Piedi caldi e piedi freddi

Piedi caldi e piedi freddi | CORSO ALLIEVI UFFICIALI Piedi caldi e piedi freddi Sul conto degli allievi dei passati corsi circolavano parecchie storie, e poiché col tempo le storie cessano di esser tali e diventano leggende, si parlava spesso, la sera, di colossali battaglie notturne combattute a colpi di cuscini, e di letti spostati, di coperte rubate, di allievi rapiti nel sonno, di secchi d'acqua sulla faccia dei dormienti; se ne parlava tanto che, suonato il silenzio, erano pochi quelli che s'addormentavano subito, fiduciosi: i più tendevano l'orecchio, spalancavano gli occhi nel buio, sobbalzando a ogni scricchiolio, sussultando a ogni ombra, impressionati sopratutto dal racconto delle gesta della squadra volante. « La squadra volante, si diceva, era composta di allievi indossanti ciascuno un pigiama scuro per confondersi con le tenebre; operavano rapidissimamente; non si sentivano arrivare, e in pochi istanti rovesciavano materassi, portavano via coperte, cambiavano di posto ai letti; e non pochi allievi s'erano trovati, senza saper come, tremanti di freddo, in camicia, per le scale, e qualcuno perfino nel cortile. Poi, la squadra volante, così come dalle tenebre era venuta, nelle tenebre spariva, e mai s'era saputo da chi fosse composta ». Ma da noi — sia per paura di Pinto, sia che ciascuno, temendo e diffidando degli' altri, preferisse, piuttosto che prendere iniziative, starsene in vigile attesa — per tutto il mese di novembie e per quasi tutto quello di dicembre non successe niente. In un certo senso era una vergogna, e più di tutti Lami, che si esaltava al racconto delle gesta degli antichi allievi, era indignato e avvilito nello stesso tempo. — Non siamo allievi, — diceva — siamo grassi borghesi impastati di sonno. Sapete che cosa ci manca? Ci manca il berretto da notte con nappa ingozzato fin sotto le orecchie, e il camicione con spacchi laterali. Vergogna! E si guardava intorno fissandoci uno per uno, nella speranza di scorgere nel brillare di qualche sguardo la possibilità di mettere insieme una nuova squadra volante degna delle antiche. Ma non vedeva intorno a sè che facce da berretto da notte. Passò così — con una serie di notti calme — gitasi tutto il mese di dicembre e s'arrivò si può dire alla vigilia della licenza di Natale. Chi non ha fatto il servizio militare non può farsi un'idea dello stato d'animo che regna nei giorni che precedono una licenza: c'è nell'aria un nervosismo, un'impazienza che si traduce in febbrile e gioiosa agitazione: gli occhi risplendono, tutto sembra bello; se il cielo è sereno viva il sole, se è nuvolo viva la pioggia; gli zaini non pesano; i cappotti s'arrotolano da sè, come per incanto, anche quello di Letizia; Pinto è bello, gli si vuol bene; le marce sono un piacere, le esercitazioni una festa; chi ha la febbre gli passa, le infermerie si vuotano; la tromba della sveglia è una musica. Viva ì giorni che precedono la licenza, più belli ancora di essa perchè al mondo non c'è piacere tanto grande che non sia inferiore a quello che provi nello sperarlo e nell'attenderlo. E la sera, prima d'addormentarci, quanti discorsi, quanti progetti, quanti desideri che poi, piano piano, sopravvenendo il sonno, continuano nei sogni! Ecco, è mezzanotte, e appena adesso la camerata s'è addormentato,: Chinigò, che dorme sempre seduto ed è latito alto che sembra stia in piedi sul letto, russa c sogna la fidanzata, ma tanto forte russa quanto delicato è il sor/no, e la gentile immagine che gli esce dal cuore ogni tanto vien rotta e dispersa dal rombo che gli esce dal naso. Anche Letizia dorme, tranquillo, e Borgoni, che sogna ,1 filo d'argento del suo violino, e Benedetti, Albergo, Cacciatore, tranquilli e ignari, ignari di Lanzi che silenziosamente scivola dal letto e va a mettersi sotto la poca luce