Il cane del prof. Graj

Il cane del prof. Graj Il cane del prof. Graj Nessuno è mai lanlo signore fli se stesso da poter disciplinare anche lo fantasie, le emozioni 0 lo speranze. E ognun sa con quanta accorata passione si può rimpiangere domani ciò che. ieri si è sdegnalo, ciò che ci si illudo oggi -tH poter dimenticare. Neppure il professor Graj ebbe diversa soi'l e. Viveva Marc» Graj1, a quarantacinque anni, amando ormai della propira persona soltanto la barba che portava lunga e" folta, una barba che sembrava prolungare sino al petto e quindi al cuore, l'austerità del volto, e commentare con sussiego così la luce ardila degli occhi come il Iaglio autorevole delle labbra.i Libera e fluente ora una barba quadrata.' ma poiché il professor Oraj la teneva di solito chiusa nel pugno, aveva più spesso la forma eli un gran pizzo. Era uomo di non molte parole, il professor Graj, e abituato a vivere solo, al piano terreno di un palazzotto di campagna. Erano quattro stanze ampie ed austere che s'affacciavano su un giardino, ma nelle quali l'umido, col silo grigiore, rompeva e arabescava le pareti dove i libri allineati e numerosi gli lasciavano spazio per mostrarsi. Di mobili non c'erano che gli indispensabili. Un tavolo, una credenza e due seggiole in stanza da pranzo: un divano, un ta.volo e due poltrone nello studio; un letto, una seggiola c un armadio in camera da letto. Dire che ci fosse in cucina non importa. Il signor Marco Graj non vi entrava mai. A lui bastava che la portinaia, dalla sua cucina o dalla propria, lo servisse quando la chiamava. Ciabattando come di consueto, ma senza esser chiamata, entrò un giorno, e di sorpresa, la signora Uosa nello studio del professore. E aveva negli occhi una luce, mi fuoco, un bagliore, che attrassero lo sguardo anche del professor Graj che non era. solito neppure guardarla, e gliene dissero l'indignazione. Neppure gli fu facile indurla a parlare. Rispondeva con voce rauca, e le parole sembravano colpi di tamburo, poche brevi e sdegnose com'erano, buttate fuori dai denti col fiato corto. Glie fosse successo riuscì finalmente a saperlo. Alla signora Rosa non garbavano certe visite, e,?e lei s'era j compromessa con tutto il paese decantando l'austerità la morigeratezza e la dignità del signor professore, e se a certe donne avrebbe sempre risposto, quando fossero venute a cercarlo, che il professore non n'ora, preferiva però che non tornassero addirittura, bionde ossigenate, con quegli occhi malandrini e quel profumo addosso da far alzare il naso in aria, anche un'ora dopo che erano passate, persino ai ragazzi più piccoli. Due volte era venuti', quella bella signora, in dieci giorni. E passi per la prima, che se ne era andata subito, ma la seconda s'era fermata per scrivere un biglietto proprio"là sulla strada, alzando il ginocchio che le facesse dà sostegno e mostrando l'altro ben più in su, sorto la campana della gonna larga e corta. II biglietto' Da due giorni se lo teneva in seno, perchè l'odore non le ammorbasse 1 cassetti. Un' po' sgualcito si decise finalmente a posarlo "sul tavolo, e 10 stirava coi palmi, vancora incerta se consegnarlo, brontolando sempre. Quando il professor Graj si decise a strapparglielo e potò leggerlo, non vi trovò scritto che un nome: « Elena ». e un indirizzo, in città. Ma fu come se ad un tratto gli avessero ridato ogni entusiasmo e la giovinezza. Ora non badava più ad aver pazienza c a dirsi infastidito, 11 professore, e scrollava la signora Rosa, e le ingiungeva di parlare, di riferirgli, di aiutarlo a fare la valigia, e finalmente di lasciarlo solo, di chiamare una carrozza, perchè sarebbe partito subito. Da dicci anni ormai viveva in quel paesello lontano otto chilometri dalla ferrovia. Vi si era rifugiato per perseverare negli studi, aveva detto, e infatti aveva studiato, lavorato, pubblicato libri. Anche i giornali avevano parlato di lui. Tuttavia nessuno l'aveva mai visto contento. Quel giorno invece, salendo in vettura, sorrise persino ai ragazzi, e batte cordialmente la mano sulla spalla del vetturale, e al capostazione confessò di essere proprio felice. Partiva, andava in città, perchè aveva avuta una bella notizia. E chi sa se sarebbe tornato. Chi mai avrebbe potuto dire di quell'uomo sicuro di sè, che aveva passato dieci anni tra libri e documenti, che anche i suoi occhi potessero interessarsi a donne vive, oltre che a quelle magari terrificanti ma innocue delia storia? Ma Elena, quell'Elena del biglietto profumato, era sla'.a la sua prima allieva, quella che gli era stata d'aiuto fedele nei primi suoi studi importanti e nelle prime ricerche. Era quella che un giorno -era partita e aveva varcato l'oceano dopo avergli scritto una lettera nella quale, gli confessava che si sarebbe sposata perchè s'era convinta che lui non le voleva bene. La conservava ancora quella lettera. La teneva chiusa, nelle pagine del