CASTELLO IN VENDITA

CASTELLO IN VENDITA CASTELLO IN VENDITA TI castello era in vendita. Non c'importava molto del castello, del valore appena d'un milione. Ma il giardino circostante, confuso nella dubbia luce vespertina, ci attirava col suo mistero. Entrammo. Un servo taciturno ci consegnò a un altro parimenti silenzioso. Un terzo famiglio sopravvenne, squadrandoci con muta degnazione. Portava una era vatta bianca, e delle fedine di pari candidezza. E camminava senza rumore : quasi che, spiccato in quell'antico aspetto da una tela della quadreria di famiglia, non fosse innanzi a noi che il fantasma d'un domestico. In fondo a un cupo viale di bossi si profilò la porta del maniero: tetra, pur essa, come al tempo in cui i signori rivali vi inchiodavano un pipistrello in segno di sfida. Ora non vistava appiccato che il cartello della vendita. Nel prezzo di un milione era compreso anche il giardino. Lo attorniavano, a guisa di sigilli notarili, tante ragnatele vecchie e nuove: schiacciate, come impresse. Sui battenti il buio era già calato. Solo nelle cimase, risalendo, s'era raccolta la luce del tramonto, e ili pinnacolo portava in gloria un raggio di sole. Non. dava motto il guardia no accompagnatore, indicandoci volta a volta le torri, gli spioventi, le merlature, i piombatoi. E silenzio, silenzio era dovunque: un silenzio da notte anticipata, non interrotto che da uno stridìo d'acridi in amore. — Il grillo — fece la mia compagna, sottovoce. Fu tutto quello che potè dire, intimidita com'era. — Certo : — confermai — è il grillo che ci saluta, visto che nessuno qua dentro si fa vivo —. Mi riguardò obliquo il guardiano in cravatta bianca. Egli seguitava a sospettare, immagino, che nessuno di noi due fosse in possesso d'un milione. — Abbiamo l'aria troppo felice — spiegai nell'orecchio alla amica mia — per sembrare dei possidenti. Solo per questo i servitori ci trattano male. Indugiammo ancora a lungo nel parco, poiché io volevo, pri ma dell'acquisto eventuale, ren dermi conto d'ogni cosa. Certo, tanto silenzio un poco c'impressionava. Uccelli, pure in quell'ora crepuscolare propi zia ai canti, non si sentivano. Le piante erano ormai tutte, o qua si tutte, in dissoluzione, e non dovevano più attirare che delle nottole soanecchio6e, delle stri gi ammutolite. Disseccate tutte le acque del recinto, nessuna si faceva sentire più, e l'ultima gronda appariva tappata, non so come, da un musco lebbroso ro seido di vermi. Da tempo imme morabile, nessuno doveva aver dato là dentro un solo colpo di zappa. Formiche risalivano il filo d'una falciola arrugginita, ap pesa a un innaffiatoio dell'anno 1892, certo in disuso da allora. Pei rotti sentieri, o 6otto gli in trichi degli arbusti, non scopri vamo che locuste dalla bocca .sanguinante, o scarabei intenti ad una fossa, oppure bruchi, ramarri, chiocciole cornute: e ogni recesso ne aveva un raduno, co me se ne vedono in quei luttuo si, meticolosi quadretti degli animalisti fiamminghi. Ci sfio rarono il viso anche alcune di quelle farfalle, esili e d'un pallido azzurro, che vivono nei sottoboschi, fatte cieche dall'abitudine dell'ombra. All'ingresso di un viottolo, quasi ostruendolo con la sua tela, un grosso ragno strappò un grido alla mia donna. In segno di disprezzo, sempre senza dar parola, il domestico guardò da un'altra parte. — Hai ragione di spaventarti : — dissi. — Questo ragno malefico si direbbe il simbolo di questa casa maledetta. Oh, il più triste degli esseri, che si chiude da se stesso in un carcere ! Oh, il pazzo poeta, prigioniero del suo stesso sogno ! Come i poeti, e come i dementi, egli presume di chiudere un mondo dentro la sua trama; che invece impania soltanto