della lampadina rossastra che, al centro della camerata, pende dal soffitto con quella dolce rassegnazione propria delle lampadine che, nate per illuminare, al massimo, uno stanzino, si limitano, messe in una enorme camerata, a fare ciò che possono, soffocate da quelle tenebre che non riescono a rompere. L'apparizione di Lanzi sotto la lampadina è un segnale: ceco che altri cinque o sei, usciti dal bino, gli si raggruppano intorno: è la squadra volante clic Lanzi da tanto tempo sognava e che finalmente, ò riuscito a mettere insieme favorito dalla suaccennata eccitazione della vigilia. Operare silenziosamente e rapidamente. Chinino, che dormiva seduto, piano piano 6 scivolato giù, e la testa rapata, piena di dolci sogni, poggia ora sul cuscino. Sono angeli quelli che ora lo sollevano dal letto e lo portano come in volo lungo la camerata? No, sono quattro componenti della squadra volante che, sollevato il materasso, rapiscono Chinigò addormentato, lo trasportano fuori della camerata e, sempre addormentato, lo lasciano sul pianerottolo delle scale. In punta di piedi tornano dentro, fanno col grasso da scarpe i baffi, e il pizzo sulle facce tonde di Benedetti e di Martufi, tagliano uno dei baffi veri di Pacelli, portano via di colpo le coperte di Cacciatore, questi si sveglia, caccia un urlo, gli mettono il cuscino sulla bocca, ma la camerata s'è svegliata, e la battaglia incomincia. Armata di cuscini la squadra volante colpisce all'impazzata, sale sui letti, ci balla sopra, balza da un letto all'altro; la difesa viene prontamente organizzata, si formano altre squadre, i cuscini volano, dai cuscini si passa alle scarpe, e allora i combattenti si mettono gli elmetti; passano velocemente nell'alone di luce della lampadina strani esseri avvolti in un lenzuolo, coperti da elmetti, agitanti scarpe e cuscini, possano e spariscono inseguiti da esseri in camicia, da altri esseri in pigiama. Grida soffocate, rotolìo di letti spostati a scopo di barricate, tonfi di scarpe, e la voce di Lauzi: «Guerra guerra!». Solo Letizia dorme, ignaro, miracolosamente incolume, sul letto intatto. La squadra volante semina strage, favorita dal fatto che le altre squadre, nel buio, anziché combattere contro di essa, si combattono fra loro. Una cuscinata colpisce la lampadina che oscilla come un pendolo illuminando ora questi ora quei combattenti, ora scoprendo l'eroico comportamento di uno che soverchiato dal numero degli assalitori si difende bravamente, in piedi sul letto, manovrando il materasso come fosse un cuscino e abbattendolo sulla testa dei nemici, ora gli inutili sforzi di un prigioniero legato al letto con le cinghie, ora la faccia di Benedetti che non sa quale aspetto terribile gli diano la barba e i baffi fatti col grasso da scarpe. Poi, improvvisamente, come se un presenti¬ f mento fosse entrato nei cuori, un gran silenzio, ed ecco venir dalle scale un pesante rumore di passi seguito subito da un tonfo e da due gridi: è Pinto che, accorrendo, è inciampato nel materasso su cui Chinigò sogna la fidanzata e gli è caduto addosso: così che Chinigò che nel sonno sognava di stringere la fidanzala stringe ora nella veglia il sergente maggiore Pinto, e, non essendosi ancora reso conto dell'accaduto, gli mormora parole affettuose. Niente di peggio e di meno adatto per rabbonire un sergente maggiore che mormorargli parole d'amore. Pinto si rialza, si libera di Chinigò, spalanca la porta della camerata, ma è bastata quella caduta perchè, come per incanto, tutto sia tornato al posto, i letti allineati lungo i muri, i materassi sui letti, gli allievi sui materassi e le coperte sugli allievi i qua/i, innocenti, dormono, russano, o sospirano come chi sogni. Ma Pinta non è al suo primo corso: da anni vive in mezzo agli allievi, da anni ne sventa le battaglie notturne, e conosce tutti i trucchi, tutte