Diavoli e vergini al confine lituano

Diavoli e vergini al confine lituano Diavoli e vergini al confine lituano Fu alla frontiera polacco-lituana che mi giunse, quattro anni or sono, il divieto di penetrare nel territorio sovietico. Mi si negava l'accesso all'U.H.S.S., in memoria d'un articolo de La Stampa circa i tanti suicidi dei suoi poeti. Si osservava, in quel mio scritto, che ormai troppi cantori della felicità comunista s'erano sottratti di propria mano al paradiso da essi stessi vaticinato, perchè si potesse loro credere sulla parola. Evidentemente era mancato loro il genio profetico. Oppure era la nuova Russia mancata alle loro speranze? Una delle due. Ora il dilemma non era neppure avverso : era soltanto logico. Per mera generosità verso la Repubblica, si concedeva che in fatto di poeti essa non fosse stata molto fortunata: Bloch era un alcoolizzato, sempre con la bottiglia del Kiimmel attaccata alle labbra ; Espenin un pazzo, che diceva di sentirsi bruciare le stelle in testa, e batteva a sangue le vecchie danzatrici colpevoli d'amarlo troppo ; e via dicendo. Non mi si perdonò neppure questa cognizione, diffusa in tutto il mondo, e il divieto d'acquistarne altre dello stesso genere in terra bolscevica mi fu notificato, ripeto, in prossimità del confine polacco, ch'era stato un tempo il russo: quello stesso, immagino, varcato dal giovine Dimitri nella famosa scena del Boris Godunojf. Non ■'•olendo nè dovendo correre gli stessi rischi del falso czarevich col nuovo zar di tutte le Russie, rimasi in Lituania a godermi una deliziosa domenica agreste in cima a uno dei tanti <r colli dei morti », tra una doppia schiera di fanciulle e garzoni che danzavano l'antica Kanfalés, in faccia a una doppia fila di croci. I defunti, com'è noto, sono portati dai Zituani sui culmini dei monti, secondo un remotissimo rito che risale alle loro origini arcanamente sanscrite, insieme alle loro stupende stele solari, e ad altre nobiltà del loro linguaggio e del loro costume. E lassù si può cantare e ballare: poi che la morte, non è che un lieto trapasso, e può liberamente benedirla il vento delle vette. Vestite di bianco, con fermagli d'oro e corone di argento, come le veidihites, o vergini guerriere del mito secolare, le giovinette eseguono in concerto coi maschi quella danza ch'io reputo la più bella del mondo, e che non mi attenterei neppure di descrivervi senza il sussidio d'una veridica fotografia. Fa da scenario la selva, movendo i danzatori per una luminosa radura, e le croci altissime sovrastano agli abeti, nere incontro al soffice, errante candore d'una nuvola. Interrotto ogni tanto da un chicchiricchì, che dovrebbe scacciare il diavolo, il ballo sbocca finalmente in un canto, il cui ritornello ancestrale viene modulato con un'ineffabile, soave infantilità: Kas bus, Kas ne.bus Lictunia iiegroriis... Quei diavoli, detti velnias, di cui mi fu mostrato nel museo di Kaunas un simulacro, mustacchiuto e di bassa fronte, in tutto somigliante a Stalin ! Occorre ch'essi stiano lpntani dai morti, i quali non possono difendersi, e i vivi danzano e cantano a tale scopo, con la dolce carità che spira da tutte le usanze di quella povera, gentile, sacrificatissima terra. Tre anni fa, quando il console Brichetto raccolse in un ristorante milanese i quattordici lituani residenti nella mia città, c avendomi voluto con loro io ebbi a ricordare loro quel rito di vivi e di morti, vidi parecchi cigli inumidirsi. I velnias erano ancora in agguato contro la patria, avendo facete polacche e ceppi russi. E già allora essi la sentivano in pericolo: quella Lituania che alla Polonia aveva pur dato una poesia e una dinastia; alla