NOTTURNO VENEZIANO

NOTTURNO VENEZIANO NOTTURNO VENEZIANO L'oscuramento ha trasfigurato, nelle veneziane recite all'aperto, lo spettacolo delle gerarchie. Gli anni passati, a Sant'Elena come a San Trovaso, nello spiazzo di Murano come nel campo di San Luca, gli eletti di quaggiù rifulgevano alle recito in piena luce, perfettamente ordinati e disposti come gli Angeli, gli Arcangeli, i Troni e lo Dominazioni negli stalli di lassù. La parata era infallibile, un compito gentiluomo come il Conte Zorzi sor vegliava il protocollo : non un in trusione, non un'incrinatura. La rosa celeste era formata concentricamente; foglia" a foglia, dalle Autorità, dalle Eccellenze, dai Principi: e al centro, stame del fiore, il nuovo Doge della Serenissima, Colui a. cui si debbono tutte le iniziative, in verità onnipotenti, della Biennale. Non era che uno spettacolo all'aperto: ma pareva la prova generale dell' eternità. L abbuiamento, quest'anno, ci ha ricondotti dalla visiono del paradiso a quella del giudizio universale. Dall'Empireo siamo tornati a Gioeafat. La confusione fa sì che nella mezza tenebra si possa dar di gomito, impunemente, al Ministro o all'Accademico: e pazienza ancora per un'Eccellenza come Bonfcein pelli, che, per quanto sempre in prima fila, al titolo non ci tiene, ila certe altre che so io, che sapete voi tutti! Si farà dunque tanto, fatica e merito, per raggiungere un grado ed occupare un posto, perchè in una certa notte senza luna quel grado diventi invisibile, questo posto venga usurpato e conteso? E' quanto è accaduto, «appunto, alla prima rappresentazione del l'urta fanatico. Due letterati illustri videro occupato il proprio seggio da una coppia di sposi : e, più ligi al diritto che alla galanteria, lo pretesero restituito. Ne seguì un breve tafferuglio : in quanto il giovine coniuge intendeva riservate le molli piume, presaghe del nido, alla sposina. Ma gli illustrissimi non cedettero, e i due colombi furono risospinti nell'ombra, ealrezzo delle amiche piante, dove non è escluso abbiano finito per dimenticare l'intera recita per un loro duetto senza parole. Qualcuno, intorno, non commentò benignamente l'accaduto. A che serve il possesso di un posto in vista, quando nessuno più riesca ad accorgersene? Dalla scena, intanto, la dolce canzonatura goldoniana non risparmiava gli accademici dei tempi suoi, aumentando gli umori sediziosi e la confusione impertinente. Riuscimmo allo stellato. La rappresentazione era finita, e un'altra incominciava: quella d'un quadro del Longhi illuminato, anziché dalle lanterne esagonali, dalle lampadine. Ma queste facevano altrettanto lume. E altrettanto intermittente, delle lucciole dei giardini, pur esse mescolate alle stelle cadenti, nella calda notte d'amore, allo stesso modo dei mortali e degli immortali, là su negli spalti da cui avevamo sentito poetare Lelio, Florindo e la Signora BeatriceIl monocolo di Ugo Ojetti, a cui l'abito candidissimo dava risai to — ed era l'unico — anche nel le tenebre, non cercava più al l'ingiro cose viste, ma intraviste; mentre dal fitto dell'ombra sorgevano le note ispirate a qual che viatore nostalgico dall'aliti co aspetto delle cose, della mondina in gonddieta. Era tempopoiché durante la recita non avevamo ascoltato, a commento delle astuzie di Corallina e dei lazzdi Brighella, che una musica attualissima, la quale mi aveva fatto pensare a un Goldoni in diruier-jacket, anziché in costume fiorato, e pizzicante non più tabacco, ma gomma americanaCogli occhi nictalopi dei gattiche anche gli uomini, dopo un anno d'oscuramento, hanno finito per acquistare, riuscivamo a distinguere torno a torno anchdei personaggi che, da anni, e cioè da quando si iniziarono a [Venezia queste feste all'apertos'erano tenuti crucciosamente idisparte: certi, patrizi d'austernome e di vecchio stampo, giustamente rifuggenti da quell'atra