IL BACIO DI GIUDA

IL BACIO DI GIUDAIL BACIO DI GIUDA Padre Jaime condusse il pro-I vinciate in chiesa. Giungeva al- alerà dal Portogallo, il giovano superiore mandato a ispezionare le congregazioni del lontano Brasile. Fermatosi a Fernambuco, a San Salvador e altrove, era finalmente giunto a Villa Pica. Bisognava impressionarlo e padre Jaime, il miglior predicatore della città, colui che con il sermone della Passione sapeva far piangere i cuori più induriti, era particolarmente abile per questo. E poi sapeva di avere tra le mani un argomento decisivo: gli ori, le ricchezze senza fine che i senhores, i faiscadors e i gampeiroe (cercatori d'oro e diamanti), avevano fatto affluire alla chiesa della Madonna dei Sette Dolori, eretta da appena un anno su quel grande spiazzo dominante la città estesa e brulicante di umanità peccatrice. La chiesa di Nostra Signora dei Sette Dolori era la più bella e ricca chiesa, non solo della città, ma di tutto il Brasile. Questo, i superiori e il padre generale del lontano Portogallo dovevano sapere, affinchè l'opera di padre Jaime e la potenza della fede rifulgessero. — Di qua, reverendissimo, da questa parte. Ecco i gradini che portano al coro. Come vedete, dalla calce sporgono monete d'oro. Quand'era fresca, i seiìores hanno fatto a gara per infiggere zecchini sul gradino ove passa la statua della Vergine il giorno precedente il Venerdì Santo. — Sia lodato Iddio — esclamò il provinciale. E si volse a guardare la vasta chiesa barocca a tre navate altissime: la centrale colorata di un pallido azzurro, le laterali tinte di un rosa tenero — colori tenui da confetti di sposa su cui spiccavano gli ori della decorazione: oro puro sui tronchi delle colonne, oro puro sulle foglie delle volute, sugli acanti dei capitelli, sulle lesene, sulle cornici; oro puro al baldacchino del pulpito, sulla cappa del fonte battesimale. E l'altare? Pareva un'immensa massa d'oro : quasi che tutto il giallo oro del mondo si fosse radunato, come rappreso per far cornice all'Ostia del tabernacolo, al vivente corpo di Colui che fu il re degli afflitti e dei diseredati. Il provinciale fe' per salire gradini dell'altare. Solo quando ebbe poggiato i piedi sul terzo scalino, seguendo lo sguardo di padre Jaime, i cui occhi rimanevano fissi a terra, si avvide che nella calce, invece che zecchini erano stati infissi, prima che rasciugasse, diamanti, lapislazzuli e altre pietre preziose. — Ecco, reverendissimo, qua1 e la fede di questa gente ! Padre Jaime aveva preparato butti questi effetti e deciso punto per punto l'itinerario da far seguire al superiore. Punto per unito: prima gli zecchini del {radino del coro, poi gli ori dele colonne, delle volte e delle paeti e finalmente i diamanti del radino dell'altare. Ed ecco, ora ostrava l'unico occhio del pelliino raffigurato sullo sportello el tabernacolo : un grosso diaìante di meravigliosa azzurra lellezza. Pareva ^adunare in se a luminosità del sole, accecante miracolosa, e l'azzurro del ma:e, un azzurro calmo e freddo di mare molto lontano. Non già quello che lambisce le coste del Brasile o le terre dei tropici: il mare dei ghiacci, lontano, su su oltre i limiti dell'Oceano, ove il sole si affaccia appena all'orizzonte per illuminare un paesaggio di morte e di sogno. Il provinciale sgranava gli occhi davanti a tutte quelle ricchezze. Padre Jaime pensava: «Certo egli si dice che in tutto il Portogallo, che dico, in tutta l'Europa, anche a Roma stessa, non esiste una chiesa così ». Ma taceva ben sapendo che se i sen timenti umani hanno bisogno di parole che li