Le immagini nel laghetto

Le immagini nel laghetto IL POSTO SICURO Le immagini nel laghetto O<0> 9 E un anno che siamo al ministero, un anno ch'è passato come un fiume che si sia portate via tante speranze e non ne rechi di nuove a chi è sconsolatamente fermo sulla riva. Palamà non apre più il cassetto per rileggere e perfezionare la sua tragedia in cinque atti: s'è rassegnato, ha rinunciato. Agosta sembra già un vecchio impiegato: la mattina, arrivando, si toglie la giacca, la appende con cura per evitarne le pieghe, e indossa una giacchetta nera da lavoro. Vi ricordate di quando si chiamava Toro Seduto ? Ora si chiama semplicemente Agosta, anzi, quel ch'è peggio, gli uscieri lo chiamano dottor Agosta, ed egli non ride, non si ribella, accetta seriamente il titolo che gli è dovuto. Il piccolo Cahiouse ha ceduto il posto al ragionier Vitti, il quale si è messo le mezze maniche. « Per non rovinare i gomiti della giacca » dice. Tra poco, per non rovinare i calzoni, si siederà su una ciambella di gomma, proprio come il vecchio cavalier Santini, di cui tanto rideva sino a poco tempo fa. Fracassi non scrive più poesie: l'ultima, rimasta a mezzo, giace mischiata alle pratiche ministeriali, c ne ha preso il color giallo e l'odor di muffa. E' una poesia che parla delle acque di un laghetto nelle quali alberi case fiori e persone si rispecchiano tremolando, rovesciate immagini che vivono, sin che dura la luce del gi/jrno, una loro misteriosa vita: case dal tetto in basso e le fondamenta in alto, uomini stranamente allungati e contorti che procedono scivolando con la testa sul fondo, e forse si scambiano discorsi che cominciano con l'ultima parola e finiscono con la prima; uomini che forse nascono vecchi e muoiono giovani, cui il cuore si riempie di speranze alla vigilia della morte, saggi e severi all'inizio della vita, spensierati alla' fine, chi sa: tutto è rovesciato nelle acque del laghetto. Ma la poesia è rimasta a mezzo. Chi di noi guarda più alla finestra del cortile ? Sia inverno, primavera, autunno, che importa? Dobbiamo compilare schede e farne pacchi di cinquecento ciascuno. Fra poco ci sarà il concorso per entrare, come si dice, in pianta. Fin che eravamo avventizi, avevamo "speranza di uscire, di andarcene. E Toro Seduto diceva: « Io non prenderò mai parte al concorso. Sento che se entro in pianta non esco più di qui ». « E credete ch'io vi prenda parte ? » diceva il piccolo Cahiouse. Anche Buffalo Bill, anche Fracassi, anche Pa'amà si ribellavano all'idea del concorso. «E poi occorrono tanti documenti: certificato di nascita, di cittadinanza, di buona condotta... Ce n'è un elenco lunghissimo che nemmeno mi son dato la pena di leggere tutto ». « Chi lo ha ? ». « Il cavalier Santini nella sua stanza. Lo tiene a disposizione degli avventizi ». « Lo terrà in eterno ». Era il tempo in cui ci chiamavamo ancora con nomi indiani e fracassi scriveva la poesia del laghetto. Il tempo in cui aspettavamo con impazienza la fioritura dell'albero del cortile, e la sera avevamo apputamento io con la zoppina, Agosta con la giardìnieretta, e Vitti con la modista. Ridevamo del rispetto che le tre ragazze avevano per noi •:< funzionari ». Non ci sentivamo « im- piegati »: andavamo, la sera, a coppie, per il lungotevere, e senza tristezza, senza rimpianto, vedevamo andar via, con il fiume, le speranze di quei giorni: ne verranno altre, tante da non saper che farcene. Ancora per poco tempo saremo impiegati. E tanti erano i sogni che avevamo in cuore, ed eravamo così leggeri che dovevamo metterci dei piombi nelle tasche per non volar via. Poi passò il tempo, ci dimenticammo dei nostri nomi indiani, divenimmo seri, puntuali, coscienziosi nel lavoro, e una sera le tre ragazze ci aspettarono invano: proprio la sera in cui Fracassi lasciò a mezzo la poesia del laghetto, ch'era un po' la poesia di tutti noi. « Sì, non siamo dei funzionari veri e propri, ma bisogna badare al decoro, alla