aristocrazia, alquanto dubbia e raccogliticcia, che ne aveva preso il posto nelle esibizionmondane, accanto alle Eminenze ed Eccellenze, inquinando lbella rosa paradisiaca di qualchintrusione ebraica, di qualchapparizione peccaminosa, di quache scoria volgare. Era il- tempdell'anglofilia e dell'americanoflia ad ogni costo, il tempo dea Imi Imi», dei salutini con ldita al vento e degli aperitivi dsette colori. Due annosissime dame presiedevano il convito, cheper fastoso che fosse, un Veronese avrebbe sdegnato di dipin gere: un convito in cui troppmori e troppi nani, a-azichè servire la tavola, sedevano fra gospiti. Delle due dame, d'anticbellezza, l'una era#famosa pecapelli bianchi; l'altra lo è tutorà per l'animo candidissimoE' bau colei che lamentava, atempo della guerra etiopica, lnequizia del aNegrus», capacd'usar» o palle bum-bum « ; e chad un ministro di Germania, saputo d'una recita di Catilina Dusseldorf, domandava chi nsarebbe stata la protagonista Abbuiate !e notti, sono invec tornati a farsi vivi i patrizi dui gran ceppo, i « nobili di marcii, gli intransigenti e un po' bizzarri abitatori di quei palazzi, in cui per anni ed anni dovettero certo rinchiudersi, a lume di candela, per ascoltare lo sciabordìo del Canal Grande, più caro! ai loro orecchi d'ogni altra rappresentazione teatrale o monda- na; o l'apparizione della mezza Uluna sulla Sa ute, assai più mi- portante di Marlene Dietrich inpantaloni, della Principessa Mitlvani coi brillanti negli incisivi, o di Marion Davies che arriva in gondola dalla California — la biondina in gomititi tu ! — fra duecento mandolinisti stipendiati dal signor Hearst. Ma poiché le recite all'aperto sono davvero molto belle, quali del resto erano state som prò, o quasi sempre, e a renderle inappuntabili non mancava elio un poco di discrezione, un poco di osservanza da|parte degli ascoltatori, un poco di signorilità nella città della Si-gnorìa, ecco elio i nobili d'alto lignaggio e di gusto fino vengono adesso ari assistervi pure loro :garantiti, appunto, da quell'oscuramento che obbligando ad abbassare le voci, a sorvegliare i passi, a misurare le vanità, è una perfettissima lezione d'aristocrazia, resa per giunta obbli- roi/ri/n, al tabarro ed al tricorno; poiché luna e laguna sono soltanto una stupida rima, senza non hi Serenissima che a luci smorzate ; senza chias hi che unii siano c/iìiisseli e spassi chi' inni siano spassili, senza dive in calzoni e senza americani tra ballanti, senza sbornie, senza clamori, senza scandali, senza ebrei, senza concubine, senza « Imi Imi ». Ora questa penombra, a Venezia, non è lugubre ma amena; divertente è questo buio, in cui si può confondere la sigaretta .'atto (ce ne sono an- jaccesa dal dignitario con le pugalona. e continuata. D'aristo- crazia, e eli veneziauità : poiché le lampadine, emide delle lue- ciole, fanno ancora pensare al i veli dell'ombra che ne faccianoun'autentica poesia; poiché la può capire! pillo d'un cora tanti!); o scambiare unguiisèr vestito di bianco, al-l'approdo del Danieli, con l'Ec-cel'enza che vi sbarca, in abitod'eguale chiarezza ; o voltarsi al- vóce come usano fare tutte U,.^ ment,e assisteva al l'ne,„/„„„,„,„, ha chiesto se la Imtrico della rc satirico, questa volta, cede al l'entusiastico. Si ricorda la re cita, e ogni critica è disarmata Gli spettatori acclamano. Le Ec cellcnzo acconsentono. I tat rie a gentildonna frusciante nelle sue sete, come alla pulzelletta che balte la birba — espressione veneziana — sul l'onte della Cor- Itcsia. Si direbbe che persino lo; scirocco, quest'anno, sia meno aggressivo con l'oscurità. I pas- si non faticano, le vesti non ap- piccicano. Si va in giro a circo- lare per le calli, cessato lo spct-| Iacolo, e i gondolieri ne hanno sempre una da raccontare, non|meno degli amici. Da uno di questi ho saputo, che quella don- na d'antica