Dal vecchio Piemonte alla "Strada del Console,,

Dal vecchio Piemonte alla "Strada del Console,, genti e paesi d'italia Dal vecchio Piemonte alla "Strada del Console,, Del Piemonte, gli italiani — in dgenerale — honro un'idea un po' Lapprossimativa che si rattrappisce ntirile frasi fatte. L'essere cosi rin- sserrato in un aspro angolo d'Ita- lia fra l'Alpe e il gran fiume, gli Jria giovato a conservare vigorosa- Pniente il suo costume ed a raffor-|.raare le sue native virtù, ma non j certo a procacciarsi qu?lla popo- iroduto e godono [f"[tlSpnsfciltnqutzladglavila di cui han tante altre t nazioni » (nel" medio evo le chiamavano così) del nostro dilettosissimo e" vario paese. Grazie « Dio. non siamo più alla definizione di s Beozia d'Italia » da ingratitudine coniugala con l'ignoranza ha la tendenza agli stupidi I eccessi), ma siamo sempre al «brava gente, testarda, operosa, fedele a una dinastia fortunata e! di pochi scrupoli *, ma niente più. Un popolo, insomma, che — se non fesse stato dei Valdesi, i quali poi son scesi giù da Lione — non s'è mai dato neppure il lusso di una rivoluzione. E' vero che c'è di mezzo quel piccolo episodio che P3SS^ Rom,c,di RisorgimentojF^evvn ri.Phi^of me"f° ► una: riV-^rHc.™? „e fa«a fontro un,sgrandissimo impero e il disegno luostinatamente persi guito e condotto a termine dell'unificazione d'Italia — ma anche su questo c'è il prò e il contro, pio e contro cui gli storici hanno dato esca con le loro parzialità polemiche, prescindendo — in definitiva — dal considerare se non fu proprio pei quella sua ferrea virtù, rinsaldata nei secoli dall'obbedienza ai proprii principi, dalla disciplina nell'orbita delle proprie istituzioni, dal severo esercizio delle armi, che il popolo piemontese è stato degno della propria Dinastia e la Dinastia degna del reggimento dell'Italia tutta. jei IMj mi rensi l'IdPer conto nostro, accettiamo| psenz'altro l'equazione Piemonte=! Savoia, e ammettiamo con B5lbo|r— il quale Io scrisse meditatamen-1mte. con pacato e convinto orgoglio g— che * Casa Savoia fornirebbe a1^una storia della cavalleria più nii-:zmerosi, più splendidi e più veri ca- vvalien. che non ne siano di falsi leìn parecchi poemi e romanzi» e vche essa « ebbe quasi sempre la :, entrare con alacrità, e ivvirtù di cosi con fortuna, nelle condizioni de' secoli suoi». Ma poiché ara-1pmettere non e sempre dimostrare |s«;,i^!lll'o^V«»lÌm-^trat0L ecc0|«qui Marziano Bernardi — che flc- dscende le proprie qualità di s.crit-jatore sobrio eel efficace con una fer vorosissima devozione alla sua terra — a dimostrarlo con una serie di volumi di cui l'ultimo è Questo è Piemonte (Ed. S.E.I. Torino. 1941, L. 15). Volendo affrescare per la collezione « Genti e paesi d'Italia » la figura fisica e nhmildr;v,™.„i. j-i ni nmorale del Piemonte, egli ha in-!dfatti iniziato il suo lavoro con una pagina eroica, quella della battaglia di Torino in cui Vittorio Ame¬ laPteleo II, a capo del suo piccolo ma adurissimo esercito, ed Eugenio di nSavoia, generalissimo degli eser-iSciti alleati, nell'agosto del 1706' sottrassero l'Italia alla cupidigia di Francia e di Spagna. Si dice l'Italia, e non appena lo Stato piemontese. Con la salvezza dello Stato piemontese si inizia sin da allora — lo nota assai bene il Bernardi — un'era nuova nella secolare vicenda italiana. « I Duchi di Rapporto di Gaibiati a Napoli Rapporto di Gaibiati a Napoli rSavoia, in seguito alla strepitosa vittoria ottenuta fra il Po, la^>oraiSe la