dignità. Che cosa direbbe il commendator Garlandi se ci vedesse in giro con tre raggazzette del popolo ? ». E il fiume scorreva sempre, ma erano acque men limpide. Invece di un sogno portarono ad Agosta la giacchetta da lavoro, e Vitti, invece di una speranza, vi raccolse due galleggianti mezze maniche, e se le mise. « Il cavalier Santini terrà in eterno l'elenco dei documenti ». Il primo ad entrare nella stanza del cavalier Santini per copiare l'elenco fu Palamà. Lo sapemmo più tardi. Palamà entrò con l'aria di chi non vuol chiedere elenchi. Ma il cavalier Santini, che di giovani ne aveva visti passar tanti in quella stanza, glielo porse subito, con penna e calamaio. Palamà ricopiò, e tornò fra noi con aria innocente. Il giorno dopo, non visto, l'ex Toro Seduto andò a ricopiare l'elenco. Separatamente, a insaputa l'uno dell'altro, tutti andammo a ricopiare l'elenco. Nessuno parlava più del concorso: se uno di noi, per isbaglio, vi accennava, gli altri fingevano di non aver udito, e passavano ad altri discorsi. Un giorno venne l'usciere: « Gli avventizi che hanno inoltrato le pratiche per il concorso, sono desiderati dal cavalier Girlanda ». Rimanemmo tutti seduti. Chi avrà i coraggio di alzarsi per primo ? Palamà. Si alzò e si diresse verso la porta. Ci parve più piccolo, più magro, gli occhiali gli coprivano tutto il viso. Credeva d'esser l'unico ad aver inoltrato le pratiche, ma quando vide anche il dottor Agosta alzarsi, anche il ragionier Vitti, anche Fracassi, anche me, scoppiò a ridere, povero Palamà, e si fregò le mani con gioia cattiva, Anche noi, poveri noi, ridemmo, consolati dal mal comune, e il fiume si portò via la parte migliore della nostra giovinezza. Il commendatoi Garlandi ci accolse con inusitati segni di stima e di rispetto: eravamo ancora avventizi, sì, ma prossimi a divenire funzionari. Si congratulò con noi per il nostro saggio proposito; disse che con gioia si disponeva ad acco¬ glierci nel numero dei suoi diretti collaboratori (abilmente egli evitò la parola dipendenti); che si riprometteva grandi cose dai nostri vivi ingegni, dalle nostre fresche energie; ammise che d'ordinario a un giovane sorride poco la prospettiva di una carriera lenta e lunga, chiusa fra quattro mura, priva di imprevisti e di novità. « Ma negli imprevisti » disse « se può esservi il bene, è, la maggior parte delle volte annidato il male. Guardatevi intorno, osservate i liberi professionisti, gli artisti, i commercianti, tutti coloro, in una parola, che sono avviati nelle cosiddette carriere libere, e vedrete alti e bassi, successi e insuccessi, ricchezze, talvolta, ma più spesso miserie e fallimenti, e le ricchezze sempre conquistate difficilmente, e da difendersi giorno per giorno con le unghie e coi denti dagli assalti e dalle insidie degli invidiosi e dei concorrenti. Avete bene agito voi, giovani saggi, a scegliere la strada migliore, quella del posto sicuro, del guadagno modesto ma certo, del lavoro oscuro ma non per questo meno utile alla vita della nazione, della vecchiaia assicurata ». Aggiunse che di 11 a una settimana avrebbero avuto inizio gli esami di concorso, e dopo essersi di nuovo congratulato per la felice e saggia decisione, e averci augurato una ancor più felice riuscita, ci congedò, e si rimise ■■.<.'. lavoro, il quale consisteva nel tentativo di fare, di certi fiori sparsi sul tavolo, un mazzetto grazioso. Per darlo a chi? Usciti sul corridoio, ci accorgemmo di qualche cosa di nuovo nell'aria. Il cavalier Santini ci passò dinanzi tutto eccitato, fregandoci le mani, e ci parve che lasciasse, nell'andare, una intensa scia di profumo. Possibile ? E, fatto più strano ancora, il cavalier Grifoni non dormiva. Parlava animatamente col dottor Velani che indossava il vestito della domenica e aveva all'occhiello un fiore colossale. Tutti e due, fermi in mezzo al corridoio guardavano verso una stanza da cui usciva, allegro come una musica, il ticchettio