Cogne culla di cannoni di Angelo Appiotti

Cogne culla di cannoni Cogne culla di cannoni JL,st possente organlxxaxiona della gì* un eie azienda * nudici •miniere, dieci centrali, ferro, rame, carbone, qnarxo, magnesio (Dal nostro inviato) COGNE, febbraio. C'era una volta una miniera... La storia della «liniere di Cogne potrebbe cominciare così, come una favola; tanto le sue origini sono lontane, le sue vicende vecchie di secoli, i suoi pionieri fantasmi che si perdono nella notte dei tempi. Risalire a ritroso negli anni, ricongiungersi al primo montanaro che attaccò col piccone il dorso della montagna e ne trasse U primo pugno di minerale di ferro per foggiarsene un'ascia o una picca, potrebbe essere interessante e forse anche, per qualche lettore, assai istruttivo; ma questo non è nei nostri campiti e neppure nelle nostre intenzioni. Quel che conta è la realtà d'oggi, è la superba meta a oui la Cogne, gagliarda espressione della Italia moderna, è giunta; ciò che contano sono i resultati (resultati in milioni di ton nellate di ferro, di ghisa, di acciaio, di antracite, di rame, di mo\ibdenite, di quarzo, in milioni di chilovatore) a cut il possente organismo è arrivato, balzando in pochi anni da posizioni insignificanti a cifre colossali, dopo aver rivoluzionato tutti i suoi impianti, aver decuplicato le sue maestranze, dopo essersi affacciata, con impeto improvviso, dai vecchi metodi di lavorazione alla più. progredita modernità. Sono i tempi nuovi, i tempi dell'autarchia, che hanno mosso la vasta macchina, o meglio, che del grande congegno hanno foggiato e riunito gli innumeri pezzi, impri mendogli un più gagliardo ritmo di vita; ma ancora una volta giova ripetere (la Cogne ce ne dà l'esempio più convincente) che l'autarchia, in questo settore come in ogni altro, non è un fenomeno contingente, un movimento d'emergenza, ma un orientamento economico definitivo. La montagna di ferro Giungendo qui attraverso la stupenda vallata su cui le alte cime incombono a perpendicolo bianche di neve e scintillanti di ghiaccio, queste cose ci diceva il senatore Euclide Silvestri che con rara perizia e audace modernità presiede il possente organismo; e ,iil.cammino percorso dalla Cogne in questi ultimi anni, i più importanti senza dubbio di tutti i secoli di sua vita, prima che nella realtà ci apparve nella parola dell'illustre camerata alla cui dura fatica già hanno sorriso così chiari resultati. Vasta e molteplice la attività della Cogne. La casa madre è qui, fra queste montagne, è su questo picco ventoso e gelato, è in questa miniera che ha forato il blocco compatto di dieci mi/ioni di tonnellate di magnetite con trenta chilometri di gallerie; qui è nata tanto tempo fa l'azienda, da qui oggi ancora essa trae il nome e la sua forza più viva. Ma, da questo nucleo primogenito, la Cogne s'è affacciata negli anni a più lontani orizzonti, ha irradiato su tutta la penisola il suo sguardo e la sua indagine. Così, mentre la vecchia miniera (lo vedremo più avanti) superando d'un balzo distanze di decenni, si portava industrialmente all'altezza dei più progrediti orga nismi stranieri, e affiancava ai lavori di estrazione i formidabili stabilimenti siderurgici di Aosta, altre cave e miniere e centrali elettriche si aprivano e sorgevano un poco in tutte le parti d'Italia: oltre duecento milioni di chilovatore (sono cifre vecchie di due anni, quindi inferiori alla realtà; quelle recenti non si conoscono) dalle dieci centrali aostane, carnxche e sarde di proprietà dell'azienda; e poi antracite a La Thuile, molibdenite a Gonnosfanadiga, ferro manganesi/ero in Carnia, rame a Ollomont, magnetite a Menna Sardo, rame a Predazzo, quarzite « Costa del Pino, quarzo a Borgofranco, calcare a Pompiod, magnesite a Bandissero. Queste son le conquiste certe, giù acquisite alla realtà: e intanto prosegue e si intensifica il lavoro di ricerca. Da tutte le località più sopra accennate già si estrae e .vi trasforma il minerale; in altre U minerale è già stato trovato, ora se ne studia la consistenza, la quantità e la qualità. Così a Nettuno per la magnetite, a Vall'Orsiere per il nichel, a Cogoleto ancora per la magnetite, a Gutturu Deruttu, a Perda Arrubia, a