L'oca del Cairo di Mozart ricostruita da V. Mortari

L'oca del Cairo di Mozart ricostruita da V. Mortari JPRlME AImImA scala L'oca del Cairo di Mozart ricostruita da V. Mortari (Dal nostro inviato; Milano, 5 marzo. Il Settecento, secolo molto spiitoso e assai filosofico, denominò, on franchezza e senza disprezzo, asticci quelli che musici ,.• impreari solevano fare con pezzi (li opee teatrali, anche famose. Aggiun-i gevano o toglievano arie. Introduevano o eliminavano personaggi,! ambiavano parole, intreccio e luogo. Quella pratica era mossa dalla] guadagno, e an-| roseglgumti Chfoliaalnisuesopportunità, dal Scagno, e -"|cohe, non si può escluderlo, da un [ _,erto desiderio di render più pia evoli, migliori, le commedie, e non perciò presumeva di proporre o riolvere questioni di estetica. Alla occasionalità e gustosità corrispondeva la classificazione. Cose fatte press'a poco come quei pasticci tearali, e altre, affini, nel campo strumentale, sono oggi denominate elaborazioni, rielaborazionl, ricostruzioni, espressioni, riespressioni, inerpretazioni, e accompagnate da discussioni filosofiche. Spesso si fa soverchia chiosa dove è piana la ettera. Meglio sarebbe considerare obbiettivamente i fatti, e dare alle rabberciate opere, almeno a quelle comiche, l'appropriato e culinario nome antico. (Il quale potrebbe vantare una tradizione più diffusa di quella che di recente è stata accertata per il vocabolo overtura). Stavolta si tratta d'un pasticcio d'oca. Il caso è questo. Ottenuto successo col Singspiel II ratto dal serraglio, Mozart vagheggiava un'opera comica di schietto gusto italiano. Più l'opera all'italiana è accentuatamente comica, diceva, e meglio è; e pensava non alle patetiche e già un po' romantiche opere comiche nostre sorte fino a quell'anno, il 1783, ma alle più spassose, le quali, del resto, come le altre, piacendo assai ai salisburghesi e ai viennesi, facevano concorrenza alle sue. Consigliatosi con suo padre, si volse al Varesco, il mediocre poetastro che già gli aveva fornito il ibretto dell'JdomeHeo, e da lui accettò il farsesco intreccio dell'Oca del Cairo, da svolgere in tre atti. Un vecchio scimunito, Don Pippo, crede morta sua moglie Pantea, e vuol sposare Lavina, la quale si è promessa a Calandrino; per sorvegliare costei la chiude in una torre e vi rinserra anche la propria figliuola Celklora, che ama Biondello e che egli ha destinato a un altro. Auretta e Chichibio, servitori, ridono del vecchio e s'amano. Don Pippo ha stabilito per iscritto che concederà la figlia a chi, fra un anno, riesca a penetrare nella torre. Allo scadere del termine, i familiari, d'accordo con Pantea, che tutti credono una zingara, fan costruire di legno e tela una grande oca, nella quale si cela Biondello. Dicono a Don Pippo che quell'oca, loquace e profetica, è un dono del Sultano del Cairo. Egli lascia entrare nella torre la macchina e resta beffato; deve riconoscere sua moglie e rinunciare a Lavina. E le tre giovani coppie si sposano. Stesa la tela del libretto, Varesco sceneggiò il primo atto. Mozart non ne fu contento. L' azione e il dialogo gli sembravano poco divertenti. Suggerimenti e rimproveri non giovarono. Per farla breve, Varesco, incapace o svogliato, smise, e Mozart, che aveva composto soltanto sette pezzi e abbozzato qualche altra pagina pel primo atto, e pur stimava di esservi felicemente riuscito, passò ad altre risvlincinae e tevifrsrnoTdCAdamstinVdsinelTPcPzigFstalopbmaasPdSmnaimLssucecamvppitnidBgvs«dopere. Mai più ripensò all'Oca. Quei jsette pezzi, non istrumentati (tra-jlasciamo la minuta documentazione), che già invogliarono nel 1867 Victor Wilder a tentare in Francia una raffazzonatura della commedia, furono adoperati dal nostro Virgilio Mortari per « far vivere praticamente L'oca del Cairo nella cornice ideata dai suoi autori» (la rappresentazione avvenne a Salisburgo nel 1936), e due anni dopo vennero ripresi dal Redlich in Svizzera quasi