illustrino, la rie chezza basta a se stessa. E' po tente, decisiva, assoluta. Parla da sè alla fantasia degli uomini li stordisce, li esalta, li affasci uà. Li rende muti e cogitabondi. Quindi, senza parere, senza calcare sull'effetto, il vecchio domenicano condusse il provinciale nell'ombra della navata destra. — Venite, reverendissimo. Dovete vedere la nostra Via Crucis. In una serie di nicchie alte parecchie braccia, spaziose e profonde, si dipanava la vicenda tragica, raffigurata con statue di legno dipinto, grandi al naturale. Stazione per stazione, l'ancor giovane frate venuto dal lontano Portogallo, passò davanti alla esasperata, sanguinolenta, atroce vicenda. Cristo che cadeva per la prima volta era ancora sereno. Nella terza caduta dal Suo volto lordo di sangue, di sputi, di fango, emaciato, escoriato, flagellato, emanava un'umanità così dolorosa e sublime da to gliere il respiro, da fermare il cuore di chiunque lo guardasse — Chi ha fatto questo? — domandò il provinciale. — E' Alejiadinho. Il figlio di un pittore di Oporto e di una negra. Io mandai, di lui, una sfatua in Portogallo. Quella che sta ora nella chiesa della Regina del Mare a Lisbona. — Certo, certo. La ricordo. tpQqesvdmnmzavdcnsttcNdEssecvfcclasmcu9vCsllpndsccvtbgCcSvvdmpzrscGmss I due frati — il più giovane alto e snello nel saio bianco, Fal¬ a a . e a i i , a l , à l i a a e a tro già curvo e grosso e tozzo — passarono nella navata sinistra. Quivi la penultima stazione, quella di Cristo in Croce, non era finita. L'ultima nicchia, destinata alla deposizione, era invece a posto come le altre. — Il lavoro non ò ultimato? — domandò il provinciale. — Ahimè, purtroppo! — mormorò padre Jaime. — Alejiadinho è partito un anno fa per la montagna. E' una grave disgrazia. Il poveretto è lebbroso. E' andato sui monti in cerca di un vecchio indio, olio pare distilli dalle erbe un rimedio. O in cerca di qualche stregone negro che nelle macumbas preparasse a suoli di tamburi, fra danze notturne e riti scimmieschi, un sortilegio contro il suo male. Partì che già le sue mani erano nere. Nere come le travi carbonizzate di una casa distrutta dal fuoco. E' tutta una storia, reverendissimo. La chiesa stava appena sorgendo dallo fondamenta, ed egli abitava qui presso, in una capanna abbandonata. Già aveva cominciato a scolpire le sue figure. Poi la chiesa sorse a poco a poco, fu messo il tetto e si costruì il convento. Gli diedi allora una cella, l'ultima a destra a pianterreno. Appunto in questa cella egli scoprì l'orribile male che lo colpiva. Questo accadde una notte. Udimmo un urlo. Accorremmo. Trovammo il 9uo servo negro che lo tratteneva a terra con tutte le sue forze. Credetti a un attacco di epilessia, invece egli s'era scoperta la lebbra: una piccola macchia violacea sulla gamba sinistra, non pili larga di un douro. Urlò per notti e notti. Disse cose terribili! Padre Jaime si fece il segno della croce e continuò: — A nulla valsero gli esorcismi. Io e i fratelli in Cristo lo credevamo indemoniato. Poi si calmò d'un tratto e riprese a lavorare. Ora da un anno è par tito per la montagna. Tutti abbiamo pregato per lui. Iddio vo glia che abbia ritrovato la salute Chi se non Alejiadinho potrebbe compire la nostra Via Crucis? Speriamo nel Signore. — Sempre sia iodato. — Amen. I duo frati erano usciti. Sta vano a mezzo dello spiazzo. Si volsero per guardare la facciata della chiesa, oltre la quale il monte sovrastante, giallo, nel pazzo sole di giugno, pareva di zolfo, contro il cielo di un azzurro tanto terzo da parer grigio. Fu allora che a padre