Perita Naiori per il molibdenite. Altrove il lavoro di prospezione affronta massicci montani alla ■ ricerca di questo e di quello, gli ingegneri minerari e i geologi fiutano il vento delle cime, martellano le rocce dei monti, bucano il seno della terra. Perchè essi non credono alla nostra, povertà mineraria, perchè tesori non conosciuti sono senza dubbio celati nelle tepide profondità, perchè l'Italia diseredata di materie prime è un luogo comune che sta per essere sfatato. Poveri sì, ma soprattutto per colpa nostra. Perchè per secoli ci è sembrato più inmodo e più conveniente fonde,c i nostri cannoni e laminare le nostre macchine agricole col ferro straniero sbarcato a prezzo di schiavitù sui moli di Genova, che non andarlo a cercare lo stesso ferro, spesso migliore, come quello di Cogne che, ormai tutti sanno, è superiore a quello svedese, in casa nostra, nelle viscere delle intatte montagne. 1 vecchi piemontesi, che in materia di orgoglio nazionale non scherzavano, raccontano una storiella che può essere anche vera. Un giorno lontano la bufera si abbattè su, Torino e la Mole Antonelliana ne ebbe la peggio. L'Angelo della cima, squassato dal vento, si ripiegò sui suoi. sostegni, volse il capo all'ingiù; ma non precipitò. Sapete perchè? Perchè le putrelle che ne armavano la base eran state fuse con il minerale di Cogne; il miglior ferro, dicevano i torinesi e avevano ragione, del mondo. Ma oramai anche questo sta per diventare un luogo comune, tanto là cosa è risaputa. Piuttosto sarà interessante sapere quanto di questo ferro la miniera di Cogne ci potrà dare ancora, per quanti anni gli alti fornì di Aosta potranno lampeggiare della sua magnetite. Dicono i pessimisti: dieci milioni di tonnellate di minerale potremo ancora trarre da lassù. Ma gli ottimisti vanno oltre, raggiungono cifre quanto mai consolanti, arrivano a venticinque, trenta milioni di tonnellate. Il calcolo d'una ricchezza mineraria non è facile: si può sbagliare così, in buonafede, per milioni di tonnellate, ed hanno ragione gli uni e gli altri. Si vedrà alla fine chi era nel vero, quando la mina solleverà oltre l'ultimo velo di magnetite il primo strato calcareo. Comunque dieci milioni di tonnellate son già qualcosa, una quantità che tradotta in massa costituisce una bella montagna compatta d'un migliaio di metri di altezza e da cui Dio sa quanti cannoni si potranno fondere. Uno sforzo titanico Ecco, questa enorme massa ferrosa comincia lassù, protetta tutt'attomo dai calcari, dalla terra ed ora, ch'è inverno, dalla neve. Siamo nel fondo valle, ove s'elevano i fabbricati degli uffici della miniera, ove sono le villette degli impiegati e le nuove bellissime case operaie. In una saletta della direzione il dott. Coli, ch'è direttore centrale della Società e che a questa azienda ha dato e dà il meglio della sua energica giovanile intelligenza, ci traccia l'itinerario della affascinante gita che stiamo per compiere. D'un balzo supereremo, tra poco, mille metri di dislivello, da millecinque a duemilacinque; naturalmente in teleferica, che ondeggia tra folate gelide su abissi paurosi, che trascorre, puntino nero nella immensità candida, su nevai abbacinanti di sole. Arriveremo così alla miniera, che ci è nascosta da un caseggiato di sette piani, costrutto quassù, in uno sforzo titanico, per dare agli operai condizioni di vita e di lavoro ideali. Sarà l'ultima cosa che vedremo, la miniera; prima ci sembrerà d'essere in un confortevole albergo d'alta montagna enormemente affollato da una moltitudine di strana gente che ha giurato odio eterno alla donna. Una moltitudine di quattro o cinquecento uomini rudi che s'aggira per le sale luminose dei refettori, dei dormitori, di ricreazione come in un collegio senza assistenti, senza la disciplina del silenzio; cinquecento nomini soli, col loro lavoro, i loro ricordi, le loro speranze di ritorno alle case e ai bimbi lontani. Quanto la Cogne ha fatto quassù per i suoi operai ha del meraviglioso. Chi non crede agli aggettivi, venga a vedere. Pensate: siamo a duemilacinquecento metri di altezza, sul dorso quasi verticale della montagna, pressarla cima che si perde nelle nubi. Dì qui parte l'imbocco della miniera, U