bellezza, alzando la voce come usano fare tutte le! l| icommedia avesse qualche cosa in comune con la Beatrice di un'altra Commedia, reputata divina. E da uno di quelli mi fu detto come, al posto della lampada non più riaccesa alla memoria del Fornaretto, capiti sempre, pietosa, a brillare qual- che lucciola. Benignità, o mali- guità, dello spirito lagunare \ \Gr ecco la notte seguente, ter- minati i Masnadieri di Schiller, l'andirivieni si ripete. Ma l'inno Ijjspot- 1 sospirano. Erà pur bello, Bonzo Bicci, là sulla vetta della mina muscosa, tra la selva e il raggio <li luna, mentre salutava il paterno ostel-to riveduto dopo tant'anm di masnada ! Occhi alle stelle, mauoal pugnale, piumetto al vento com'era bello ! E soddisfatte, cer-lamento, le uditrici, che noll'orn-bra non si tradissero nò il ros- lei sore della gota uè l'affanno voltavano a re anelante quella stupenda voce petto, mentre, ascoltavano a quo-\ italiana animare dei pensieri d puro genio germanico ! Quante di loro, quella notte, dovettero sostituirsi ambiziosamente alla pal¬ lida Amelia: liete anche di mo ri re trafitte, per mano di lui, a pari di lei ! Ululò pure una nottola, nello stesso momento, sull'alta luna: ed ecco al notturno veneziano sovrapporsi, in una cornice eli querulo acque e di alberi stormenti, un notturno tedesco: Io stampo ottocentesco d'una copertina schumanniana, cupamente incorniciata da due abeti eSchwind, fatto apposta perche vi so>ta?se uno di quei ragiuitis Jd'AHemagiia, mezzo banditi mezizo poeti, che da Ta'nnliiiuser a JGarlo Moor hanno perduto, alvigilata da una strige; un pae-saggio romantico alla Moritz von si, e a più riprese. Ma non era vero. A paro¬ meno nell'immaginazione, milioni di fanciulle bionde, senza conare le brune, già prima di prendere il sembiante fiorentino di Renzo Ricci! TI più grande applauso fu a questo punto: e fu aluto cavalleresco al poeta, 'unico poeta di Germania che avesse mai detto di non amare 'Italia. Lo disse e, egli sdegnava i welckes. Nei atti, scriveva / Firsrhi ripenando la maestà di Genova, e la Fidanzata di Messina sospirando e bellezze della Sicilia. Wek don Dichtcr will verstehen Musa in Dichtera Limile gehen 'aveva ammonito Goethe, il Diocuro, sorridendo alle sue ostenate sgarberie verso la « Diehten l.nniltti. Non era vero che Schiler, nel fondo dell'anima sua, ci avversasse. Meli che meno dovcva avversare Venezia, eletta a ede trionfale di quel suo ultimo romanzo incompiuto, // Vkionario, narrante d'un principe pcreguitato da gesuitici intrighi: dove i personaggi sono diffamati, NLEassurto all'apoteosi. Non poteva clie amare questa città, d'altronde, colui che aveva tradotto la Turando! — estremo gaudio del povero Gozzi, quando lo seppe in punto di morte! — e oonimcn- tato le Memorie, di Goldoni. VcLczia, a sua volta, era forse stafa la prima a riconoscere in Itaia j] gpnio schilleriano, pur attraverso le inenarrabili traslìgurBZjonj dell'opera sua, imperversanti a quel tempo oltre tutti è vero," ma il luogo dell'azione èi 'confim teutonici,"quando / Ma„.„,„/;,,,.,■ aj teatrino di Sant'Angelo, nel , m'»' venivano rappresenta i, l'ottobre del 1708 WtKrto Moì(ì„r ea /io i» Friinronia, e più quello di Mendico di Erhestein, ppr opera d'un Antonio Martin Cuecetti, con aggiunta d'una «conclusione virtuosau e d'alcuni spari di mortaretti! Vero che anche il contemporaneo Kotzebue, così retore, cosi falso, così phiinp, era piaciuto ai veneziani: ma Schiller molto di più; e furono essi i primi, anzi per lungo tempo i soli, a indovinarne la grandezza oggi sì pienamente riconosciuta dagli spettatori della Biennale, ila ci volevano delle l'n*mia*ini\tardi con j notti d'oscuramento, perchè si il lulllinagse qupsta grandezza. Fi no ad un certo punto, infatti, può accadere che grandi e pie col titolo discoli, mortali ed immortali vadano confusi nel buio. Marco Ramperti