di una macchina per scrivere. li dottor Agosta, benché la parte migliore della sua giovinezza se ne fosse andata col fiume, spiccò un balzo: « Una dattilografa! ». Sì, c'era una dattilografa, e anche bella, anche giovane. Miracolo! Il corridoio, sino a ieri buio, basso, odorante di muffa, era illuminato, altissimo, e l'odore di muffa scomparso per dar luogo a un profumo che non si sapeva che fosse, misto di fiori, di cipria, di prati, di cielo. Non un funzionario che stesse nella sua stanza: tutti passeggiavano in su e in giù per il corridoio trasformato nel corso di una città di provincia: azzimati, pettinati, con scarpe lucide, con scarpe lucide e giacche nuove, quei seri e gravi funzionari avevano di colpo perso la loro serietà, e dinanzi alla porta della stanza della dattilografa ! | rallentavano incredibilmente il passo e guardavano dentro sorridendo e sospirando. Vedendo noi avventizi si rabbuiarono, temendo ^una concorrenza pericolosa. ÌMa non eravamo da temere. Tra una settimana cominciavano gli esami, do- vevamo studiare. ! Bugia: non era lo studio che ci preoccupava: era che non avevamo il coraggio di guardarci in faccia, che avevamo detto volontariamente addio | ai nostri sogni, che avevamo spontaneamente rinunciato a tutte le speranze che il fiume doveva ancora portarci, e l'uno all'altro avevamo mentito, Vitti ad Agosta, Agosta a Mosca, Mosca a Vitti. Oh, come diversi da un tempo! « Il piccolo Cahiouse » soleva dire Buffalo Bill « è la bocca della verità. Nulla egli nasconde al suo colonnello. Il suo cuore è come un'ampolla trasparente nella quale si vedono tutti i pensieri». I vecchi funzionari, innamorati della dattilografa, erano più giovani di noi. Ci avviammo muti verso la nostra stanza, nel - momento in cui il commendato!- Garlandi, con il mazzo di fiori nelle mani, usciva dalla sua. INel meraviglioso corridoio illuminato si udì- rono gridi, mormorii, sussurri. Come buio, invece, come triste il corridoio di noi avventi?!' noi avventizi. . « Ma in fondo» disse Agosta «non e cosi terribile. Non avete visto i funzionari? Hanno quarantanni di servizio e ancora fanno mazzi di fiori » ■-. Qualche mese fa » disse Fracassi « ci saremmo accorti del ridicolo di quei fiori, di quel passeggio. Oggi invidiamo il vecchio commendator Gai' landi per il fugace ritorno di giovinezza che lo anima. Ma domani, vedrete, il cavalier Grifoni tornerà a dormire, e il cavalier Santini si vergo- gnerà d'essersi unti di brillantina i pochi bianchi capelli. Anche i vecchi, inariditi alberi mettono ogni tanto una foglia nuova, ma muore subito. Guardiamo le nostre, piuttosto, ch'erano tante e nuove e son cadute tutte di colpo. Agosta fece scherzosamente l'atto di raccoglierne qualcuna, ma nessuno rise. Era quasi sera. Accendemmo la luce e cavammo dai cassetti i libri da studiare: libri segretamente acquistati e riposti, ma ormai non avevamo più nulla da nasconderci. Chiudemmo la finestra perchè il vento faceva volare le carte e sollevava le pagine del libro: era l'ultimo tentativo della nostra giovinezza portata via dal fiume. Ma bastò chiudere la finestra, Dalle scompigliate carte venne fuori, sul ta¬ volo di Fracassi, le poesia lasciata a mezzo. Il foglio s'eia ingiallito, e conteneva parole che sembravano scritte cent'anni fa. Come s'era intorbidata l'rcqua limpida del laghetto! E non alberi case fiori vi si rispecchiavano, ma pratiche d'ufficio: rovesciate immagini di pratiche d'ufficio, strane, pazzesche, che cominciavano con l'ultima e finivano con la prima parola, ma il si gnificato era, press'a poco, sempre lo stesso; e, insieme a quelle delle pratiche, vi si vedevano, rovesciate, le immagini dei vecchi funzionari, azzimati e pettinati, che scivolavano con la testa sul soffitto del corridoio illuminato, e rallentavano l'andare dinanzi alla porta della dattilografa: allora i piedi, ch'erano in aria, si movevano lentissimamente, Mosca

Luoghi citati: Agosta, Mosca