gallerìa in cemento armato che immette nella raggiera delle cento gallerìe minori. S'è dovuto, per poter costruire sul piano, tagliare una gran fetta di monte e addossare contro la parete le case e le officine. I primi che si sono accinti all'impresa hanno dovuto senza alcun dubbio lavorare nel vuoto; la montagna precipita come i fianchi di una torre. Questo che subito ci accoglie è un mondo gaio, pieno di luce e di calore. Fuori un freddo finlandese, il fiato ti gela sulle labbra, il vento ti cerca tutto il corpo e ti agghiaccia. Qui l'antracite dì La Thuile diffonde un tepore di salotto. Nei dormitori, nei locali del Dopolavoro, nelle mense le squadre di riposo attendono il loro turno di fatica. Poiché in miniera si lavora a ritmo continuo, ventiquattro ore ogni giorno, tutto, nell'immenso fabbricato, deve essere sèmpre vivo e funzionante. Si deve ad ogni ora poter avere dalle cucine fina scodella di minestra fumante e un piatto di carne, po ter prendere al bar un caffè e fare con qualche compagno una partita a scopa ai tavoli del Dopolavoro Magari alle quattro di mattina ■Ógni squadra che ritorna dalla miniera trova una casa ospitale, una mensa imbandita, un letto soffice e caldo, una radio che le porta la voce del mondo. L'antica fatica L'operaio di Cogne guadagna bene. Abbiamo visto agli ingressi del cantiere i quadri dei cottimi. Ognuno sa ógni giorno ciò che ha prodotto e ciò che ha guadagnato, se lo vede scritto a fianco del \proprio nome quando rientra in ; gallerìa, dopo il riposo. Si giunge |a salari giornalieri di trentasei, I trentotto lire per gli operai spe\cializzati e migliori, a un minimo \di trenta per i manovali. Ora, se si pensa che una minestra costa alle cucine gestite dalla azienda quaranta centesimi, un piatto di carne con contorno una lira e venti, il pane una lira e ottanta al chilo, e tutto il resto è venduto a prezzi fallimentari (l'azienda perde somme notevoli per questa gestione. Non c'è dubbio. Basta pensare al pane) ; se si considera che, UMo sommato, cibo letto divertimenti, nessun operaio supera le dieci lire di spesa giornaliera, si deve concludere che le condizioni fatte dulia Cogne alle proprie maestranze sono eccellenti. La massa lavoratrice è in gran parte importata, il settantacinque per cento è costituito da veneti; scarsa la affluenza dei valligiani locali che son rimasti fedeli alle antiche tradizioni contadine e coltivano su pei dirupi e le forre con immutato amore il loro magro campo. I veneti, gli emiliani, i romagnoli vengono quassù e si fermano in genere due anni; possono, dopo il primo anno, godere d'un mese di licenza, ma i più rinunciano. Due anni di lavoro duro ma sereno, due anni, soprattutto di tenace risparmio, di lira accumulata su lira, un piccolo capitale che si forma, una casetta che si potrà un giorno comprare, un dolce sogno che certamente si avvererà. E intanto al paese le famiglie vivono, c'è sul salario margine per tutto, per il risparmio e per nutrire vestire i bimbi lontani. Non vita beata quella dei fumatori di Cogne, intendiamoci, non vita facile con lauti guadagni e lieve fatica. Quando diciamo miniera sempre si intende una cosa terribilmente seria, si vedono schiene curve in cunicoli bui, rombi assordanti di- mine in profondità paurose, fronti imperlate di sxtdore su braccia protese a rompere macigni. Un lavoro antico e fra i più nobili della umanità, un lavoro puro come quello della terra, come quello della calce e del mattone; ma tuttavia più d'ogni altro pesante di fatica, grave di responsabilità, irto di pericolo e di dolore. Così è la miniera. E appunto per questo l'amore con cui questa grande azienda statale segue in ogni istante della giornata la vita dei suoi operai ci è apparso Ammirevole, appunto per questo ci è sembrato che le realizzazioni assistenziali della Cogne compiutamente si inseriscano nel tempo mio iti. siano veramente «andare verso il popolo », preludano, e voglia Iddio che la meta sia vicina, alla « più equa giustizia sociale ». La magnetite... Già. la magnetite. Vedremo prossimamente chi è questa signora r. quali rapporti la uniscano alla sua grande amica, l'antracite. Angelo Appiotti 7/ $5 La perforatrice automatica morde il