La giostra sul termosifone

La giostra sul termosifone li. IP € § ¥ C SiCURf) La giostra sul termosifone u na mattina l'usciere entrò nella nostra stanza e disse: « Vitti, Mosca, Agosto, dal commisndatore Qarlandi ». Entrò proprio nello istante in cui Vitti, il piccolo Cahiouse, stava con l'orecchio a terra alla maniera indiana • per sentire, diceva, se dal corridoio arrivavano uscieri o funzionari a cavallo. Agosto-, Toro seduto, stava effettivamente seduto sul tavolo e fumava in una lunga pipa, o calumet. 10 pesavo i pacchi da cinquecento schede. Ho già detto che il nostro lavoro consisteva semplicemente nel compilar certe schede e nel metterle insieme sino a farne un pacco di cinquecento. Noioso contare fino a cinquecento. Per evitare la noia, noi ci servivamo di un pacco tipo fatto con cinquecento schede contate con coscienza: tutti gli altri li facevamo a occhio prendendo a modello il pacco tipo e tenendo questo in una mano e il nuovo pacco nell'altra: quando il peso e l'altexza ci sembravano uguali, dicevamo : « Ecco un pacco da cinquecento'» e con molta calma lo riponevamo negli scaffali. C'era, si, la verifica, di cui era incaricato un funzionario molto severo. Entrò', mi ricordo, una volta nella nostra stanza e chiese un pacco per contarne le schede. Immediatamente gli dentino il pacco tipo. « No » disse « ne vorrei un altro ». Era un furbo di tre cotte. Strano che non avesse fatto carriera. Con disinvoltura, ma pallidi dentro, se dentro sì può essere pallidi, gli porgemmo un altro pacco. Il funzionario che, mi ricordo, aveva folte sojiracciglia, si mise gli occhiali e cominciò a contare. « Una due tre... centoventi centoventuna centoventidue... ». « Cavaliere... » lo interruppe Agosta, o Toro Seduto. 11 cavaliere alzò gli occhi con aria interrogativa. « Scusate » disse Agosta: « Nulla, un pensiero... ». Il cavaliere ricominciò a contare: « Centoventidue... eravamo a centoventidue? ». « Veramente, cavaliere, non so ». jB avanti, sino all'ultima scheda. « Sono quattrocsntonovanta. Come va questa faccenda? ». « Vi assicuro, cavaliere, che sono cinquecento. Forse vi siete distratto ». <Distratto io? Impossibile». « Non distratto nel senso cattivo. Oh, cavaliere, sappiamo che voi non vi distraete mai. Ma, cosi, un pensiero che v'ha attraversato la mente come una rondine e ha scompigliato ì numeri... ». « Nella mia mente non passano rondini ». « Oh, cavaliere, non dite così: siete giovane ancora, e guai se non aveste rondini». « Ragazzi! ». « Ricontiamo, cavaliere? ». « Ricontiamo ». « Una due tre... duecentoqttarantadue, duecentoquarantatre... quattrocentonovantacinque... Come mai adesso quattrocentonovantacinque e prima quattrocentonovanta? ». « La rondine, cavaliere ». « In tutti i casi non sono cinquecento ». « Ricontiamo, cavaliere ». Lo guardavamo molto seriamente, pieni di rispetto. Ricominciò a contare, arrivò fino a duecentocinquanta, si fermò. «Rondine?» ebbe il coraggio di domandare Agosta. « Basta! » escloOmò il funzionario. « Credo che siano cinquecento. Andate al diavolo! ». E usci irritatissimo, ma in apparenza. Dentro il cuore gli volava una rondine di cui non si sarebbe accorto se non gliel'avessimo detto noi. O, cosa triste, credeva di avere nel cuore una rondine, povero cuore chiuso e grinzoso di vecchio funzionario, troppo piccolo, ormai, per contenere una rondine. Il commendator Garlandi faceva poi la verifica delle verifiche, Chiese un pacco e cominciò a contare insieme al funzionario dulia rondine. « Quattrocentonovantatre. Come va questa faccenda, cavaliere? ». « Commendatore, forse, contando, siste stato distratto da qualche cosa. Non, intendiamoci, che voi vi distraiate facilmente, ma, qualche volta, una rondine... ». « Una rondine? ». « Volevo dire un pensiero, commendatore. Un pensiero estraneo alle cose d'ufficio. Passa un momento, poi se ne va, ma scompiglia i numeri ». «Non ho pensieri estranei all'ufficio». « Oh, commendatore, alla vostra età? ». «Non dico, ma... Ricontiamo». Le schede