Una tesi sospetta di Giorgio Sansa
Una tesi sospetta Una tesi sospetta Parigi, 22 gennaio. E' incredibile quanto astiosa sia in certi circoli parigini — i quali, magari, non avranno una grande importanza, ma come già dicemmo sono lasciati parlare da una censura generalmente severa — la gelosia per la posizione di in fluenza che l'Italia potrebbe assi curarsi grazie alla sua presente attività diplomàtica che mira ad impedire un allargamento delle zone di contaminazione sovietica nell'Europa sud-orientale e ad opporre una barriera all'allargamento del conflitto. Notoriamente gli sforzi italiani coincidono in molti aspetti con quelli che la Francia compirebbe se occupasse una diversa posizione geografica, se non fosse impegnata nella guerra e se la storia recente non avesse pronunciato un giudizio piuttosto sfavorevole sul suo passato politico di equilibri e di alleanze nell'est del Continente. Una cosa è, però, non essere in grado di aiutare ed un'altra ben diversa lasciare che aiutino quelli che possono farlo. La tesi che viene sventolata oggi perciò nell'organo di Pertinax, VOrdre, è che l'Intesa balcanica deve bastare a se stessa. « Se i paesi balcanici si mostrassero risolutamente decisi ad opporsi a qualsiasi ingerenza straniera — dice il giornale — nessuno oserebbe affrontare la forza che essi rappresentano. Tre o quattro milioni decisi a difendere u loro focolare costituiscono un argine insuperabile i>. Queste idee sono giuste e commendevoli come si vede, ma sono tarate subito dalle considerazioni che seguono, le quali rivelano i veri motivi dello scritto. Esso dice, infatti, che l'Intesa balcanica può bastare a se stessa perchè le adesioni della Bulgaria e dell'Ungheria non sono indispensabili. La Bulgaria, al caso, potrebbe essere tenuta a bada dalle truppe turche; l'Ungheria dal canto suo « non ha nulla a che fare con la Balcania * e non combatterebbe mai contro la Germania ». Sarebbe dunque, a detta dello scrittore, fatale per la unione e la coesione delle potenze dell'Intesa balcanica se queste attribuissero una troppa grande importanza al problema di ottenere nuovi aderenti; e <; sarebbe soprattutto molto pericoloso per tale unione se si soffermasse sulle sfumature di questo o quel patrocinio straniero *. Una esclusione dunque anche delle influenze fran cesi? O no? Affinchè non si creda che con le ultime parole siano intesi pure i collegamenti della Balcania con la Francia e con gli alleati di Oc cidente in genere, l'aiticolo termi na dicendo che in caso dì attacco contro i Balcani — e l'attacco non potrebbe essere sferrato se non da tedeschi e russi d'accordo — l'intesa balcanica ordinando le proprie difese « potrebbe bene trovarsi a lato delle potenze che combattono contro gli stessi avversari ». Il che significa in parole povere: non permettendo le circostanze che ci stringiamo la mano per la via più breve, facciamolo per la via più lunga. Ma voi, Balcani, non afferrate altre mani che vi sono tese. E', ripetiamo, una teoria isolata, ma essa testimonia la tolleranza che si ha sempre per l'acredine italofoba di certi gruppetti. Il Temps, ad ogni modo, occupandosi in una corrispondenza da Budapest della questione sudorientale pone in rilievo che l'incontro di venezia fra il conte Ciano ed il conte Csaky ha schiarito un settore dell'orizzonte. <•: Nella capitale magiara, dopo il ritorno del Ministro degli Esteri si è avuta una ventata di ottimismo. Si era ben compreso fin dall'inizio — dice il corrispondente del giornale — che il convegno di Venezia non poteva avere altro risultato che quello di rendere più stretti i legami già intimi esistenti fra l'Italia e l'Ungheria e che si sarebbe riaffermata a Venezia la volontà dei due paesi di scongiurare una estensione del conflitto alla valle del Danubio. Ma nei giorni che seguirono ci si accorse che gli uomini di Stato erano andati più in là ». Secondo il giornale l'Ungheria non rinuncia al revisionismo ma desidera conseguire i suoi obiettivi con metodi pacifici. Lo stesso Temps pubblica stasera una corrispondenza da Roma in cui l'atteggiamento italiano nei confronti dell'incontro di Verschiaz fra Gafencu e Marcovich nreludiante alla conferenza di Belgrado è cosi tratteggiato: « A Roma si spera che la riunione dell'Intesa balcanica porterà l una decisione avente la forza, se on di liquidare, almeno di accoodare 1 problemi danubiani e h "anici più delicati. A Roma si ai ibuisce alla conferenza prossii, a di Belgrado una importanza considerevole >. • . _ Giorgio Sansa PPspdlMi1mmKtz Una tesi sospetta Una tesi sospetta Parigi, 22 gennaio. E' incredibile quanto astiosa sia in certi circoli parigini — i quali, magari, non avranno una grande importanza, ma come già dicemmo sono lasciati parlare da una censura generalmente severa — la gelosia per la posizione di in fluenza che l'Italia potrebbe assi curarsi grazie alla sua presente attività diplomàtica che mira ad impedire un allargamento delle zone di contaminazione sovietica nell'Europa sud-orientale e ad opporre una barriera all'allargamento del conflitto. Notoriamente gli sforzi italiani coincidono in molti aspetti con quelli che la Francia compirebbe se occupasse una diversa posizione geografica, se non fosse impegnata nella guerra e se la storia recente non avesse pronunciato un giudizio piuttosto sfavorevole sul suo passato politico di equilibri e di alleanze nell'est del Continente. Una cosa è, però, non essere in grado di aiutare ed un'altra ben diversa lasciare che aiutino quelli che possono farlo. La tesi che viene sventolata oggi perciò nell'organo di Pertinax, VOrdre, è che l'Intesa balcanica deve bastare a se stessa. « Se i paesi balcanici si mostrassero risolutamente decisi ad opporsi a qualsiasi ingerenza straniera — dice il giornale — nessuno oserebbe affrontare la forza che essi rappresentano. Tre o quattro milioni decisi a difendere u loro focolare costituiscono un argine insuperabile i>. Queste idee sono giuste e commendevoli come si vede, ma sono tarate subito dalle considerazioni che seguono, le quali rivelano i veri motivi dello scritto. Esso dice, infatti, che l'Intesa balcanica può bastare a se stessa perchè le adesioni della Bulgaria e dell'Ungheria non sono indispensabili. La Bulgaria, al caso, potrebbe essere tenuta a bada dalle truppe turche; l'Ungheria dal canto suo « non ha nulla a che fare con la Balcania * e non combatterebbe mai contro la Germania ». Sarebbe dunque, a detta dello scrittore, fatale per la unione e la coesione delle potenze dell'Intesa balcanica se queste attribuissero una troppa grande importanza al problema di ottenere nuovi aderenti; e <; sarebbe soprattutto molto pericoloso per tale unione se si soffermasse sulle sfumature di questo o quel patrocinio straniero *. Una esclusione dunque anche delle influenze fran cesi? O no? Affinchè non si creda che con le ultime parole siano intesi pure i collegamenti della Balcania con la Francia e con gli alleati di Oc cidente in genere, l'aiticolo termi na dicendo che in caso dì attacco contro i Balcani — e l'attacco non potrebbe essere sferrato se non da tedeschi e russi d'accordo — l'intesa balcanica ordinando le proprie difese « potrebbe bene trovarsi a lato delle potenze che combattono contro gli stessi avversari ». Il che significa in parole povere: non permettendo le circostanze che ci stringiamo la mano per la via più breve, facciamolo per la via più lunga. Ma voi, Balcani, non afferrate altre mani che vi sono tese. E', ripetiamo, una teoria isolata, ma essa testimonia la tolleranza che si ha sempre per l'acredine italofoba di certi gruppetti. Il Temps, ad ogni modo, occupandosi in una corrispondenza da Budapest della questione sudorientale pone in rilievo che l'incontro di venezia fra il conte Ciano ed il conte Csaky ha schiarito un settore dell'orizzonte. <•: Nella capitale magiara, dopo il ritorno del Ministro degli Esteri si è avuta una ventata di ottimismo. Si era ben compreso fin dall'inizio — dice il corrispondente del giornale — che il convegno di Venezia non poteva avere altro risultato che quello di rendere più stretti i legami già intimi esistenti fra l'Italia e l'Ungheria e che si sarebbe riaffermata a Venezia la volontà dei due paesi di scongiurare una estensione del conflitto alla valle del Danubio. Ma nei giorni che seguirono ci si accorse che gli uomini di Stato erano andati più in là ». 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