le astuzie. S'avvicina a un letto, ne solleva le coperte, e subito tocca i piedi del finto dormiente: — Piedi freddi! — grida, e velocemente solleva tutte le coperte e tocca tutti i piedi, ora: — Piedi freddi! — gridando, ora: — Piedi caldi — dicendo. — Chi ha i piedi freddi vuol dire che non dormiva, vuol dire che è stato fuori dal letto! In prigione tutti quelli coi piedi freddi! Non c'è niente da fare con Pinto, è più furbo del diavolo. Gli allievi dai piedi freddi si vestono alla meglio, si buttano addosso una coperta e, come tanti cavalli, si raggruppano sotto la lampadina, in attesa di seguire Pinto. Non li rattrista tanto il pensiero della prigione, quanto il pensiero d'una grave ingiustizia: Lauzi, il capo della squadra volante, lo scatenatore della battaglia, ha, per natura, i piedi caldi e dorme beato sotto gli occhi di Pinto che scuote il capo, sospetta, ma non può far niente: piedi caldi significano innocenza. Ma alla grave ingiustizia ne segue un'altra, più grave: Letizia, veramente innocente, Letizia che veramente dormiva e non sa nulla della battaglia, ha, per natura, i piedi freddi che non gli si riscaldano mai. \ Si sveglia di colpo sentendoseli stringere e protesta ad alta voce perchè, per quanto grande possa essere l'autorità d'un sergente maggiore i regolamenti non la estendono fino al diritto di afferrare i piedi degli allievi che dormono. —-Letizia, In prigione! — Io? E perchè, sergente maggiore? — Perchè avete i piedi freddi! E' duro dover andar in prigione accusati di freddo alle estremità inferiori. Letizia s'alza, si mette addosso una coperta, fa per raggiungere gli altri, ma a questa vista nemmeno il duro cuore di Lauzi può resistere. — Sergente maggiore — esclama il capo della squadra volante uscendo dal letto e piantandosi sull'attenti in camicia — ho i piedi caldi, ma sono colpevole! Letizia li ha freddi, ma è innocente! E sinceramente gli racconta come sono andate le cose. Alla fine Pinto, costretto a credere, porta in prigione Lanzi e rimanda a letto Letizia, ma si vede ch'è addolorato perchè la teoria dei piedi freddi e dei piedi caldi ha subito un fiero colpo. La mattina dopo il capitano non si fa vivo. Andiamo a lezione e quando s'apre la porta e temiamo di vederlo comparire entra, invece, il tenente Manzini e ci dice che il capitano Tonuccì ha rimandato la sua lezione a domani. Passa la mattinata, andiamo a colazione, e, alle due, con zaino e fucile andiamo al piazzale del lido, come lutti i giorni, per le esercitazioni. C'è il capitano Tonucci. E' calmo, quasi sorridente. Ci fa schierare di fronte e con tutto il garbo possibile ri dice che, visto che la notte non dormiamo, e dato che gli dispiace che l'insonnia, pericolosissima nei giovani, possa farci danno, crede di aver trovato il modo di assicurarci per la prossima notte un sonno lungo e continuato. Cosi detto, si pianta in mezzo al piazzale intorno al quale noi — fianco destr, avanti, morse! — cominciamo a marciare. Poi: — .Di corsa! — ordina. E noi. obbedienti, cominciamo a correre come tante belve intorno al domatore; in principio la cosa è divertente: siamo freschi, riposati, gli zaini ballano sulle spalle, i gavettini danzano nelle gavette accompagnando la corsa con una specie di musica. Ma passati dieci minuti, e poi un quarto d'ora, e poi venti minuti senza, aver ricevuto l'ordine di mutare la corna, in marcia, ohe, la faccenda comincia a farsi seria, e c'è già chi s'è passato dieci volte il fucile da una mano all'altra, c'è già chi col gomito, ogni tanto, s'asciuga il sudore, e chi tra i denti s'è messo un fazzoletto e stringe, stringe disperatamente, e chi con una mano cerca di sostenere lo zaino per sentirne meno il peso. Abbiamo capito, adesso: ci vuol stancare fino a costringerci alla resa. Ebbene, capitano, ti sfidiamo. E avanti ancora, sempre di