COSI' MORI' IL «SANTO» fulminato da un franco tiratore di Ernesto Quadrone

COSI' MORI' IL «SANTO» fulminato da un franco tiratore Ritornano quelli timi " Mondo vi 99 COSI' MORI' IL «SANTO» fulminato da un franco tiratore SANTUARIO DI VICOFORTE, giugno. Come abbiamo accennato nella precedente corrispondenza l'Alpino Bertino Secondo del « Primo » Battaglione Mondavi disse al colonnello Balocco davanti al quale si teneva dritto per miracolo: '< Mi smia d' avei mac perdu l'oeil » e poi chiese del pane e allora gli venne perfino regalata una tavoletta di cioccolato e fu mandato al posto di medicazione dove il dottore accertò l'avvenuta mutilazione. Il difficile compito La, con molti altri c'era anche il sottotenente del « Cova », Sansoni Carlo che tutti però chiamavano semplicemente « Carletto » che veniva già dall'Africa Orientale e che fino allora aveva magnìficamente combattuto. Ma adesso non ne poteva più. A Mai Ceu con lo stesso colonnello Balocco e con molti degli stessi Alpini, Carletto se l'era cavata bene e proprio nel momento culminante dell'attacco aveva aiutato per un attimo l'attendente del comandante a soffiare sul focherello acceso sotto una gavetta per far riscaldare un po' di caffè avanzato la sera prima. Anche sul fronte delle Alpi Occidentali dove Carletto con i suoi Alpini del « Ceva » e con gli altri del « Pieve di Tcco » e del « Mondovi », aveva dovuto interrompere una accanita partita al pallone elastico nel « Valloncello della Miniera » per salire a quella desolazione che è la testata della Valle dei Gessi, gli era andata bene. Aveva tirato il cinghione come tutti gli altri, ma era poi disceso con le sue gambe. Qui invece, sul fronte greco, a Bregu i Math, fra le difese della valle del Devoli e quella della valle Tonarezza, accidenti che scalogna. I tre battaglioni dovevano difendere ad oltranza una sequela di Quote che formavano lo, chiave di volta dì tutto il settore. Roba da ridere: le posizioni affidate al « Primo » non offrono cinquanta metri di profondità, neanche per una seconda linea che fosse letteralmente addossata alla prima. I tre Battaglioni hanno tutte le compagnie e i plotoni e gli uomini come coricati con la pancia sulla lama di un coltello e cioè con i piedi che pendono da un versante della montagna e la testa e il torso che pendono dall'altro, e il tutto avvolto in un turbine di nevischio che, in fatto dì tormenta e vento, le cime più alle delle Alpi non hanno nulla da invidiare a quelle regioni della malora. Non per nulla l'Eccellenza Cavallero era andato a incontrare il « Plinto » sul molo di Durazzo di dove il Reggimento era immediatamente partito per la linea. II saluto di Cavallaro Figurarsi gli Alpini quando seppero che il generale che li guardava era il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Veramente questa visita da parte dell'Alto Personaggio era di carattere sentimentale, e si vedeva subito perchè l'Eccellenza Cavallero, proveniente in linea diretta dal « Primo», si era subito messo a camminare davanti alla decima Compagnia, e ci camminava davanti per il gusto dì vederla e non per passarla in rivista. Sfido, era la Compagnia che aveva comandata e quindi del suo cuore, e iiifatti pareva che ancora conoscesse in quegli Alpini che non stavano più nella pelle, gli Alpini di una volta perchè veramente son sempre gli stessi, con gli stessi no'mi che quasi quasi, cambiaiulo soltanto le date, si potrebbe mantenere il primogenito dei ruolini di marcia, il librettino modesto modesto, rilegato in finta pelle nera e tenuto chiuso da una stringa da scurpe e con dentro i nomi degli Alpini della Compagnia che li scrive il sergente di fureria. Quando poi l'Eccellenza Cavallero vide davanti al «Mondovi» il maggiore Annone gli gettò le braccia al collo e se lo baciò. Allora si capisce che gli Alpini avevano gli 'occhi lucidi e qualunque ordine lo avrebbero eseguito anche qutlli, dì far dietro-front e saltare nel mare con i fucili e gli zaini che poi sarebbero andati in fondo. Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito che senza dubbio era commosso anche luì ma che non\doveva farsene accorgere, ordinò al Colonnello Balocco di partire subito per dare il cambio sulle posizioni avanzate ai tre Battaglioni del Quinto l'« Edolo », il « Aforbegno » e il « Tirano ». Come che dicesse un niente. I tre battaglioni che son tra i più celebri, hanno degli Alpini che, quando si arrampicano, vanno su come degli angeli; un Colonnello che si chiama Fossi e un Tenente Colonnello che da vivo, per operazioni compiute proprio su, quella zona così importante anzi, la più importante e delicata di tutto il fronte ellenico e che appunto toccava al « Primo » l'onore di difendere, si era già presa la Medaglia d'oro il piemontese Rìvoire, proveniente dal « Terzo ». Guarda a quale catena gli Alpini mettono anche individualmente una maglia dopo l'altra sicché se ne scappa una, subito si sa di chi è la colpa e perciò tutti si tengono la propria con i denti. Bisogna far presto, disse ancora l'Eccellenza Cavallero, e lasciò che partissero, sicuro che sarebbero arrivati. Il tenente Pietra, un uomo oppure un ragazzo, non so bene, uno di Pavia alto quasi due metri con una vita così e delle spalle così, un viso duro e quasi olivastro, gli zigomi sporgenti sotto un paio di occhi ardenti e tagliati all'insù, a mandorla, e dei capelli così folti che non ci entrerebbero le dita di una donna, rimase a caricare j le munizioni, ma non doveva perdere un minuto e il Maggiore Annone gli disse che si fidava di lui, ciò che significava, nel linguaggio di Annone, che se non arrivava gli avrebbe rotta la testa perchè era capace di farlo. Sulla posizione fnne a o li a n nil il ee pi a il di aprgae aa la o a an a isadi n si o nni o e nmi e a. o il e ni no Il tenente Pietra si mise al lavoro coordinandolo a colpi di bastone vibrati in una «bora » che, soffiando dal Carso, spazzava l'Adriatico. Ritto su una chiatta, che là si chiamano maone, un altro ufficiale lo aiutò fino all'esaurimento agguantando egli stesso le casse delle munizioni. « Prendi qui », « Porta là », « Salta sul molo e mettiti in catena », e ciò per farle passare da una mano all'altra fino a bordo degli autocarri che avevano i motori accesi. Insomma si capiva che la faccenda era seria. A mezzogiorno l'ufficiale che insieme a Pietra aveva lavorato come un Alpino gli disse che, se non gli rincresceva, andava a mangiare un boccone e che poi, se tutto non fosse stato finito sareb-be ritornato e salutando porto laalla visiera, allungando ilmano braccio fuori dalla mantellina e allora il tenente, che gli aveva già risposto che andasse pure che se la sbrigava ormai da solo, vide i gradi sulla manica c s'accorse che era un Generale e non si muoveva più dall'attenti per farsi perdonare tanta involontaria confidenza. Ma il Generale era uno di quei « dritti » e nientemeno che il notissimo coloniale Pascolini che da allora gli Alpini chiamarono, senza perciò perdergli di rispetto ma anzi volendogli bene tutto di un colpo perchè gli Alpini hanno le cotte facili per i superiori che stimano « il nostro Generale di corvée » che in Marina molto più italianamente si dice di « coman data ». Il tenente Pietra seguì poco dopo U Reggimento e mentre saliva alle dannatissime posizioni già raggiunte dal « Primo » s'incontrò con un Alpino del Tirano che aveva due feritacele alle gambe e che due compagni portavano a braccia e allora Pietra avvicinandolo gli disse < Coraggio Tirano » e quello, che doveva soffrire le