Russia, le prime lezioni di cristianesimo, i primi esempi di civiltà! Fu Clemenceau, il quale se ne intendeva, a dire che la parola gratitudine non esiste nel dizionario politico. Naturalmente, .egli pensava a un dizionario francese. In seguito la stessa abrogazione, dalla Francia, si estese ai glossàri dei popoli alleati. Perchè i velnias non perdono tempo. Nè disarmano mai. Quel chicchiricchì di venti vergini velate di bianco e coronate d'argento, là sotto le nuvole del tramonto e fra le croci di Cristo, mi risuona ancora nell'anima. Le veidiliitcs attuali sono ancora le stesse, abito e cuore, che danzarono in onore di Vitauvas, prode fra i prodi, e di Re Gedimidas l'Indomito. Portavano allora le candele C03 lorate di rosso agli avelli; e gli strumenti di lavoro; e i balocchi che avevano rallegrato l'estinto negli anni puerili. Cavalieri accompagnavano il feretro, brandendo le lunghe spade che avevano osato affrontare uniche al mondo, gli stocchi dei baroni baltici, e agitandole con¬ tcldlsmncdplapasbqlrnstKppsvNaatdznes tro gli spiriti notturni. Le torcie dei faggi, intanto, fugavano le strigi, ingigantendo le ombre della 6elva, e il raudos, o cantilena funebre, echeggiava al cospetto delle cime. Capolavori di miriologia erano questi componimenti: e il Basanaviciue racconta d'un raudos improvvisato da due orfanelle, che fece scoppiare in lagrime l'intero popolo. Ivi una madre annunziava al suo bimbo spento di avergli preparato un cavallino bardato a Insta: e le ìriimés, fate del bosco, accorrevano intorno alla bina per assicurare il piccolo che quanto mamma aveva detto era la verità pient'altro che la verità... V^anta il gallo contro il demo nio, mi spiegò i! buon maestro di scuola che m'aveva accompagnato lassù, in memoria del valoroso Kunisiskès che stava per dare la propria figlia a Satana. Ma un povero ciabattino fece quel verso, e Satntia fuggì. Perchè i velnias hanno paura delle voci. Non sono come le lai mèi, che accorrono dovunque uno stornello, o un usignuolo, e vanno anche a sentire il cuculo sotto il tiglio: com'è detto nella favola di Re Mindaugas, il Re battezzatore. Le voci spiegate scacciano gli spiriti nascosti; e sempre s'è cantato e si canta, in Lituania, nelle belle chiese che nè Polacchi nè Russi sapranno mai costruire: in quelle di Zariskis, dai suntuosi motivi gotici; jn quelle di Siculiai, dal mirabile portale ; o nel venerando monastero di Zazailis, che gli Italiani hanno costruito e che i Russi hanno distrutto; 0 sulle colline sacre, dove i trapassati riposano, e dove la ferocia polacca o moscovita è più difficile che giunga... — E' vero che da Mosca s'ordinava di ardere le vostre stele, monumenti inestimabili, per sostituirle con le loro stupide icone ? — E' verissimo, com'è vero che nei castelli i Cosacchi tiravano il collo ai cigni, orgoglio di tutte le nostre dimore patrizie, da Castel Rosso a Gelgaudai, col pretesto che i loro becchi rossi portano disgrazia; o attaccavano torcie accese alle code dei puledri, per vederli morire atrocemente, sotto gli occhi delle giumente gemebonde, di scottature e di spavento. Oh ! voi non avete un'idea, i Russi che cosa siano: voi Italiani che ne avete avuti in casa qualche migliaio soltanto, e per poche settimane, al tempo di Souvaroff. Tutti i Russi, badate: gli antichi e i nuovi, gli zaristi e i comunisti. I Russi, e le Russe. Perchè le donne sono ancora più disumane degli uomini; e i fanciulli quanto le donne. Nella Suvalkia si conserva memoria dell' orribile diletto che si prendevano i figlioli dei conquistatori, arrivati in groppa ai cavalli delle sotnic, di attaccare rospi o ramarri alle nostre culle, per impaurirvi gli