La litografia torinese nella mostra a "La Stampa,,

La litografia torinese nella mostra a "La Stampa,, La litografia torinese nella mostra a "La Stampa,, S'apre oggi nel salone a pianterreno del nostro Giornale ima piccola ma significativa mostra documentaria della produzione litografica torinese del secolo scorso nel periodo della sua più genuina ed intensa attività; e tosto nomi non dimenticati dal pubblico, Michele Doyen e Camillo GranDidier, Casimiro Teja e Francesco Gonin (l'illustratore dei Promessi Sposi), titoli di celebri giornali politici ed umoristici, dal Fischietto al Pasquino, tornano a noi con l'affettuosa cordialità che rende cara una bella e generosa tradizione locale. La mostra è stata voluta, d'accordo con La Stampa, dal Sindacato Provinciale dei Lavoratori della Carta e della Stampa, ad iniziativa di Emilio Fontani e con la collaborazione validissima di Luigi Chiappino e del Berloquin, sagace raccoglitore di litografie ottocentesche. Decine di saggi rievocano amabilmente mezzo secolo circa di vita e di costume torinese, il cinquantennio dei nostri nonni e dei nostri bisnonni. Nell'impossibilità di esaminare stampa per stampa, diamo qui un cenno di carattere generico. Nel bel libro di Luigi Chiappi no, ch'è il miglior testo finora uscito sulla Litografia in Torino durante il Regno Sardo, s'incontrano due passi chiaramente significativi: « I litografi torinesi furono i. primi in Italia ad orientare la litografia verso l'industria ed il commercio»; «Alle stampe permtgAagtbrrAMminutè~senza pretésed7arte7ai7o-j ~ii ji i il*. «1 gli d'occasione, alle litografìe allegoriche rappresentanti fatti e simboli storici, i più ferventi patrioti affidarono dapprima le loro aspirazioni nazionalistiche ». Nel ripensare ai caratteri, agli scopi, al gusto, allo stile di quella gloriosa attività litografica che s'iniziava a Torino sul finir del 1817 ad opera di Felice Festa e che tosto con Michele e Leonardo Doyen, con l'Ajello, Yunck, Perrin, Cretté e Vergnano, Giordana e Salussolia, Verdoni, Marchisio, Grand-Didier ed altri doveva rapidamente conquistare un primato in Italia come capacità tecnica ed organizzazione professionale, noi non possiamo dunque prescindere dal determinato periodo storico in cui questa attività si svolse, e da alcuni predominanti motivi ideali che vigorosamente la informarono. S'aggiunga che la litografia nasceva obbedendo al ritmo di una civiltà (la nuova civiltà industriale allora nel suo pieno incremento) orientata non più verso le élites sociali e Intellettuali, bensì verso le masse; e che a queste masse essa doveva perciò parlare con un linguaggio pronto, esplicito, efficace, insomma, popolare, a scapito talvolta — se l'immediatezza della comprensione lo richiedeva — della raffinatezza e di quegli altri privilegi aristocratici che l'arte tanto più accentua quanto più può permettersi un'espressione riservata a minoranze intelligenti. Basti fare il confronto — a chiarir questo concetto — fra l'incisione ad acquaforte, il cui regno squisito è il Settecento (soprattutto veneziano) e l'incisione su pietra, che trionfa nell'Ottocento prima che le nuove tecniche fotomeccaniche ne invadano il campo, in principio debellandola, poi restituendola — come ai nostri giorni — a compiti di maggior purezza artistica. La lastra di rame dopo poche decine di tirature è stanca (e ben lo sapeva il Meryon, gran signore dell'acquaforte) ; la pietra calcarea è invece in grado di gettar sul mercato migliaia di copie sempre abbastanza fresche. Mentre quindi l'acquaforte può dirsi una forma d'arte eminentemente aristocratica, la litografia risponde magnificamente ai bisogni di un'età per eccellenza democratica. Di ciò conviene tener conto nel valutare con rigore critico, e senza troppo indulgere a suggestioni sentimentali, la litografia torinese nel suo periodo aureo che va dalla fine del regno di Carlo Felice al trasferimento della capitale italiana a Firenze e poi a Roma. E soprattutto tener conto della pronta alleanza della litografia col giornalismo, con le pubblicazioni, periodiche o saltuarie, a carattere popolare, coi manifesti, prospetti, annunzi, omaggi, mezzi varii pubblicitari, cioè con tutti i numerosi strumenti della