pene dell'inferno, gli rispose con un grugnito niente affato riconoscente: « Il Tirano non ha bisogno di coraggio » e il Tenente lo salutò mettendogli nelle mani restie al- e' cimi pacchi di sigarette, e il gruppetto dei tre uomini sparì nella tormenta. Il « Primo » era intanto arrivato sulle posizioni del Quinto e il Colonnello trovò che il Reggi mento, in tutto e per tutto, era j comandato da un Tenente con il naso congelato e gli uomini ve¬ lbadanivan fuori dalla bufera uno al- .dio volta come manici di cucchiai- ! Ini dall'immenso sorbetto sui lafianchi del quale si squassavano brandelli di poche tende lacerate. Sulla neve c'era il nero di alcuni focherelli ormai spenti da schissà quanti giorni, gavette con 'ldentro i rimasugli di grasso gà- ilato, e i serpenti morti e brinati \ddi alcune fnscie mulattiere forse tolte ai feriti. t Gli Alpini del «Primo» mise- | ro le pancie sulla lama di neve e di roccia che costituiva la posizìone e fu, allora che il Co- ilonnello si accorse di non avere ilo spazio per una seconda linea hper mettersi alle spalle una ri tservo tattica, non fosse che di un plotone. Trenta ferite Passarono appena cinquegiorni'e i greci, dopo un intenso fuoco di | artiglieria e di mortai specialmen-dte localizzato sul Battaglione «Ce-I va», attaccarono in forza e in \tre successive ondale di alpi già- \ni urlanti e decisi, i settori dei 'tre Battaglioni. Il tenente Pietra tsfodera per ordine del maggiore 'Annone il Gagliardetto del Mondovi l'unico Battaglione che non ha nè motto nè stemma. Il «Pieve », agli ordini del Ten. Colonnello Kanaldi resiste alla pressione sulla sinistra e allora il i Ceva » vedendo che gli altri tengono, condotto dal giovanissimo maggiore De Giorgio, di Roma, parte al contrattacco. Il maggiore Annone del « Mondovi », tenuto per le redini dal Comandante di Reggimento aspetta con impasienza il momento buono e che sarà decisivo. Abbiamo lasciato il sottotenente Sansoni che era scattato dalle trincee insieme con un demonio Ì\; \'sj B IJHardare fuori dalla tenda \lo vedreblìe disteso sulla neve. E' \stato fatto ftwri in pochi di tenente che si chiama Bracco |e che conduce il plotone «Assa-Utitori » sotto la tenda dell'improvvisato posto di medicazione. E' stato il primo ferito, credo, ma pr'mw o secondo non conta, quelle che contano sono le sue ferite, h'ufficiule medico insieme al Cappellano le cercano sul corpo martoriato e, ad alta voce, le enumerano e le annunciano al caporale di Sanità che le « marca ». Sono trenta. Trenta, se non se ne sono dimenticate. Carletto che è moribondo insiste per aver notizie del suo collega e amico Appendino al quale, cadendo lui ceduto il comando del plotone. Se potesse alzar- ti. Raccontano a Carletto una bugia e lui sorride credendo che Appendino combatta ancora e, poi, furio consolato, dice al ca- jparale di scrivere i nomi degli \Alpini che gli detterà. Sono quel- ii che si sono distinti e che meri timo di essere ricordati. Il capo rale finge di scrivere e Carletto compita stentatamente un nome poi un altro, e la sua lingua si ingarbuglia cercando di pronunciarne un terzo; dice, ancora, appena in un soffio, le prime lettere di un quarto e poi Carletto muore, ho portono fuori dalla tenda allineandolo vicino ad Appendino e al tenente Santagata a fianco del quale, la barella che Iva e viene dalla linea, ha anche deposto il capitano Rossi. I primi prigionieri In quel momento arrivano i conducenti che con i muli fanno una sola palla di fango e scaricano un bel mucchio di pacchi arrivati in dono dall'Italia. Guarda combinazione, c'è anche un pacco di mele, in verità poca cosa, che la madre ha mandato al ca- porale Zagradin che è proprio lì, sotto la tenda con mezza mano lacerata da una scheggia. Zagradin accarezza