GIACOMO GROSSO alla Galleria di Torino di Marziano Bernardi

GIACOMO GROSSO alla Galleria di Torino GIACOMO GROSSO alla Galleria di Torino Idei Civici Musei torinesi, ha ordi |nato la sala dedicata alla pittura ! di Giacomo Grosso, che stamane 's'inaugura nella Galleria d'Arte ! Moderna con l'intervento del Ma'resciallo d'Italia Pietro Badoglio, JVentotto dipinti fra i quali alcuni 1 paesaggi compongono una succosa Isintesi dell'opera del gagliardo pit- Con la consueta solerzia e in-telligenza, Vittorio Viale, direttore tore di Cambiano, che, a conside rarlo adesso con pacatezza, nel suo tempo, nel suo gusto, nella sua maschia sensualità, si definisce da sè stesso nel modo più evidente: un ritrattista che nell'Ottocento italiano non teme confronti per la spavalda sicurezza dell'esecuzione, e che talvolta — in determinati momenti di grazia pittorica — raggiunge l'intuizione psicologica, la vibrante comunicatività sentimen! tale, la fermezza plastica e la cai- da tessitura cromatica dei grandi ' maestri del Sei e Settecento cui I egli soprattutto, ammirato, guai ì dava. Di questi attimi d'est: o fei lice, non frequentissimi ma neppur | troppo rari, qui fa fede una mezza dozzina di dipinti, dal magistrale Ritratto del padre (1887) che per U& su* superba intensità, campegjgia fra ' migliori esempi della no. atra ritrattistica dell'ultimo mez |zo secolo alla piccola e deliziosa mente tie.polesca Testa della mo \9lì*i dal possente Lorenzo Dellea ni rude e massiccio al pallido volto della Signorina Bianco coi profondi occhi in ombra di una sug- , gestione romantica indimentica- bile, dallo spagnolesco Ritratto della signora Chessa di un ardire da epigono di Goya alla imperiosa figura della Signora Oitana, neri e rossi che s'intonano in un canto grave, severo. Che un nudo di donna in piedi, soverchiamente e forse involontariamente procace, contrasti — accanto al virtuosismo lezioso della famosa Nuda 1 con la serissima e sobria pittura del Ritratto di Pascal ella; che le sgargianti sete della gran tela dedicata a Virginia Reiter e tre o quattro ritratti mondani alquanto illustrativi siano ad un livello più basso del pastello della Signora Reduzzi o dall'eccellente schizzo Dopo il ballo degno del migliore I Impressionismo europeo; altro non è che la conferma del temperamento privo d'autocritica di Giacomo Grosso. Scrivevamo qui quattro anni fa attirandoci le generose ire tanto degli ammiratori entusiasti (per incapacità di discernimento culturale) quanto degli spregiatori ostinati (per vizio mentale e preconcetto polemico) di questo robusto costruttore di figure: « In un mondo concettualmente limitato senza dubbio, ma nella sua limitatezza alcune volte perfetto, vive l'arte di Giacomo Grosso. Inutile cercare altro in lui. Ciò che ci ha dato può bastare 'a un godimento — sempre che questo godimento lo si voglia tro- vare in un campo puramente sen suale ». Pensiamo di non aver da mutar sillaba ricontemplando ora queste ventotto pitture. Delle quali ben ventidue non sono di proprietà della Galleria Civica, ma sono da questa ospitate come un « deposito » — in verità graditissimo ed opportuno — della nostra Accademia Albertina di belle arti. Si ricorderà infatti come dopo la morte di Giacomo Grosso il Ministero dell'Educazione Nazionale acquistasse, perchè in futuro non andassero dispersi, un cospicuo numero di quadri che il valente maestro del nostro maggiore istituto artistico teneva nel suo studio come i suoi dipinti più preziosi e più amati. Tre ne son rimasti all'Albertina; gli altri — in seguito ad un accordo fra l'Accademia e la Galleria di Arte Moderna — arricchiscono da oggi questa bella sala, di più facile accesso al pubblico che non gli ambienti scolastici dove per tanti anni il Grosso aveva insegnato. Siamo dunque in presenza di una notevole documentazione dell'arte piemontese fra l'Ottocento e il Novecento, ed i frequentatori del nostro Museo Civico, e quanti apprezzano nel suo reale valore, nella sua importanza storica, lapittura subalpina non potranno che rallegrarsene. In questi giorni, venuti a Torino in