lui, insieme a qualche ca davere d'insetto. Un pugno di mosche : ecco quello ch'egli ottiene, tessendo e ritessendo il suo sogno di seta ! Come il guardiano dava qualche segno d'impazienza, continuai: — Ho pensato, qualche volta, che le ragnatele non fossero che delle innocenti immaginazioni; che le mosche vi s'impigliassero solo per caso, e che solo allora i! ragno le trucidasse: ma solo p6r mantenere pulita l'opera sua, trasparente il suo capolavoro dalla pura forma di 6tella. Ma la verta, amica mia, è che i sogni non sono mai puri. Soltanto la materia è pura. Lo spirito è immondo. Forse che lo spirito non può tutto osare e violare? Ecco, appunto, la sua infamia. Esso sta ai centro d'ogni ragna tela che noi ci illudiamo di ordire, fantasia su fantasia, con ajrhi di rugiada e fili di luce, e invece non è che una mostruo sa, una miserabile trappola per invischiare delle anime ignare, e divorarle Muto pur sempre, il guardia nostvetarontea coscderodRTchatichpestabtevemteachuAngsBsafbvitdnCcfrmngcDdssgmvfmmsstdt n i o o e e no ci additò la pescheria del castello: un pullulante stagno, dove ogni tanto lo sgambettìo d'un tafano scattava al brulicare d'un rospo. E le falconiere, le fagianaie, pur esse deserte e devastate. Da una pusterla passammo a un rustico, e da questo a un cortile cieco, dove da un affresco svanito traluceva lo stemma degli antichi signori, entro un rozzo svolìo di cherubini, inchiodati al muro come pipistrelli. Riudimmo allora il nostro grillo. Tanto era forte, quello strido, che pareya sempre vicino. — Credimi: è la fantasia che avvelena la vita ; e forse gli antiromantici hanno ragione. A che serve l'immaginazione ? Semplice canto ci vuole. Vedi, ad esempio,' quel grillo nella sua tana. Quello si contenta del suo buco, del suo cri-ori : ed è contento. A che ha servito, viceversa, l'immaginazione di chi ha messo assieme tutte queste piante, tutte queste pietre? Che adesso il castello è iu vendita, e che nessuno lo vuole neppure per un milione. Entrammo a visitare l'interno Anche qui, gelo e silenzio. Rico noscemmo gli arazzi, i tappeti, gli argenti, dei vasi della dinastia Yuen, un letto di legno del Brasile. E i marmi, che nel castello erano tanti, e parevano aggravarne l'abbandono col loro freddo e il loro peso : m'armi bianchi di Luni, gialli di Fesse, verdi del Tirolo. Distinguemmo il cipollino delle Alpi dal granito di Baveno, un bronzo tedesco da uno fiorentino, una Madonna Celliniana da una di Céfrlo Crivelli. Stava questa Vergine, con una lagrima sulla gota, di fronte ad uno degli arazzi figurante Sant'Orsola fra le undicimila martirizzate, quale col seno mozzo, quale con l'omero sanguinante, aumentando la tragicità muta e spersa della stanza. Da una finestra mal chiusa, l'edera era entrata a strozzare una statua. E fra le bestie araldiche, stranissime e sinistre, sostenenti gli scudi coronati, distinguevamo alcune di quelle che già avevamo incontrate nel parco, in fondo ai viali putrescenti o in margine alle acque morte: forme di ramarri, di locuste; e uno sparviero ad ali aperte, una scrofa dal grugno osceno. L'in tero castello in vendita pareva da tanti segni, avere sottostato fin dai tempi dei tempi a una vera dannazione, nò serbare altra traccia che di crolli e ruine. Npdidsatcsescd o a o a . Non una d'amore. Non una di pace. La successione dei quadri, delle statue, dei trofei non era interrotta da una sola immagine di bimbo o di donna. Minacciose apparivano le panoplie, anche adesso che la ruggine aveva ottuso le spade, e una muffa ridicola correva sui cimieri orgogliosi. L'odio, benché disarmato, era in agguato ancora ; e si pensava che il pavimento avrebbe ceduto, qua o là, a una