corsa, intorno a lui che si gode l'impolverato e sudante carosello. Sono tre quarti d'ora che corriamo, e abbiamo il cuore in gola, teniamo la bocca chiusa per non dare al capitano la soddisfazione di vederlo uscire. Letizia cede, non ne può più, si ferma, e il capitano gli fa cenno di mettersi in disparte. E molti altri cenni del genere deve fare via via che gli allievi, con la lingua di fuori, lo guardano e gli dicono con gli occhi: « Signor capitano, non glie la faccio più ». E' passata un'ora, e in quanti saremo rimasti a correre? In dieci, non più: quelli della squadra volante che moriranno ma non si arrenderanno. Il furile sembra di piombo, lo zaino un macigno, il cuore ci martella dentro, cosi come le vene delle tempie e dei polsi; il piazzale non lo vediamo più, niente vediamo, nemmeno il capitano, ma seguitiamo a correre, e se ci si piegano le ginocchia è per un istante, un istante solo: subito risorgiamo, e avanti. Tutto sta a vedere chi cederà per primo. E' il capitano che cede, e ordina l'alt. Finalmente. Il carosello infernale è finito. Eccoci schierati di fronte al capitano, ansanti, appoggiati 'al fucile come a un bastone, ma quel po' di luce che ci rimane negli occhi la cacciamo tutta fuori per guardarlo in faccia. — Questa è la squadra volante? — Si, signor capitano — risponde Lauzi per tutti. — Vi sentireste stanotte — domanda il capitano — di rifare quello che avete fatto la notte passata? Lanzi tarda un po' a rispondere, poi, come può, sorride, e guardando prima noi e poi lui: — Si, signor capitano'— risponde. — Bene, ma non lo fate — dice sorridendo il capitano. — Altrimenti sarei costretto a ridarvi i venti giorni di consegna che vi ho condonati. E s'allontana, contento dei suoi ragazzi. Mosca. L'aviazione italiana potenzia di giorno in giorno sempre più la sua già formidabile attrezzatura. Ecco un cantiere di costruzioni aeronautiche in piena efficienza. Piedi caldi e piedi freddi | CORSO ALLIEVI UFFICIALI Piedi caldi e piedi freddi Sul conto degli allievi dei passati corsi circolavano parecchie storie, e poiché col tempo le storie cessano di esser tali e diventano leggende, si parlava spesso, la sera, di colossali battaglie notturne combattute a colpi di cuscini, e di letti spostati, di coperte rubate, di allievi rapiti nel sonno, di secchi d'acqua sulla faccia dei dormienti; se ne parlava tanto che, suonato il silenzio, erano pochi quelli che s'addormentavano subito, fiduciosi: i più tendevano l'orecchio, spalancavano gli occhi nel buio, sobbalzando a ogni scricchiolio, sussultando a ogni ombra, impressionati sopratutto dal racconto delle gesta della squadra volante. « La squadra volante, si diceva, era composta di allievi indossanti ciascuno un pigiama scuro per confondersi con le tenebre; operavano rapidissimamente; non si sentivano arrivare, e in pochi istanti rovesciavano materassi, portavano via coperte, cambiavano di posto ai letti; e non pochi allievi s'erano trovati, senza saper come, tremanti di freddo, in camicia, per le scale, e qualcuno perfino nel cortile. Poi, la squadra volante, così come dalle tenebre era venuta, nelle tenebre spariva, e mai s'era saputo da chi fosse composta ». Ma da noi — sia per paura di Pinto, sia che ciascuno, temendo e diffidando degli' altri, preferisse, piuttosto che prendere iniziative, starsene in vigile attesa — per tutto il mese di novembie e per quasi tutto quello di dicembre non successe niente. In un certo senso era una vergogna, e più di tutti Lami, che si esaltava al racconto delle gesta degli antichi allievi, era indignato e avvilito nello stesso tempo. — Non siamo allievi, — diceva — siamo grassi borghesi impastati di sonno. Sapete che cosa ci manca? Ci manca il berretto da notte con nappa ingozzato fin sotto le orecchie, e il camicione con spacchi laterali. Vergogna! E si guardava intorno