erano quattrocento novantanove. « Come va questa faccenda? ». «La rondine, commendatore». « Forse avete ragione. Ricontiamo ». Ma, arrivato a duecentocinquanta, il commendator Garlandi si fermò. « Mi assicurate che sono cinquecento? ». « Cinquecento precise, commendatore ». E' per questo che senza preoccupazioni andavamo avanti col meraviglioso metodo del pacco tipo. « Vitti, Mosca, Agosta dal commendator Garlandi ». Io lasciai i pacchi, Agosta discese dal tavolo, Vitti si drizzò in piedi. Era a torso nudo. Come Piccolo Cahiouse, giovane indiano aiutante di Buffalo Bill, era naturale che fosse a torso nudo. Coma impiegato non poteva presentarsi così al capoufficio che lo chiamava per rimproverarlo. Si vestì in fretta e raggiunse me e Agosta sull'uscio del commendator Garlandi. « E' permesso, commendatore? ». « Avanti, acanti ». Ci disponemmo dinanzi al suo tavolo in rispettosa posizione di attenti, guardandolo fissamente negli occhi come immaginavamo dovessero fare tre impiegati modello dalla coscienza limpida come acqua di fonte. «Signor Mario Vitti, siete avvocato? ». «No, commendatore. Forse se fossi stato avvocato avrei potuto giovarvi? ». « Non si tratta di questo i disse seccamente il commendator Garlandi. « Se non siete avvocato, perchè sulla porta della vostra stanza quel cartellino con scritto: Avv. Mario Vitti?». « Avventizio, signor commendatore. Aobreviazione di avventizio ». «Non mi piacciono .simili scherzi. Voi giocate sull'equivoco ». « JVon gioco, signor commendatore. Vi giuro che sono in perfetta buona fede ». «Signor avventizio Vitti, e aignori avventizi Mosca e Agosta» prosegui il commendator Gar- landi col tono di uno che ha incominciato appena a vuotare il sacco dei rimproveri, « la faccenda dell'avventizio e dell'avvocato sarebbe niente. Il grave è che vi si accusa di poca voglia di lavorare... ». «Ma noi, signor commendatore...». « O per lo meno di leggerezza, di mancanza di serietà, di quella serietà, ricordatevelo signori, che dev'essere la prima dote di un impiegato. Tengo conto della vostra giovinezza, signori, e non starò ad infierire... ». Non sapevamo che cosa rispondere. Quell'essere chiamati signori ci schiacciava. « ...ma il signor Vitti è stato visto più volte « torso nudo. So anche, signori Mosca e Agosta, che in combutta col signor Vitti vi siete permessi di rapire più volte l'impiegato Morisani, un giovane dabbene, serio, amante del lavoro, che dopo l'ultimo rapimento è dovuto rimanere in casa alcuni giorni per la scossa nervosa. Mi si dice inolile che vi siete permessi di legarlo alle sbarre della finestra. Ora, ciò non può andare. Lavorare, signori, e dimenticare i giuochi e le follie. Questo è un ministero, non un asilo d'infanzia! » esclamò abbandonando improvvisamente il tono di voce calmo e pacato col quale aveva cominciato e condotto il discorso. E, insistendo sul concetto: «I ministeri» disse «sono ministeri, e gli asili d'infanzia asili d'infanzia! ». Verità limpide, come quando uno dice: «La guerra è la guerra» oppure: «Il danaro è il danaro ». Che cosa si può obiettare? «E soprattutto mi meraviglio di voi, signor Mosca, che come nipote di un nostro valoroso funzionario dovreste dare il buon esempio ». In virtù di mio zio, difatti, ero stato assunto come avventizio nel ministero. «Vostro zio è un lavoratore, vostro zio è un uomo di coscienza, vostro zio non conosce ozio o divertimento, vostro zio, signor Mosca, ha, come j si dice? il culto del dovere. Volete chiamarlo, per favore? ». M'inchinai, uscii, corsi a chiamare mio zio, col ! I 1 ; | ; | | | I I ; I cuore che mi tremava nel petto. Avevo paura di j mio zio. Recargli un dolore mi dispiaceva. Bussai \ piano alla sua porta. Silenzio. Girai delicatamente i la maniglia, feci capolino... « Vostro zio, signor Mosca, stanza? ». non è nella sua « C'è, signor commendatore » «Ha molto da fare?». «Dorme, signor commendatore». «La giostra sul termosifone! » — gridò a que- ] sto punto il commendator Garlandi battendo un gran pugno