Stura, in breve volger d'anni diventano Re di Sicilia prima e|dpoi di Sardegna, estendono i loro domini fino al Ticino ed tiacque delle Alpi italo fanno del Piemonte il più forte Stato della Penisola, imprimono alla loro politica quel ritmo decisamente italiano che, dopo la parentesi della Rivoluzione francese, dell'Impero napoleonico, della Re- a lo mar ' s-f arnesi !diJrS acldfncslaurazione, preparerà l'unità na- ' zionale. Ma il gesto di Carlo Al- nberto che osa snudare la spada facontroilco^^^^ rebbe stato possibile se Torino, ^centoquarantadue anni prima, fos-|'" "=H,,tQ. se Eugenio di Sa^•oia, : se caduta generalissimo degli eserciti alleati, I compiendo prodigi di abilità strategica, non fosse riuscito in quel fatale agosto a portare l'invocato i aiuto al grande cugino >. E su questa linea provvidenziale ; della storia — in questo stesso' yimomento decisivo—"s'incontranulil'eroe popolano — Pietro Micca — fe il sacerdote santo — il Beato idValfrè. — Eroismo di popolo eìasantità di sacerdozio che nel beljCvolume di Marziano Bernardi sono i fVividamente lumeggiati, a chiarire'Pdue aspetti costanti del Piemonte: jraspetti che non si dissociano da i ouna fresca e profonda vena di poe-! lsia che affiora attraverso i secoli;enelle più varie forme d'arte ed ha!Bforse la sua espressione più deli- icata nell'amore per la montagnaltesprcsso in suggestive leggende (canonime di tempi remoti o in ope re letterarie riflesse come quelle in cui Guido Rey celebrò gli ardimenti e le conquiste del moderno alpinismo. * * Nella stessa collezione « Genti e paesi d'Italia *, Gino Tibalducci ci accompagna per una via consolare (Strada del console, Ed. S.E.I., Torino, 1941, L. 12) quella che i legionari di Marco Emilio Lepido, centottantasctte anni prima di Cristo, costruirono seguendo ;la corsa del crinale appenninico ai margini della pianura e giungendo da Rimini a Piacenza. « Di carattere austero, rigido, rettilineo, la strada non ha abbandoni o languori: non si dondola come i percorsi che costeggiano, servili, i golfi od i precipizi; non s'inerpi ca. spavalda, su la cima dei mon t" ca. spavalda, su la cima dei mon-i ti, per poi precipitare a valle umi- liata e diffidata; non s'allarga, !sciupona, invadendo il lungomare,! per poi schiacciarsi, incostante, i in una galleria; non s'adorna di;parapetti marmorei, come certe (vie panoramiche, ma non tradisce j neppurp coloro che le si sono af-!fidnti. rompendo in frane improv-|v-se. Nata dalla spada, essa è di-iritta e uniforme come il filo del-; l'arma_genitrice ». Così, seguendo,la via Emilia, il Tibalducci ci vien| descrivendo — colorito ed animoso \ — la solitudine di Ferrara, il pit-' toresco Appennino, la cordialità di Bologna e Reggio e Modena e Parma e Piacenza, fermandosi peri via a Salsomaggiore a Fidenza aMirandola ed anche nelle misle-jriose valli di Comacchio o nella \ pace della Badia di Pomposa. Af- fiorano i ricordi gloriosi del pes-Msato. brillano i colori del tempolthe passa: accenna la figura gri-|fagna del Poeta fiorentino, echeg- ira l'invettiva di quello venuto di Maremma: fra terra e cielo passa la musica del buss"tano e ancora;s'ode lo scalpitio del cavallo che portava Anita e l'Eroe: l'ottava d'Ariosto si disposa con quella del Boiardo: e su tutto la gran pace dei campi verdi e fecondi Tibalducci ha sen ito tutto ciò e c? l'ha s-puto rendere in un libro estroso e piacevi e che ci rende famigliare uno dei lembi più belli e più vari della nostra terra. 1. a m.