altri piccoli, disprezzabili Lituani che vi dormivano. E come se la godevano al loro atterrito risveglio. Oh, credete a me: non avrete bisogno di passare la frontiera, per conoscere il volto di quella Russia che attira la vostra curiosità. Anche qui, nelle provincie limitrofe, potrete vederlo come vi fosse presente. Interrogate le nostre macerie. Ciascuna vuol dire un passaggio di Rii9si; una devastazione, un incendio, un massacro. E interrogate le nostre croci, lassù. Nessuna peste 0 lebbra medievale ha fatto mai tante vittime come la 9pada russa, la scure rusBa, la mazza ferrata russa. Tutte le nostre eventure si chiamano Russia. Tutti 1 nostri lutti si chiamano Russia. Interrogate vivi e morti, vecchi e fanciulli. La Russia è' il nemico.'La Russia è il demonio. Così in Lituania e in Lettonia, così in Estonia e in Finlandia. Non una scuola, non un ospedale che ricordi il passaggio delle sue orde. Ma soltanto orrori e terrori, eccidi e rovine. Fu una maga russa, del resto, che consigliò Kestulis a quel rapimento di vestalo da cui originarono tutti i mali della nostra patria !... — Una leggenda, immagino. — I Lituani non distinguono tra leggenda t storia. Kestutis strappò il velo della vergine sacra innanzi all'altare, e in quel momento stesso una folgore spaccò la quercia di Bautles, le bandiere biancovermiglie ripiegarono sui campi di battaglia, la potenza lituana fu estinta sulla terra. Sospirava il mio compagno, vuotando il pallido vino che ci avevano servito nella'tazza d'abete. C'essate arano le danze, dopo un girotondo compiuto in una specie di sillabazione magica, che ora vorrei provarmi a ricordare tanto allora mi parve ispirata, tanto mi riuscì sorprendente : rsj'fa'ssnnvVtiTata-Io ringoritò Ringuritù - tata-tu..i Il sole declinava sulle croci alte. Una queta luce verde inve- 1111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 o o s l stiva la radura ormai deserta, e dalla pianura salivano i richiami delle mandre equine pascolanti: quel nitrito ohe si dolce, somigliando ora a un pianto ora a un riso, e che nella terra lituana v'inscgue ad ogni passo, sopra t ulto nelle ore di silenzio. Una nebbia color di mare ora copriva il piano, e i cavallini vi correvano a gambe nascoste, come ippocampi. Lasciandosi, giovani e giovinette si davano Padri ii>, il li uba dien-K, con affettuosa umiltà. Notai che qualche j'Ionna ripeteva nel volto il profilo equino. Alcuni dei ragazzi, allontanandosi, attaccarono una 'strofa marziale. Mi fu detto essere i nuovi taulinink'ji, i nazionalisti, il cui canto ha per ritornello il rombo del cannone: a Kas bus bau /ii'bus - lAclunia negroni* - /Ii/iiiii! Hoiiiii! Umilili 1. Domandai che volesse dire. «Avvenga che può, la Lituania non perirà». Questo, a un dipresso, era il senso. Perkunas, l'antico dio dei tuoni, il protettore di Vitantas nelle lotte e nelle vittorie, forniva l'accompagnamento. Questo i Lituani cantano in Lituania, ma, sopratutto, dove il bisogno o l'oppressione straniera li costringono ad emi- i- Ar. . . . grare. Non invano MickievicZjha lasciato scritto che la patria, 1 come la salute si capisce soloIni ido 1' " • quauno si pi 1 rie. I— Mickievicz, il poeta po- j — Scusate: lituano. Stasera tornerete a Kaunas. Leggerete su una parete della sua chiesa principale ciò che la Lituania è stata per l'anima sua. Sono le| sue parole più grandi. Sono il suo testamento e i! suo atto di[ fede. Finche la nostra terra noli sia liberata dai velnias, ciascu-i no di noi porterà nel proprio, cuore il peso, e la memoria, di quell'iscrizione di pietà. Marco Ramperti

Persone citate: Bloch, Boris Godunojf, Brichetto, Clemenceau, Polacchi, Re Mindaugas, Stalin