sul tavolo e facendo traballare il calamaio che il Piccolo Cahiouse fu pronto a fermare prima che si rovesciasse. « La giostra sul termosifone! Vi sembrano cose queste, da fare in un ministero? ». Io contai fino a tre, e al tre, come avevo previsto, il commendator Garlandi ripetè che i ministeri sono ministeri e i giardini d'infanzia giardini d'infanzia. Probabilmente egli ripeteva regolarmente questa frase ogni quarto d'ora. Vi sono frasi che sono come le comete: se ne può con precisione prevedere il passaggio e stabilire il ciclo. « La giostra sul termosifone » — disse ancora una volta il commendator Garlandi. — « Mi sapete dire che cos'è questa giostra sul termosifone? Me ne hanno parlato, non l'ho vista. Che cos'è ? ». Spiegare che cosa fosse era difficile, anche perchè bisognava entrare nel campo della fvs'wa. Come tutti sanno, l'aria calda è più leggera della fredda e tende ad innalzarsi. Dai termosifani, perciò, sale verso il soffitto una co- j Ioana d'aria che, convenientemente sfruttata, riesce a far girare un pezzo di cartone a forma di elicti posto orizzontalmente in equilibrio sulla cima di una bacchetta fissata al termosifone. Ritagliando nel cartone uno j [elica a quattro pale o più pale e appendendo alla estremità di esse sagome di cavallini di cartone alternati con leggeri campanelli, si ottiene una bellissima giostra che gira continuumente e girando suona con bellissimo effetto. Ora, come si può spiegare tutto ciò, e con serietà, a un-capo ufficio irritato ? « Commendatore ;> — disse Vitti — « se volete venire a vedere... ». «Andiamo », approvò il commendator Gualandi col tono di un giudice che si dispone a visitare ! i/ luogo di un delitto. I Usci per primo dalla stanza, e noi, rispettosi, 1 gli tenemmo dietro. Ma, chi sa perchè, senza ; paura. C'inoltrammo per il corridoio, e via via che ci | <irdcinawimo alla nostra sta>r:u si cominciava a ; sentire un leggero e grazioso suono di campanelli, | come di un gregge lontano, sperduto sui monti, in una mattina di primavera. | All'ingresso del commendator Garlandi, Fracassi e Palamà si levarono in piedi di scatto e salutarono cerimoniosamente. «Dov'è la giostra?». Fracassi gliela indicò, col fare di un maggiordomo che faccia gli onori di casa a un ministro. Senza dire «na parola, il commendator Garlandi si piantò, a gambe leggermente divaricate, ad osservarla, prima con disgusto, poi semplicemente con severità. La giostra, graziosa e variopinta, girava traballando, e i cavallini sembrava volassero. I cam| panellini, color d'argento, tintinnavano allegraI mente, e uno, il più piccolo di tutti, sembrava la I risata di un bambino. ; Prima con disgusto, poi semplicemente con seI verità, poi, tra il burbero e l'indifferente: « La colonna d'aria calda, non è vero? :•. « Precisamente, commendatore. Tende verso l'alto... ». « ...a causa della sua leggerezza, naturalmente. Cose imparate al liceo, e ancora mi atomo j qui». E si puntò un dito sulla fronte. «Cartone \ leggero, non è vero? Pesante, credo, non andrebbe, i per fermarla?». Basta premere sulla cima della bucch-.t'u, commendatore. Perchè il movimento Àcoiutnci, basta cessare dalla pressione. Così ». / E Agosta mostrò praticamente al éttmmsndator Garlandi il funzionamento della giostra sul termosifone. .] « Vedo, vedo », fece seccamente il commenda. ] tor Garlandi ridivenendo improvvisamente severo, e, data un'ultima occhiata alla giostra e fattoci un gesto di minaecki usci dalla nostra stanza e tornò nella sua. Ch,i sa perchè, non avevamo paura. Il pomeriggio, quando tomanfmo in ufficio, il commendator Garlandi già da fempo era al suo posto. I Mio sia, regolarmente, doratura, e per non disturbarlo passammo in punta ti piedi dinanzi alla sua porta. Così come in punta di pie/li passammo dinanzi alla porta del commenda'or Garlandi, da cui, leggero e grazioso, si sentixi venire — ma era vero o sognavamo? — un su/no di campanelli, come di un gregge lontano, sperduto sui monti, in una mattina di primavera. Mosca