macigno. Cogne culla di cannoni Cogne culla di cannoni JL,st possente organlxxaxiona della gì* un eie azienda * nudici •miniere, dieci centrali, ferro, rame, carbone, qnarxo, magnesio (Dal nostro inviato) COGNE, febbraio. C'era una volta una miniera... La storia della «liniere di Cogne potrebbe cominciare così, come una favola; tanto le sue origini sono lontane, le sue vicende vecchie di secoli, i suoi pionieri fantasmi che si perdono nella notte dei tempi. Risalire a ritroso negli anni, ricongiungersi al primo montanaro che attaccò col piccone il dorso della montagna e ne trasse U primo pugno di minerale di ferro per foggiarsene un'ascia o una picca, potrebbe essere interessante e forse anche, per qualche lettore, assai istruttivo; ma questo non è nei nostri campiti e neppure nelle nostre intenzioni. Quel che conta è la realtà d'oggi, è la superba meta a oui la Cogne, gagliarda espressione della Italia moderna, è giunta; ciò che contano sono i resultati (resultati in milioni di ton nellate di ferro, di ghisa, di acciaio, di antracite, di rame, di mo\ibdenite, di quarzo, in milioni di chilovatore) a cut il possente organismo è arrivato, balzando in pochi anni da posizioni insignificanti a cifre colossali, dopo aver rivoluzionato tutti i suoi impianti, aver decuplicato le sue maestranze, dopo essersi affacciata, con impeto improvviso, dai vecchi metodi di lavorazione alla più. progredita modernità. Sono i tempi nuovi, i tempi dell'autarchia, che hanno mosso la vasta macchina, o meglio, che del grande congegno hanno foggiato e riunito gli innumeri pezzi, impri mendogli un più gagliardo ritmo di vita; ma ancora una volta giova ripetere (la Cogne ce ne dà l'esempio più convincente) che l'autarchia, in questo settore come in ogni altro, non è un fenomeno contingente, un movimento d'emergenza, ma un orientamento economico definitivo. La montagna di ferro Giungendo qui attraverso la stupenda vallata su cui le alte cime incombono a perpendicolo bianche di neve e scintillanti di ghiaccio, queste cose ci diceva il senatore Euclide Silvestri che con rara perizia e audace modernità presiede il possente organismo; e ,iil.cammino percorso dalla Cogne in questi ultimi anni, i più importanti senza dubbio di tutti i secoli di sua vita, prima che nella realtà ci apparve nella parola dell'illustre camerata alla cui dura fatica già hanno sorriso così chiari resultati. Vasta e molteplice la attività della Cogne. La casa madre è qui, fra queste montagne, è su questo picco ventoso e gelato, è in questa miniera che ha forato il blocco compatto di dieci mi/ioni di tonnellate di magnetite con trenta chilometri di gallerie; qui è nata tanto tempo fa l'azienda, da qui oggi ancora essa trae il nome e la sua forza più viva. Ma, da questo nucleo primogenito, la Cogne s'è affacciata negli anni a più lontani orizzonti, ha irradiato su tutta la penisola il suo sguardo e la sua indagine. Così, mentre la vecchia miniera (lo vedremo più avanti) superando d'un balzo distanze di decenni, si portava industrialmente all'altezza dei più progrediti orga nismi stranieri, e affiancava ai lavori di estrazione i formidabili stabilimenti siderurgici di Aosta, altre cave e miniere e centrali elettriche si aprivano e sorgevano un poco in tutte le parti d'Italia: oltre duecento milioni di chilovatore (sono cifre vecchie di due anni, quindi inferiori alla realtà; quelle recenti non si conoscono) dalle dieci centrali aostane, carnxche e sarde di proprietà dell'azienda; e poi antracite a La Thuile, molibdenite a Gonnosfanadiga, ferro manganesi/ero in Carnia, rame a Ollomont, magnetite a Menna Sardo, rame a Predazzo, quarzite « Costa del Pino, quarzo a Borgofranco, calcare a Pompiod, magnesite a Bandissero. Queste son le conquiste certe, giù acquisite alla realtà: e intanto prosegue e si intensifica il lavoro di ricerca. Da tutte le località più sopra accennate già si estrae e .vi trasforma il minerale; in altre U minerale è già stato trovato, ora se ne studia la consistenza, la quantità e la qualità. Così a Nettuno per la magnetite, a Vall'Orsiere per il nichel, a Cogoleto ancora per la magnetite, a Gutturu Deruttu, a Perda Arrubia, a Perita Naiori per il molibdenite. Altrove