Jaime sfuggì una sola parola: — Gesù ! — Sempre sia lodato ! — si affrettò a soggiungere il provinciale. — Sia lodato! Sia lodato! Guardate lassù, vedete quell'uomo a cavallo che discende per il sentiero? E' Alejiadinho! Gesù sia benedetto! E' Alejiadinho! Padre Jaime abbandonò di botto il provinciale in mezzo alla piazza assolata, corse a lato della chiesa, infilò la porticina del chiostro e, spinto da parte un converso che gli veniva incontro, si attaccò alla campanella del convento. Suonò a distesa come se ogni cosa ardesse o come se li avessero detto ad un tratto che laggiù," oltre la strada bianca, in una diligenza tirata da sei cavalli, stava venendo alla volta di Nostra Signora dei Sette Do lori il Pontefice in persona. Fu uno sbatter di porte, un accorrer di gente, un tramestìo sommesso. Dal porticato superiore si affacciarono i frati anziani. Da una porta a terreno irruppero nel chiostro i novizi. Padre Jaime, levate le braccia al cielo, gridò: — Sia lodato il Signore ! Alejiadinho è tornato ! * * — Su, spingi la bestia, frustala ! Non aver timore di farle male ! Il muletto, sotto i colpi, avanzò trotterellando. — No, non così. Non posso ballare ! Figlio di cane, sudicio negro ! Vuoi dunque farmi cadere ? Il negro che traeva per la briglia la cavalcatura, fu d'un balzo presso il padrone e lo trattenne in sella, facendosi sballottare nel trotto della bestia e poggiando a balzelloni un solo piede a terra. Il muletto si fermò. Lo schiavo aggiustò allora sul capo del padrone il largo cappello di feltro, gli radunò intorno la lunga cappa nera che o ricopriva interamente, dalle spalle, giù giù lungo i fianchi della cavalcatura, fin sotto i piedi. Fin sotto i piedi, affiuchè nessuno potesse vedere che una sola staffa di legno era occupata da un moncone fasciato di bende sporche, mentre l'altra pendeva triste e vuota, sbattendo contro la pancia del muletto. Calmata che ebbe la bestia il negro ritornò al suo posto, riprese le redini e si pose quasi davanti al muso del mulo per frenarlo sul ripido sentiero che scendeva direttamente all'ampio sagrato della chiesa di Nostra Signora dei Sette Dolori. Alejiadinho teneva gli occhi chiusi. Pareva dormisse. La sua testa dondolava sul ritmo ambio dell'andatura del mulo. Comi quelle dei cadaveri che i brigali ffmglUdpssdplsvfidcdiidtjepscdmSmfdnscAas( fi legano stretti a un bastone infisso nella sella, affinchè vi rimangano saldi nel tragico viaggio di ritorno verso la casa dalla quale, sono partiti vivi. Alejiadinho pareva un morto. Unico segno di vita era, a quando a quando, il suo sforzo di puntare il moncherino nella staffa sinistra per rinsaldarsi sulla sella alta, nera, con i chiodi di rame bruniti e la gualdrappa di un rosso -carlatto, come se la pelle del mulo, tolta di fresco, lasciasse sgorgare il sangue vivo e sano dalla groppa sui fianchi, in un continuo fiotto inarrestabile. Il negro che conduceva la cavalcatura strusciò col braccio nudo contro un cacto dalle lunghe spine. Ma non sentì il dolore della ferita che già si imperlava di sangue, tutto preso dalla gioia di vedere il luogo tanto amato. Si volse ad Alejiadinho, lo guardò con gli umili e neri occhi di bracco, occhi supini, schiavi, scintillanti nella sclerotica gialla striata da piccole vene ; lo guardò e fattogli» dappresso lo scosse con ambe lo mani. — Svegliati! Siamo arrivati! Svegliati ! — Tu credi ch'io dorma? Siamo sul sagrato? — Sì. — E allora tirami giù di sella, figlio d'una cagna. Portami dentro. Nella piazza grande, assolata non c'era nessuno. Padre Jaime s'era trascinato via il