le povere niellicele come fossero tesle di bimbi e poi le raccatta e stringendole con il braccio sano contro il petto — attento di non perderle che son della madre — scappa in trincea ad offrirne all'uno e all'altro. Une! che belle mele, alle belle mele, chi ne vuole' Il suo capitano Zurletti lo pren- .de per il bavero e lo caccia via. ! Intanto il « Mondavi » si lancia lai contrattacco con in testa il maggiore Annone e il gagliardetto e il suo intervento, a bella posta ritardato di qualche minuto per vedere dove fosse più utile 'l'impiego, decide il combattimeli ito travolgendo i greci e libcran \do per il resto della Campagna il settore più importante di tutto il t front e. | Qualche giorno dopo, tanto per finire in bellezza, quell'invasato di un tenente Bracco, va a cer icore il nemico sulle lontane posi intoni dove si è ritirato, ho scova, ho sorprende di notte, salta nelle trincee e rastrella i primi prigio- nieri di quel settore, hi prende e li spinge fuori come sono. Gli ufficiali lo pregano di lasciargli almeno il tempo di infilare le 'searpe. | Che cosa credete che quelli deida «Provincia Grande» siano I stupidi :' Avanti, fuori a piedi Uli \di, sulla neve che, se aspetto ven \gono i vostri che già cominciano 'con la storia delle'bombe a mano te ci fanno la pelle. E i generali 'liunno poi voluto vedere la faccia, non fosse che per campione, a quelli che per mesi avevano avuto davanti. Il colonnello Balocco scende ai ÌComandi superiori e in fondo val\le lo attende un'automobile. Co; modo l'automobile. Ma si rovescia nel fango e il colonnello si rompe la testa e un braccio ma non lascia la Grecia e tantomeno il suo reggimento che adesso co manda il ten. colonnello Bernar dìni e con il quale, nei giorni no ve, dieci e undici aprile combatte sul fronte jugoslavo e di slancio conquista il famoso caposalto di Dìbrà che i Tedeschi aggirarono \con i carri armati per fondo vai- |/e mentre in alto, sulla cresta del Uo sperone a strapiombo e doininante la pianura, in una buriana tremenda, il ■< Primo :> frustato da una delle più furiose tormente che ricordino gli Alpini, e avvolto in una neMiia cosi fitta che gli uni e gli altri, assalitori e assaliti, a momenti e senza distinzioni si infilzavano, magari fra loro, seguita a combattere. E qui, su, questo sperone, « quota mìtleottocentoquattordici, cadde una delle più leggendarie figure della guerra Coloniale e dì questa: l'alpino maggiore Annone, proposto alla medaglia d'oro e del quale già le cronache ammirate e commosse hanno diffusamente parlato. L'ingresso a Dibrà Il «Santo» come lo chiamavano gli alpini e che ancora adesso. , j<<"«»d° m lor presenza si pronun \c'a ll s"° "°'"e — »"'' villt° tr" «»» alpini una cosa simile — sent¬ tano sull'attenti, è morto prodi tortamente fulminato da una, pallottola nella schiena, ad opera ingloriosa di un franco tiratore che a pochi metri, occultato dalla nebbia e per di più nascosto dietro un cespuglio, lo prese di mira. Il «Santo» si abbandonò nelle braccia del suo aiutante tenente Pietra e il giorno dopo, portato a braccia in testa del suo Battaglione «Mondovi:-, immediatamente seguito dai feriti, fece l'ingresso a Dibrà conquistata. Un ragazzino jugosluvo a nome Bilar e che sulla linea di fuoco era stato aiutato a salvarsi dal Maggiore seguiva singhiozzando la salma gloriosa che tanta luce diffonde sul suo Battaglione Monregalese. Il primo ad abbracciarlo è stato l'Eccellenza C'avallerò; il primo a portare il suo nome di bai- \ tesinto con il quale in guerra, anche il Battaglione si chiamava, è il figlio battezzato in Tonno, l'altra domenica, e che lui non ha veduto nemmeno in fotografia. Ernesto Quadrone

Luoghi citati: Africa Orientale, Carso, Durazzo, Edolo, Grecia, Italia, Pavia, Roma