fissandoci uno per uno, nella speranza di scorgere nel brillare di qualche sguardo la possibilità di mettere insieme una nuova squadra volante degna delle antiche. Ma non vedeva intorno a sè che facce da berretto da notte. Passò così — con una serie di notti calme — gitasi tutto il mese di dicembre e s'arrivò si può dire alla vigilia della licenza di Natale. Chi non ha fatto il servizio militare non può farsi un'idea dello stato d'animo che regna nei giorni che precedono una licenza: c'è nell'aria un nervosismo, un'impazienza che si traduce in febbrile e gioiosa agitazione: gli occhi risplendono, tutto sembra bello; se il cielo è sereno viva il sole, se è nuvolo viva la pioggia; gli zaini non pesano; i cappotti s'arrotolano da sè, come per incanto, anche quello di Letizia; Pinto è bello, gli si vuol bene; le marce sono un piacere, le esercitazioni una festa; chi ha la febbre gli passa, le infermerie si vuotano; la tromba della sveglia è una musica. Viva ì giorni che precedono la licenza, più belli ancora di essa perchè al mondo non c'è piacere tanto grande che non sia inferiore a quello che provi nello sperarlo e nell'attenderlo. E la sera, prima d'addormentarci, quanti discorsi, quanti progetti, quanti desideri che poi, piano piano, sopravvenendo il sonno, continuano nei sogni! Ecco, è mezzanotte, e appena adesso la camerata s'è addormentato,: Chinigò, che dorme sempre seduto ed è latito alto che sembra stia in piedi sul letto, russa c sogna la fidanzata, ma tanto forte russa quanto delicato è il sor/no, e la gentile immagine che gli esce dal cuore ogni tanto vien rotta e dispersa dal rombo che gli esce dal naso. Anche Letizia dorme, tranquillo, e Borgoni, che sogna ,1 filo d'argento del suo violino, e Benedetti, Albergo, Cacciatore, tranquilli e ignari, ignari di Lanzi che silenziosamente scivola dal letto e va a mettersi sotto la poca luce della lampadina rossastra che, al centro della camerata, pende dal soffitto con quella dolce rassegnazione propria delle lampadine che, nate per illuminare, al massimo, uno stanzino, si limitano, messe in una enorme camerata, a fare ciò che possono, soffocate da quelle tenebre che non riescono a rompere. L'apparizione di Lanzi sotto la lampadina è un segnale: ceco che altri cinque o sei, usciti dal bino, gli si raggruppano intorno: è la squadra volante clic Lanzi da tanto tempo sognava e che finalmente, ò riuscito a mettere insieme favorito dalla suaccennata eccitazione della vigilia. Operare silenziosamente e rapidamente. Chinino, che dormiva seduto, piano piano 6 scivolato giù, e la testa rapata, piena di dolci sogni, poggia ora sul cuscino. Sono angeli quelli che ora lo sollevano dal letto e lo portano come in volo lungo la camerata? No, sono quattro componenti della squadra volante che, sollevato il materasso, rapiscono Chinigò addormentato, lo trasportano fuori della camerata e, sempre addormentato, lo lasciano sul pianerottolo delle scale. In punta di piedi tornano dentro, fanno col grasso da scarpe i baffi, e il pizzo sulle facce tonde di Benedetti e di Martufi, tagliano uno dei baffi veri di Pacelli, portano via di colpo le coperte di Cacciatore, questi si sveglia, caccia un urlo, gli mettono il cuscino sulla bocca, ma la camerata s'è svegliata, e la battaglia incomincia. Armata di cuscini la squadra volante colpisce all'impazzata, sale sui letti, ci balla sopra, balza da un letto all'altro; la difesa viene prontamente organizzata, si formano altre squadre, i cuscini volano, dai cuscini si passa alle scarpe, e allora i combattenti si mettono gli elmetti; passano velocemente nell'alone di luce della lampadina strani esseri avvolti in un lenzuolo, coperti da elmetti, agitanti scarpe e cuscini, possano e spariscono inseguiti da esseri in camicia, da altri esseri in pigiama. Grida soffocate, rotolìo di letti spostati a