occasione della mostra commemorativa di Lorenzo Delleani, numerosi critici e studiosi d'arte di Roma, Milano, Bologna, Genova hanno potuto mettersi, o rimettersi, a contatto con l maestri ottocenteschi detlapittura del Piemonte. Alcuni, candidamente ed onestamente, hanno manifestato la loro sorpre-sa, quasi la loro meraviglia: « Non c'redevamo; siamo felici d'aver visto ed imparato». Altra provache per amare veramente bisogna anzitutto conoscere. E l'arte del tanto ad Antonio Fontanesi era dedicata una sala è opportuno che un'altra n'abbia solo Giacomo Grosso quando non l'hanno nè Lo- Piemonte — lo ripetiamo per la ennesima volta — non è ancora abbastanza conosciuta in Italia: e solo per questo non è ancora abbastanza capita ed apprezzata. In una Galleria dove finora sol renzo Delleani, nè Vittorio Avondo, nè Giambattista Quadrone, nè Pellizza da Volpedo, nè Angelo Morbelli, nè Carlo Pittara, e dal Beccaria al Piacenza, dal Bertea al Cosola, dal Giani al Reycend, dal Perotti al Cavalieri tanti altri valenti non sono rappresentati che da opere minori? Lo è, a parte la popolarità schiettamente piemontese del Grosso, anzitutto perchè questa sala va considerata come un augurio, meglio una promessa, Un augurio e una promessa che Ministero dell'Educazione Na- jzionale, unitamente alla Città di Torino, riprenda in esame la vec chia questione dei Musei torinesi che Paolo Thaon di Revel sei anni fa, allora podestà di Torino, aveva così brillantemente affron | tato in una sua lucida relazione. : Da sessant'anni il freddo barac icone di corso Galifto Ferraris, coistruito per l'Esposizione del 1880, lospita provvisoriamente l'arte mo !derna piemontese, ed un buon nujmero d'insigni opere ottocente sene di tutta Italia; a furia dipun itelli e di rabberciature è stato tejnuto in piedi fino ad oggi, ma come scriveva di recente un critico romano — « non ha più un millimetro quadrato di spazio e vorrebbe ricordare a tutti che è sorto per un alto fine nazionale ». D'altro canto, tutti conoscono le deplorevoli condizioni degli ambienti della Regia Galleria Sabau Ida. V'è chi pensa che, non appena I con la costruzione del nuovo Po j litecnico sarà libero li Castello del ì Valentino, qui si possan collocare i capolavori ora malamente godibili nell'antico palazzo guarinesco. Nuove spese d'adattamenti, nuove sistemazioni approssimate, come sempre avviene quando si vuol trasformare un edificio aulico in museo. E mentre Vittorio Viale continuerà a mandare in cantina quadri vecchi per accoglierne dei nuovi, Carlo Aru, direttore della Galleria Sabauda, potrà fare vita eremitica in riva al Po da novembre a marzo, perchè ognun sa come sia al pubblico gra¬ devole recarsi d'inverno al Valentino per visitare un .museo. L'area municipale su cui sorge la Galleria Civica è di 10.000 metri quadrati; l'edificio non ne copre che 2000. Ecco lo spazio ed il luogo ideale per quel nuovo palaz zo già vagheggiato da Thaon di Revel per la Galleria Sabauda e per la Galleria d'Arte Moderna. Leggiamo nel nuovo libro di Giuseppe Bottai sulla « Politica Fascista delle Arti » queste parole: « Cadono, nel nostro programma d'azione, le fittizie barriere tra l'antico e il moderno ». A farle cadere non in teoria ma in pratica qui a Torino, e per risolvere finalmente e degnamente un vecchio problema non più compatibile nè con la politica artistica nè con il dinamismo del Regime, basterebbe costruire un palazzo di tre piani fuori terra. Spesa grossa? La spesa per la costruzione di un palazzo, ripetiamo, di trepiani: d'uno dei vari palazzi che si son costruiti a Torino per pubblica utilità. Molta gente cascherà dalle nuvole: — L'arte utile? —. E perchè dunque si ricostruisce il Regio? Leggiamo ancora nel libro del ministro Bottai: « Il pruno ad affermare che l'arte non è un prodotto di lusso, ma un bisogno primordiale ed essenziale dello spirito, è stato Mussolini » Vorremmo che questo bisogno fosse soddisfatto, a Torino, almeno per l'Esposizione del 1948: per un centenario che farà battere il cuore ad ogni Italiano. Marziano Bernardi. Ritratto giovanile della moglie