propaganda e della didattica che per la loro stessa natura spesso contrastano con intendimenti soltanto ed esclusivamente artistici. Vogliam dire che se la pittura — in linea di principio — è tenuta a darci sempre (se le forze dei pittori lo consentono) opera di vera e propria poesia, l'immagine destinata ad esser riprodotta a migliaia di copie può anche accontentarsi di rispondere egregiamente ai suoi fini divulgativi; salvo, naturalmente, che alla sua creazione, per un felice caso, non presieda un grande artista quale un Daumier od un Toulouse-Lautrec. Posta questa necessaria pre messa, si deve notare che la litografia piemontese fra il 1830 e il 1870 ci appare oggi come l'amabile e spesso deliziosa equivalenza della pittura piemontese dì quei decenni: un poco provinciale (tol te alcune eccezioni fra le quali, primissima, Antonio Fontanesi) nella visione d'insieme del clima artistico europeo, ma spontanea, sana, cordialissima, e non di rado arguta espressione di un locale genio figurativo. Non per nulla alla litografia subito aderiscono con entusiasmo parecchi « piccoli maestri » subalpini, dal D'Azeglio al Gonin, dal Biscarra al Camino, dal Gamba al Gastaldi, dal Tesio al Gilardi al Chessa. Col Pedrone, col Masutti, col Redenti, con Casimiro Teja, con stranieri « piemontesizzati » dal Grand-Didier alI'Heinemann, essi creano, diciamo così, il sapore del disegno litografico torinese, ci danno, con pochi tratti di matita, il gusto di un'età, la rappresentazione di un costume, il documento visivo di una fervidissima vita sociale. Gusto e rappresentazione che vanno dalla caricatura politica di Redenti, Heinemann, Teja, Carlo Chessa alla notevole abilità vignettistica e figuristica del Pedrone, dalla ritrattistica di Gonin e di Masutti, dì Tesio e di Gastaldi, all'estro compositivo del Morgari e del Grand-Didier. A distanza di quasi un secolo tutto un mondo provinciale che sì prepara — con l'impulso del fervore patrio — a diventar nazionale, rivive deliziosamente, per merito di questi artisti, ai nostri occhi e ancora vibra nella nostra anima: il mondo, si, di Vittorio Emanuele e di Cavour, ddi Massimo d'Azeglio e del La Mar-mora; ma anclie il mondo delle sca del «: nostro imminente Risor- gimento»; e non soltanto risorgimento dello spirito di nazionalità e d'indipendenza, ma anche di vigore intellettuale e di serietà di cultura. Appunto sotto l'aspetto di generosa e vivacissima documentazione d'un'età e d'un gusto va presa, nel suo insieme, la litografia piemontese. Non la dominano figure artistiche d'eccezionale statura, non la sostanzia un gusto particolarmente scaltrito e raffinato. Ma in compenso ne trapela una serietà morale e un'onestà tecnica, una risolutezza nel lavoro e una perseveranza nel miglioramento, che sono del resto le doti naturali del temperamento piemontese. Di questa mostra è stato curato da Luigi Chiappino un bel catalogo ricco di dati biografici, di notizie e di cenni informativi. Col citato libro del Chiappino stesso sarà una fonte preziosa d'ulteriori studi sulla litografia piemontese. mar. ber. attrici celebri idolatrate dal pubblico torinese, la Marchionni e la Pelzet, la Clerici e la Bussola danzatrici; il mondo dei caroselli al Teatro Regio e della Guardia Nazionale, degli alberghi torinesi e dei negozi elegantissimi della Contrada di Dora Grossa. Risorge, con queste litografie commoventemente ingenue, il tempo degli auguri illustrati offerti dai camerieri agli « Ornatissimi Signori che frequentano il Caffè S. Filippo », dei biglietti di visita delle ditte che segnano il loro indirizzo «: Casa Tanna or Signor Marchese Natta, piano secondo avanti al Gran Caffè, Piazza S. Carlo », degli omaggi, con relativi sonetti, del Tamburino Maggiore della Legione ai « Signori Uffizziali, Bass'Uffizziali e Militi» della famosa Guardia Nazionale che tanta materia di frizzi e di caricature fornisce ai giornali umoristici; risorge il tempo del Fischietto quarantottesco e del Pasquino di Casimiro Teja; il tempo delle prime Promotrici volute dal conte Cesa- re di Benevello; il tempo, insom ma, in cui Torino ed il Piemonte ;realizzano la profezia setteccnte-

Luoghi citati: Benevello, Firenze, Italia, Piemonte, Roma, Torino