scopo di barricate, tonfi di scarpe, e la voce di Lauzi: «Guerra guerra!». Solo Letizia dorme, ignaro, miracolosamente incolume, sul letto intatto. La squadra volante semina strage, favorita dal fatto che le altre squadre, nel buio, anziché combattere contro di essa, si combattono fra loro. Una cuscinata colpisce la lampadina che oscilla come un pendolo illuminando ora questi ora quei combattenti, ora scoprendo l'eroico comportamento di uno che soverchiato dal numero degli assalitori si difende bravamente, in piedi sul letto, manovrando il materasso come fosse un cuscino e abbattendolo sulla testa dei nemici, ora gli inutili sforzi di un prigioniero legato al letto con le cinghie, ora la faccia di Benedetti che non sa quale aspetto terribile gli diano la barba e i baffi fatti col grasso da scarpe. Poi, improvvisamente, come se un presenti¬ f mento fosse entrato nei cuori, un gran silenzio, ed ecco venir dalle scale un pesante rumore di passi seguito subito da un tonfo e da due gridi: è Pinto che, accorrendo, è inciampato nel materasso su cui Chinigò sogna la fidanzata e gli è caduto addosso: così che Chinigò che nel sonno sognava di stringere la fidanzala stringe ora nella veglia il sergente maggiore Pinto, e, non essendosi ancora reso conto dell'accaduto, gli mormora parole affettuose. Niente di peggio e di meno adatto per rabbonire un sergente maggiore che mormorargli parole d'amore. Pinto si rialza, si libera di Chinigò, spalanca la porta della camerata, ma è bastata quella caduta perchè, come per incanto, tutto sia tornato al posto, i letti allineati lungo i muri, i materassi sui letti, gli allievi sui materassi e le coperte sugli allievi i qua/i, innocenti, dormono, russano, o sospirano come chi sogni. Ma Pinta non è al suo primo corso: da anni vive in mezzo agli allievi, da anni ne sventa le battaglie notturne, e conosce tutti i trucchi, tutte le astuzie. S'avvicina a un letto, ne solleva le coperte, e subito tocca i piedi del finto dormiente: — Piedi freddi! — grida, e velocemente solleva tutte le coperte e tocca tutti i piedi, ora: — Piedi freddi! — gridando, ora: — Piedi caldi — dicendo. — Chi ha i piedi freddi vuol dire che non dormiva, vuol dire che è stato fuori dal letto! In prigione tutti quelli coi piedi freddi! Non c'è niente da fare con Pinto, è più furbo del diavolo. Gli allievi dai piedi freddi si vestono alla meglio, si buttano addosso una coperta e, come tanti cavalli, si raggruppano sotto la lampadina, in attesa di seguire Pinto. Non li rattrista tanto il pensiero della prigione, quanto il pensiero d'una grave ingiustizia: Lauzi, il capo della squadra volante, lo scatenatore della battaglia, ha, per natura, i piedi caldi e dorme beato sotto gli occhi di Pinto che scuote il capo, sospetta, ma non può far niente: piedi caldi significano innocenza. Ma alla grave ingiustizia ne segue un'altra, più grave: Letizia, veramente innocente, Letizia che veramente dormiva e non sa nulla della battaglia, ha, per natura, i piedi freddi che non gli si riscaldano mai. \ Si sveglia di colpo sentendoseli stringere e protesta ad alta voce perchè, per quanto grande possa essere l'autorità d'un sergente maggiore i regolamenti non la estendono fino al diritto di afferrare i piedi degli allievi che dormono. —-Letizia, In prigione! — Io? E perchè, sergente maggiore? — Perchè avete i piedi freddi! E' duro dover andar in prigione accusati di freddo alle estremità inferiori. Letizia s'alza, si mette addosso una coperta, fa per raggiungere gli altri, ma a questa vista nemmeno il duro cuore di Lauzi può resistere. — Sergente maggiore — esclama il capo della squadra volante uscendo dal letto e piantandosi sull'attenti in camicia — ho i piedi caldi, ma sono colpevole! Letizia li ha freddi, ma è innocente! E sinceramente gli racconta come sono andate le cose. Alla fine