suo primo libro qcccsovd rquello che aveva voluto finire! mprima di confessarle il suo'amo- lre. Ora Elena era tornala. Kra' c. ,. . . . , , certo che gh era rimasta fedele. rArrivò di umor gaio anche in icittà, e la trovò in casa. Gli par-I tve rivedendola che per lei ,1;,,. ! nve, meaenaoia, cric poi 101 aie- fci anni non fossero passali. Oli Usorrise con quella stessa bocca di'm1111 tempo, quella bocca che celti1aveva nrestalo a Laura 0 a Re-i-l 1 J ,,/„,, -, K(l j ftnee. a tutte le donne desideratol so desiderabili che aveva fatto ri-1 mvivere nei suoi libri. Rievocando dil temno lontano - crii rimnrnverò dti tempo 1011 ano, gli rimpioveio ndi essere stato tanto timido. Ma vora rideva, e si diceva felice di itrivederlo Quando era rimasta. vedovn e aveva deciso di fornaio m\ edova e aveva deciso eli tornale cni patria, proprio a lui, al suo|rprofessore, aveva pensato subito, ! come, all'amico più sincero. Se-1 duta accanto a lui sul divano, e accosciata, si accarezzava len¬ tamente e con dolce noncuranza una caviglia, 0 sembrava compiacersi ch'egli là guardassi^ con quegli occhi ancora innamorati. Parlava, sottovoce, diceva di essere sola, con un sorriso malizioso si protestava non più giovane, ma asseriva di non aver ri o alle gioie che poi eva | pancora prometterlo la vita la era la donna ohe egli amato; l'aveva rincorsa pagina, negli anni remo! storia; lei, 0 lei sola, avrebbe| saputo animarlo alle fatiche, con lei e soltanto con lei il bell'orgoglio di perseverare negli studi non sarebbe mai stato misconosciuto; lei sola anzi avrebbe potuto aiutarlo. E intanto vedeva la mano di lei correre leggera lungo la caviglia, raggiungere, il polpaccio, udiva il fruscio deliacalza di seta sotto le dita morbide. Avrebbe voluto fermarle quella mano e stringerla nelle sue. Non osava, perchè gli pareva di rubare già con gli occhi qualcosa che non ora ancora suo. ila presto le avrebbe detto che laggiù, nella sua casa di campagna, era bello vivere tra i libri, e già aveva cominciato a scherzare sul suo burbero aspetto, sulla fama che godeva in paese. Questa volta sarebbe riuscito a proporle di sposarlo. Fu invoco lei a prendergli una mano. Gliela strinse fra le sue, gli guardò le unghie corte, e come egli so ne vergognò, ella gli accarezzò leni ameni e le dita. Poi gli alzò gli occhi negli occhi, e — Dovete aiutarmi. — gli disse. — To non conosco ormai che poca gente, e ho bisogno di rifare la mia vita. Non sono più una ragazza romantica, quella ohe avete conosciuto voi, e vorrei riuscire a sposarmi, con qualcuno che potesse... che potesse conservarmi quelle abitudini cui non saprei più rinunciare. Ho qualche amica, ho qualche amico, ma sono sola. Ed è mal giudicata una donna sola. Vorrei i vostri cousigli e la vostra protezione. Tutti farebbero cerchio intorno a voi, qui in casa mia. Fu a quelle parole ch'egli si accorse quanto fosse diversa dalla sua, quella casa. I mobili, Quel |« og-li aveva Iaveva m111 ogni della|stod'e, i quadri, denotavano un, , 1 r Ihisso che egli non conosceva, Quella penombra, quelle sete, 1 quelle porcellane, 1 non nei vasi., [parlavano di una vita clic gliIera ignota, 0 della quale poto- va compiacersi soltanto la vanità Si senti stordito, come se da allora soltanto quell'aria calda e il profumo dei fiori l'avvolgessero. Bofonchiò qualche parola, e quando si ritrovò in istrada non riuscì più a ricordare che avesse detto. Come se tutto non fosse slato, si domandò perche mai avesse portato quella valigetta che sentiva pesargli nella mano. Riprese il treno. Scendendo alla stazione, non salutò nessuno. Rifiutò la carrozza, si incamminò lentamente verso casa. Era già il tramonto. La malinconia di quella sua giornata, la sofferenza di quella delusione gli allontanava ogni pensiero. Riusciva soltanto ad immaginarsi a casa, solo, come se a- !vesse tutto perduto. Anche i suoi libri gli sembravano ora inutili, e le camere troppo ampie, e dila test°a. Lo fissava averci vissuto così a luugo pi stupiva, intorno a sè, per la prima volta, non vedeva che tristezza. A metà strada s'accorse che un cagnotto fulvo, ini bastardinò dal pelo scomposto, lo seguiva. Rallentò il passo, si sorprese a guardarlo. Il cagnotto s'accuc ciò e alzò ipiese ■annninaie e quello a seguirlo, con occhi malinconici e dimenava a tratti la coda, incerto se fargli cosa gradita. Egli ri a Quando furono davanti al can-celletto del giardino (voleva pas-saie di là per non incontrare la Rosa) se lo trovò ancora accan-to. Cercò di scacciarlo, ma quel- lo gli tornò vicino, si alzò sulle °, , ; • , • « , , , gambe posteriori, chinò la testa da un lato e sternuto. Ss accorse certo che il professore ora lo hs- sàva, e gli indovinò forse una la-grhna negli occhi. Ripete i mo' vimenti e lo sternuto; — Entra — gli disse sottovoce il professor Graj. Ora vivono insieme. Franco Bondioli.

Persone citate: Franco Bondioli, Libera