provinciale con un'abile scusa. Sapeva che Alejiadinho non voleva vedere alcuno. Temeva le sue ire e le sue grida. Il negro trasse giù di 6ella il padrone Lo prese sulle braccia, come si prende, un ragazzo ma-jlato. II cappello, caduto a terra,!aveva scoperto la sua fronte ma-dita di sudore e i capelli grigi,{ricciuti come quelli dei neri, scoperto il volto di un colore bruno, di poco dissimile da quello dello schiavo. Il negro portò così il padrone mulatto dal sole della piazza nell'ombra della chiesa. Oltrepassata l'acquasantiera ò!i bronzo clic stava presso la porta, egli adagiò il padrone so pra una sedia. Tornò indietro, immerse la mano, l'intera mano, nel refrigerio dell'acqua benedetta, e (ornò verso Alejiadinho che teneva sempre gli occhi chiusi come in un supremo sforzo. — Vuoi farti il segno della Croce? — disse il negro, tendendo la destra goeciolante. Padre Jaime, che era rimasto a spiare dall'altar maggiore le mosse dei due. già veniva avanti. Attraversata la navata centrale quasi correndo, giunse in tempo per sentire il negro ripetere la sua domanda : — Vuoi farti il segno della Croce ? Sollevata dai gomiti, la cappa nera di Alejiadinho, si aprì sul davanti e comparvero per l'apertura le sue mani smoz zicate, informi, ròse, mangiate dalla lebbra, senza dita, senza forma, senza vita. —■ Figlio di una cagna ! Sudicio negro, con che cosa mi farei il segno della Croce? Sono forse mani, queste? Il lebbroso aveva pronunciato queste parole, con torva ira, con voce roca, ma abbastanza aitai per risvegliare un'eco nella volta della chiesa. Padre Jaime vide altresì, per l'apertura della camicia, sul petto del lebbroso, non più la piccola croce d'oro, ma, appesa alla catena, la mano di Figa. Pensò con un brivido alle cerimonie jIun£aj |iiiiiifiiiiiiiiiiii<iiitiiiiiriiiii[tiiiiitiiiifiiiiiiiiiiiiiitiiiii diaboliche della montagna, agli j infernali sortilegi, ! I! negro aveva reclinalo il capo. Poi, data un'alzata di {spalle, si era caricato il padrone i sulle, braccia e l'aveva portato fino alla nicchia della crocifissione, ove il lavoro non finiIo ai tendeva. Quivi finalmente Alejiadinho aprì gli occhi. Si guardò intorno. Era come abbacinato, pur in quella penombra soffice e seduto siili' allo sgabello ove lo schiavo l'aveva posto, rimaneva con i moncherini -fretti fra le gambe, a guardarsi intorno, con occhi sicuri e! ,-ir ,■ , , recidi come se non gl, marte]- lasse il cuore e la. mente il pcn-lsicro che quelle immagini eranojstate scolpite da Ini quando an- cora Iddio non gli aveva tolto!le mani. Quelle mani che egli ! aveva dedicato al Suo servizio, Padre Jaime si fece avanti, finalmente : — Alejiadinho. ti benedica ! Sei gliuolo? Ebbene.. ohe il Signore ritornalo, fisia fatta la volontà di Dio. E' vero, è vero? Sia fatta la Sua volontà! Sei ritornato nella nostra bella chiesa... Bella anche per opera tua, figliuolo. E ora starai qui con' j? Starai qui qui, sempre noi. e vero |con noi. Alejiadinho lo ascoltava? For corda... L'hai trovata? la qua. Legami la sgorbia della Porti alla mano... Su, ancora qualche giro. Tagliala! Va bene... E ora ledami il mazzuolo a quest'altra. Così... Così... Così... Prendi la figura del Cristo. Portala qui. Angelo Nizza (La fine al numero dì martedì). iiiii>iii)iiiiiiiiiiiiiiii*iiiiiiiiiii»iiiiiiiiii)iiiiiiiiitiiiiii 1 I' |Ijse quelle parole gli entravano daLun orecchio per uscirgli dall'ai-!iruggì rivolto !— Vieni qui allo schiavo —. Levami la cappa di dosso. Dammi la sgorbia. E' affilata? Provala col dito, sporco negro. E' affilata? Ebbene, guarda nella cassetta, c'èSì?