Pinto, costretto a credere, porta in prigione Lanzi e rimanda a letto Letizia, ma si vede ch'è addolorato perchè la teoria dei piedi freddi e dei piedi caldi ha subito un fiero colpo. La mattina dopo il capitano non si fa vivo. Andiamo a lezione e quando s'apre la porta e temiamo di vederlo comparire entra, invece, il tenente Manzini e ci dice che il capitano Tonuccì ha rimandato la sua lezione a domani. Passa la mattinata, andiamo a colazione, e, alle due, con zaino e fucile andiamo al piazzale del lido, come lutti i giorni, per le esercitazioni. C'è il capitano Tonucci. E' calmo, quasi sorridente. Ci fa schierare di fronte e con tutto il garbo possibile ri dice che, visto che la notte non dormiamo, e dato che gli dispiace che l'insonnia, pericolosissima nei giovani, possa farci danno, crede di aver trovato il modo di assicurarci per la prossima notte un sonno lungo e continuato. Cosi detto, si pianta in mezzo al piazzale intorno al quale noi — fianco destr, avanti, morse! — cominciamo a marciare. Poi: — .Di corsa! — ordina. E noi. obbedienti, cominciamo a correre come tante belve intorno al domatore; in principio la cosa è divertente: siamo freschi, riposati, gli zaini ballano sulle spalle, i gavettini danzano nelle gavette accompagnando la corsa con una specie di musica. Ma passati dieci minuti, e poi un quarto d'ora, e poi venti minuti senza, aver ricevuto l'ordine di mutare la corna, in marcia, ohe, la faccenda comincia a farsi seria, e c'è già chi s'è passato dieci volte il fucile da una mano all'altra, c'è già chi col gomito, ogni tanto, s'asciuga il sudore, e chi tra i denti s'è messo un fazzoletto e stringe, stringe disperatamente, e chi con una mano cerca di sostenere lo zaino per sentirne meno il peso. Abbiamo capito, adesso: ci vuol stancare fino a costringerci alla resa. Ebbene, capitano, ti sfidiamo. E avanti ancora, sempre di corsa, intorno a lui che si gode l'impolverato e sudante carosello. Sono tre quarti d'ora che corriamo, e abbiamo il cuore in gola, teniamo la bocca chiusa per non dare al capitano la soddisfazione di vederlo uscire. Letizia cede, non ne può più, si ferma, e il capitano gli fa cenno di mettersi in disparte. E molti altri cenni del genere deve fare via via che gli allievi, con la lingua di fuori, lo guardano e gli dicono con gli occhi: « Signor capitano, non glie la faccio più ». E' passata un'ora, e in quanti saremo rimasti a correre? In dieci, non più: quelli della squadra volante che moriranno ma non si arrenderanno. Il furile sembra di piombo, lo zaino un macigno, il cuore ci martella dentro, cosi come le vene delle tempie e dei polsi; il piazzale non lo vediamo più, niente vediamo, nemmeno il capitano, ma seguitiamo a correre, e se ci si piegano le ginocchia è per un istante, un istante solo: subito risorgiamo, e avanti. Tutto sta a vedere chi cederà per primo. E' il capitano che cede, e ordina l'alt. Finalmente. Il carosello infernale è finito. Eccoci schierati di fronte al capitano, ansanti, appoggiati 'al fucile come a un bastone, ma quel po' di luce che ci rimane negli occhi la cacciamo tutta fuori per guardarlo in faccia. — Questa è la squadra volante? — Si, signor capitano — risponde Lauzi per tutti. — Vi sentireste stanotte — domanda il capitano — di rifare quello che avete fatto la notte passata? Lanzi tarda un po' a rispondere, poi, come può, sorride, e guardando prima noi e poi lui: — Si, signor capitano'— risponde. — Bene, ma non lo fate — dice sorridendo il capitano. — Altrimenti sarei costretto a ridarvi i venti giorni di consegna che vi ho condonati. E s'allontana, contento dei suoi ragazzi. Mosca. L'aviazione italiana potenzia di giorno in giorno sempre più la sua già formidabile attrezzatura. Ecco un cantiere di costruzioni aeronautiche in piena efficienza.

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