il lavoro di prospezione affronta massicci montani alla ■ ricerca di questo e di quello, gli ingegneri minerari e i geologi fiutano il vento delle cime, martellano le rocce dei monti, bucano il seno della terra. Perchè essi non credono alla nostra, povertà mineraria, perchè tesori non conosciuti sono senza dubbio celati nelle tepide profondità, perchè l'Italia diseredata di materie prime è un luogo comune che sta per essere sfatato. Poveri sì, ma soprattutto per colpa nostra. Perchè per secoli ci è sembrato più inmodo e più conveniente fonde,c i nostri cannoni e laminare le nostre macchine agricole col ferro straniero sbarcato a prezzo di schiavitù sui moli di Genova, che non andarlo a cercare lo stesso ferro, spesso migliore, come quello di Cogne che, ormai tutti sanno, è superiore a quello svedese, in casa nostra, nelle viscere delle intatte montagne. 1 vecchi piemontesi, che in materia di orgoglio nazionale non scherzavano, raccontano una storiella che può essere anche vera. Un giorno lontano la bufera si abbattè su, Torino e la Mole Antonelliana ne ebbe la peggio. L'Angelo della cima, squassato dal vento, si ripiegò sui suoi. sostegni, volse il capo all'ingiù; ma non precipitò. Sapete perchè? Perchè le putrelle che ne armavano la base eran state fuse con il minerale di Cogne; il miglior ferro, dicevano i torinesi e avevano ragione, del mondo. Ma oramai anche questo sta per diventare un luogo comune, tanto là cosa è risaputa. Piuttosto sarà interessante sapere quanto di questo ferro la miniera di Cogne ci potrà dare ancora, per quanti anni gli alti fornì di Aosta potranno lampeggiare della sua magnetite. Dicono i pessimisti: dieci milioni di tonnellate di minerale potremo ancora trarre da lassù. Ma gli ottimisti vanno oltre, raggiungono cifre quanto mai consolanti, arrivano a venticinque, trenta milioni di tonnellate. Il calcolo d'una ricchezza mineraria non è facile: si può sbagliare così, in buonafede, per milioni di tonnellate, ed hanno ragione gli uni e gli altri. Si vedrà alla fine chi era nel vero, quando la mina solleverà oltre l'ultimo velo di magnetite il primo strato calcareo. Comunque dieci milioni di tonnellate son già qualcosa, una quantità che tradotta in massa costituisce una bella montagna compatta d'un migliaio di metri di altezza e da cui Dio sa quanti cannoni si potranno fondere. Uno sforzo titanico Ecco, questa enorme massa ferrosa comincia lassù, protetta tutt'attomo dai calcari, dalla terra ed ora, ch'è inverno, dalla neve. Siamo nel fondo valle, ove s'elevano i fabbricati degli uffici della miniera, ove sono le villette degli impiegati e le nuove bellissime case operaie. In una saletta della direzione il dott. Coli, ch'è direttore centrale della Società e che a questa azienda ha dato e dà il meglio della sua energica giovanile intelligenza, ci traccia l'itinerario della affascinante gita che stiamo per compiere. D'un balzo supereremo, tra poco, mille metri di dislivello, da millecinque a duemilacinque; naturalmente in teleferica, che ondeggia tra folate gelide su abissi paurosi, che trascorre, puntino nero nella immensità candida, su nevai abbacinanti di sole. Arriveremo così alla miniera, che ci è nascosta da un caseggiato di sette piani, costrutto quassù, in uno sforzo titanico, per dare agli operai condizioni di vita e di lavoro ideali. Sarà l'ultima cosa che vedremo, la miniera; prima ci sembrerà d'essere in un confortevole albergo d'alta montagna enormemente affollato da una moltitudine di strana gente che ha giurato odio eterno alla donna. Una moltitudine di quattro o cinquecento uomini rudi che s'aggira per le sale luminose dei refettori, dei dormitori, di ricreazione come in un collegio senza assistenti, senza la disciplina del silenzio; cinquecento nomini soli, col loro lavoro, i loro ricordi, le loro speranze di ritorno alle case e ai bimbi lontani. Quanto la Cogne ha fatto quassù per i suoi operai ha del meraviglioso. Chi non crede agli aggettivi, venga a vedere. Pensate: siamo a duemilacinquecento metri di altezza, sul dorso quasi verticale della montagna, pressarla cima che si perde nelle nubi. Dì qui parte l'imbocco della miniera, U gallerìa in cemento armato che immette