con lo stesso proposito. Il Mortari fece restringere In un atto la larga trama del Varesco, eliminare il personaggio di Pantea, pel quale Mozart non aveva scritto neppure una nota, e sopprimere e mutare parecchie vicende sceniche. A tale condensazione attese Giovanni Cavicchloli, il quale sì valse di alcune strofe del primo atto, e provvide recitativi e scene pel nuovo corso degli eventi. Più tardi Diego Valeri ritoccò il testo, affinchè lo nuove parole somigliassero nella banalità a quelle del Varesco. Infine il libretto constò di dieci momenti ariosi. Ma i pezzi, s'è detto, erano solamente sette, più qualche abbozzo. Come provvide il Mortari? Serbando integro ciò che Mozart aveva scritto e che, conveniva alla nuova tela, pel resto trasformò, completò, prese a prestito; per esempio trasmutò la chiusa del primo atto ir finale dell'opera; cambiò un duet to dei servi in un duetto dei padroni; svolse l'abbozzo d'un'aria di Biondello; inserì, mutate le parole il terzetto che Mozart aveva aggiunto nella Villanella rapita del Bianchi; dette a Celidora un frammento d'una Korzertarie dello stesso Mozart; all'unico recitativo superstite ne aggiunse quanti occorsero fra pezzo e pezzo; come ouverture, scelse un tempo d'una serenata mozartiana. Dato ciò. risulta impropria la denominazione di « ricostruzione », (che significa costruire di nuovo con I medesimi elementi e nel medesimo modo o tentare una ipotetica ma precisa immagine di cosa che fu compiuta e non è più) e superflua la discussione su un eventuale travaglio interpretativo delle intenzioni degli autori. Chiamiamo la cosa col suo nome e diciamo che questo è un pasticcio, gustevole soltanto per la materia mozartiana e per l'ingegnosa abilità di Virgilio Mortari, il quale fr.a i giovani musicisti nostri è dei meglio preparati, e dei più intuitivi, gentili e fini. Con molto garbo ha sfiorato, ritoccato, completato i delicati pensieri mozartiani, tessuto le armonie, scelto i timbri strumen-tali. Accettata la pratica nel suorisultato edonistico, ci si rallegra di ascoltar musiche che sarebberorimaste chiuse nell'autografo ora : serbato a Berlino e in poche stam- eipe non comuni. e e - o a i Vivide e pulsanti, energiche e__ lcgranti, queste musiche sorsero, è evidente, è sensibile, congiunte apensieri e sentimenti d'ambiente italiano e in lingua italiana, e su-bito furono improntate dello stile mozartiano. L'attacco, il piglio, il giro della frase, le modulazioni, leriprese. le variazioni del discorso,ricordano qualcosa del Galuppi, del Paisiello, del Salieri, del Bianchi. • delle farsette o delle commedie più elevate; ma il carattere e, diremmo, il tono eminente son quelli del Don Giovanni, più che del Ratto dal serraglio. In quanto alla intensità è un'altra cosa. Come drammaturgo Mozart potè non aver esigenze riformistiche, ma sentì profondamente caratteri, stati d'ani- mo. situazioni. Ne poteva sentirenelle sciocchezze dell'Oca del C«i- ro'l Chi sa? Son tante le risorse del genio. Forse la natura non gli avrebbe mai consentito di adeguare il farsesco del Socrate immaginario O del Traci amanti. Infatti in queste arie di Don Pippo e di Chichibio, bassi comici, troviamo le formule e le amenità del teatro italiano quasi dialettali, spinte fino al limite ultimo della facoltà ironizzatrice di Mozart, e frenate dalla sua impeccabile aristocraticità. Le espressioni di Celidora ci ricondu- cono alIe nobili arie delle parti se _,. „._,_ ..: , _ „ri„ji~ „: rie italo-viennesi, e le melodie svolgono patetiche e un poco malinconiche. I servi risentono specialmente dell'opera comica italiana. Gli insieme poi espandono brio e grazia con la vivacità dei temi e con la sempre fantasiosa architettura. Ancora una volta si nota che non vi è pagina di Mozart, minore, frammentaria, o, come queste, sradicata, che non contenga pregi e non rechi diletto. A. Della Corte

Luoghi citati: Berlino, Calandrino, Francia, Milano, Salisburgo, Svizzera