, cameriera'; te la ricordi?... Era una bellezza, adesso è l'ombra di quella di allora. Ha sposato un mereiaio, deve avere un negozietto, e un mucchio di figliuoli. E' una bella occasione, per te, di far qualcosa di bene. — Davvero?... Quella notizia le diede un sollievo improvviso, come se fosse la soluzione di un problema che la tormentava, lo sfogo di un'inquietudine che, fin dal mattino, era cresciuta in lei, di ora in ora, diventando quasi un'angoscia, [l'angoscia di chi 6Ì sente il cuore [traboccante di tenerezza, di bon tà. ardore, e non sa come impiegare quella ricchezza e si rassegna malamente a vederla sciupata. Andò a. fare quella visita subito dopo colazione. Dal suo lettuccio d'ospedale, Zaira la guardò avvicinarsi con aria stupita; poi, come la riconobbe, sorrise, tirandosi un poco su sui guanciali, e quel sorriso, tiel volto giallo, scarno, appassito, le ridiede un lampo dell'antica bellezza. — Mia buona Zaira, dovevo ritrovarti qui, dopo tanti anni !... — Ilo avuto tanti guai, signora mia !... — Chi non ne ha avuti ?... Anch'io... Ma parliamo di te. Posò i doni che aveva portato sulla, coperta, del letto, prese la mano della convalescente, e stette a sentire la lunga e dolorosa storia di un matrimonio non riuscito, delle malefatte di un marito indegno, degli affari andati a rotoli e di una figliolanza ribelle e di carattere difficile. Povera Zaira!... Ricordava com'era bella e cara quand'era a servizio in casa sua, un vero raggio di sole. Gaia, dolce, aggraziata, un tesoro, una compagnia che dava, ad averla accanto, un senso di gioia. Quando se n'era andata, lei aveva provato un vero dolore. Ne era stata cagione la vecchia Caterina, quella domestica che era con lei fin dalla sua fanciullezza e che l'aveva quasi allevata; mica cattiva, ma taciturna e un po' rude, diventata poi, con l'età, alquanto bisbetica e gelosa. (Le giovani non le voleva sopportare; ogni tanto, venendo a licenziarsi, esse dicevano: — Non possiamo andare d'accordo con Caterina, ha un carattere impossibile! A lei la cosa non faceva più effetto, si stringeva nelle spalle, compativa la poveretta, per l'età e l'anzianità che aveva in casa, ma quando s'era trattato di Zaira, aveva provato un moto di risentimento terribile verso la vecchia bisbetica, quasi di odio. Le aveva fatto una scenata, dicendole parole dure, crudeli, a cui ella era parsa insensibile. Dopo poco si era ammalata, aveva chiesto di andare al suo paese, a passare qualche settimana di riposo, ed era stato proprio allora che, qua ssssi improvvisamente, era morta, Per una sincope avevano scritto I poi, i suoi parenti. Lei non aveva nemmeno potuto andare alla sepoltura, ii tempo era. passato, tutto era stato dimenticato. Adesso. però, a ripensarci, ella risentiva ancora, in cuore, una stizza vivace verso la defunta, una stizza che il pensiero della sua morte non riusciva ad attutire. — Mia povera Zaira. che peccato che tu non sia rimasta con me... Se non fosse stato per Caterina... — Caterina era buona, signora, e vi voleva così bene!... — Con te però non è buona... — Oh, sì, invece... — Ma se ti ha indotta a licenziarti.. . — No, signora... lo mi son licenziata per un'altra ragione ; adesso che è passato tanto tempo lo posso dire. Il signor padrone mi corteggiava, non si poteva più andare avanti così. E Caterina non voleva che lei lo sapesse, non voleva che lei soffrisse. Allora mi ha detto, come avrà detto certo a qualcun altra: Dì che ti licenzi perchè non puoi andare d'accordo con me... Ella stette a sentire, immobile come una statua, senza più capire dove fosse, sentendo solo, nel cervello, un fragore stravagante, un rovinìo stridente, qualcosa che rideva e piangeva insieme, una vertigine che sembrava portarla indietro di tanti anni, in un mondo che era stato il suo, ma che era diverso da quello che ella aveva conosciuto, come se un sipario, improvvisamente caduto, le mostrasse la dolorosa realtà delle cose. Pallida e sorridente, di un sorriso fisso e inespressivo, approvò col capo, disse che capiva tutto, che nulla ormai aveva più importanza, sussurrò parole di conforto, promise di tornare, e se ne andò. Si trovò in casa senza sapere nemmeno come vi fos se giunta. Tutto intorno, adesso. le pareva nuovo, estraneo, pienostata di significati nascosti, che ella non aveva capito mai. Aveva dunque attraversato la vita come una bimba ignara?... Che suo marito avesse avuto delle debolezze non la stupiva e non la sdegnava più ; egli era stato tanto buono con lei, così tenero e affettuoso, cosi amoroso coi figli, così generoso con tutti !... Ah, ella lo aveva perdonato di cuore, quando egli gliel'aveva chiesto prima di morire, e ancora adesso, non c'era in lei. nel ricordo di lui, che indulgenza, dolcezza, gratitudine, affetto. Ma Caterina!... Il suo ricordo la lacerava. Pensava a tutte le prove che la povera donna le aveva dato, vivendo con lei, sorreggendola bimba, ragazzetto, fanciulla, sposa, madre, alla vita intera che le aveva dedicalo. E lei non aveva saputo apprezzare quei doni, l'aveva rimbrottata e sgridala, giudicata insopportabile, desiderato di levarsela d'attorno, posposia mille volte a quelle che eran più giovani, più graziose, più divertenti, più agili, più allegre. E non l'aveva ringraziata mai, l'aveva lasciata partire malata senza una buona parola, non era nemmeno andata alla sua sepoltura, non l'aveva ricordata con una lacrima, con ima preghiera. Di questo era stata capace lei, che tutti giudicavano buona, tenera, affettuosa, delicata e piena di squisite sensibilità!... Le parve di soffocare così sola, corse di là. dove la figlia stava abbigliandosi per uscire col fidanzato. —■ Fernanda !... — Che c'è?... Fernanda la guardava, non freddamente, ma da una distanza immensa, con uno sguardo, un atteggiamento che si rifiutavano alle spiegazioni intime, alle confidenze profonde. No, ella pensò, Fernanda non vuol sentirmi, Fernanda difende la sua felicità odierna, ha ragio ne. Non si può insegnare queste cose ai figli. Ognuno, nella vita, deve fare le sue esperienze, piangere le sue lacrime, portare il peso dei suoi rimorsi. E sedette nel suo angolo, col lavoro in mano, a capo chino, mentre la figlia usciva, cantarellando. Carola Prosperi

Persone citate: Carola Prosperi