nella raggiera delle cento gallerìe minori. S'è dovuto, per poter costruire sul piano, tagliare una gran fetta di monte e addossare contro la parete le case e le officine. I primi che si sono accinti all'impresa hanno dovuto senza alcun dubbio lavorare nel vuoto; la montagna precipita come i fianchi di una torre. Questo che subito ci accoglie è un mondo gaio, pieno di luce e di calore. Fuori un freddo finlandese, il fiato ti gela sulle labbra, il vento ti cerca tutto il corpo e ti agghiaccia. Qui l'antracite dì La Thuile diffonde un tepore di salotto. Nei dormitori, nei locali del Dopolavoro, nelle mense le squadre di riposo attendono il loro turno di fatica. Poiché in miniera si lavora a ritmo continuo, ventiquattro ore ogni giorno, tutto, nell'immenso fabbricato, deve essere sèmpre vivo e funzionante. Si deve ad ogni ora poter avere dalle cucine fina scodella di minestra fumante e un piatto di carne, po ter prendere al bar un caffè e fare con qualche compagno una partita a scopa ai tavoli del Dopolavoro Magari alle quattro di mattina ■Ógni squadra che ritorna dalla miniera trova una casa ospitale, una mensa imbandita, un letto soffice e caldo, una radio che le porta la voce del mondo. L'antica fatica L'operaio di Cogne guadagna bene. Abbiamo visto agli ingressi del cantiere i quadri dei cottimi. Ognuno sa ógni giorno ciò che ha prodotto e ciò che ha guadagnato, se lo vede scritto a fianco del \proprio nome quando rientra in ; gallerìa, dopo il riposo. Si giunge |a salari giornalieri di trentasei, I trentotto lire per gli operai spe\cializzati e migliori, a un minimo \di trenta per i manovali. Ora, se si pensa che una minestra costa alle cucine gestite dalla azienda quaranta centesimi, un piatto di carne con contorno una lira e venti, il pane una lira e ottanta al chilo, e tutto il resto è venduto a prezzi fallimentari (l'azienda perde somme notevoli per questa gestione. Non c'è dubbio. Basta pensare al pane) ; se si considera che, UMo sommato, cibo letto divertimenti, nessun operaio supera le dieci lire di spesa giornaliera, si deve concludere che le condizioni fatte dulia Cogne alle proprie maestranze sono eccellenti. La massa lavoratrice è in gran parte importata, il settantacinque per cento è costituito da veneti; scarsa la affluenza dei valligiani locali che son rimasti fedeli alle antiche tradizioni contadine e coltivano su pei dirupi e le forre con immutato amore il loro magro campo. I veneti, gli emiliani, i romagnoli vengono quassù e si fermano in genere due anni; possono, dopo il primo anno, godere d'un mese di licenza, ma i più rinunciano. Due anni di lavoro duro ma sereno, due anni, soprattutto di tenace risparmio, di lira accumulata su lira, un piccolo capitale che si forma, una casetta che si potrà un giorno comprare, un dolce sogno che certamente si avvererà. E intanto al paese le famiglie vivono, c'è sul salario margine per tutto, per il risparmio e per nutrire vestire i bimbi lontani. Non vita beata quella dei fumatori di Cogne, intendiamoci, non vita facile con lauti guadagni e lieve fatica. Quando diciamo miniera sempre si intende una cosa terribilmente seria, si vedono schiene curve in cunicoli bui, rombi assordanti di- mine in profondità paurose, fronti imperlate di sxtdore su braccia protese a rompere macigni. Un lavoro antico e fra i più nobili della umanità, un lavoro puro come quello della terra, come quello della calce e del mattone; ma tuttavia più d'ogni altro pesante di fatica, grave di responsabilità, irto di pericolo e di dolore. Così è la miniera. E appunto per questo l'amore con cui questa grande azienda statale segue in ogni istante della giornata la vita dei suoi operai ci è apparso Ammirevole, appunto per questo ci è sembrato che le realizzazioni assistenziali della Cogne compiutamente si inseriscano nel tempo mio iti. siano veramente «andare verso il popolo », preludano, e voglia Iddio che la meta sia vicina, alla « più equa giustizia sociale ». La magnetite... Già. la magnetite. Vedremo prossimamente chi è questa signora r. quali rapporti la uniscano alla sua grande amica, l'antracite. Angelo Appiotti 7/ $5 La perforatrice automatica morde il macigno.

Persone citate: Menna Sardo