botola mortale. Ma più paurosa di tutto era la bocca del camino, slargata e negra come quella d'un mostro: un camino così vasto da accogliere tutta una quercia, o da cuocervi intero un daino delle selve, o il cignale che si reca in tavola coronato di rose rosse ! Dalla ramaglia bruciacchiata che v'era rimasta, non appena ci avvicinammo, vedemmo scappare un eorcio. — Qui — feci id, rincuorando la mia compagna ancora una volta sgomenta — verrà certa mente d'inverno il grillo: quel grillo che si fa sentire laggiù, e ch'è ormai l'unico signore del luogo. * Mi risovvenni, allora, di quanto m'avevano raccontato circa i signori del territorio. Era una storia quanto mai truce di con flitti, d'esili, d'avversità, di fallimenti. Uno dei castellani s'era rovinato al gioco, un altro l'ave vano ammazzato in rissa; il ter zo viveva ancora, paralitico e balbettante, in due stanzette confinate nel granaio, assistito da un servo che gli vuotava sotto gli occhi, impunito e cinico, le ultime bottiglie della dispensa, e ogni tanto doveva accorrere, ghignando, all'urlo dell'immobile padrone, terrorizzato per 'a vista d'un topo. La moglie era defunta, e i due figli erano dispersi, l'uuo in Africa, l'altro chissà dove, dopo varie peregrinazioni tra la bisca, l'ippodromo e il manicomio. E anche una sorella era finita, per disperazione, in un convento di clausura. La casa, pure nel suo mutismo, pareva rivelare tutti quei drammi da ogni suo crollo, da ogni sua crepa. Ritornammo fuori, nel parco, bisognosi di respiro. Ma il tonfo della porta, rinchiusa irosamente alle nostre spalle dal famiglio senza parole, ci parve la martellata d'una bara. Nel tramonto, il giardino appariva tutto preso entro una luce cenila e triste, quale mi ricor davo d'aver visto in una delle grsctsFspr più mirabili illustrazioni d'Al hnrto Martini, dove un elegiaco cimitero fitto di fronda'in fiore s'intitolava a un Notturno di Chopin. Anche qui dei fiori erano cresciuti in libertà, come sui tumuli appunto, e avevano odo- ri amari, forme attorte e selvag- i a e e o , r e o o o . , i , . e ci . e e gie. Come sul vento della sera risali, acuto, irrompente, forsennato, il canto del grillo, .unica sillaba di vita fra tanta morte, mi diodi a cercare la tana, nvano il guardiano mi guataa, spazientito. Li» tana era nascosta, com'è sempre la felicità. Finalmente la trovai. Era là sotto, l'ortottero, nella sua armatura di guerriero giapponese ; era là, animoso ed amoroso, fisso alla luce calante nell'attesa della sua stella. Non è dunque vero che ogni stella sia contemplata, nelle notti serene, da un grillo, e ohe le due infinite moltitudini, l'oscura e la luminosa, si comprendano? Questo, almeno, io l'ho sentito dire in Estonia: paese povero e felice, dove i sogni non hanno mai la cauta tristezza della ragnatela, ma l'immediata semplicità del canto ; vero paese di grilli, che di tutto ni confortano con niente, che non ambiscono ne a castelli in aria ne a castelli di pietra e che al loro modestissimo cantare non rinunzierebbero per tutto l'oro del mondo, privati di quel buco nell'erba, di quella fenditura nel camino. Nulla pos siede il grillo: però l'universo è suo; e anche là dove un castello celebre cade nell'estrema ruina, ecco che, vuote le stanze, marcite l'erbe, gli uomini dispersi, quel castello ancora è suo, e solamente suo... i signori hanno — Dunque, deciso ? Era il domestico in cravatta bianca che avendo, finalmente, perduta la pazienza, finalmente ci faceva sentire la sua voce. Gli risposi, con tutta grazia, che per adesso il milione non ce l'avevo Cioè avevamo, fra tutti e due una cartella della Lotteria di Merano che di milioni avrebbe potuto farcene guadagnare tre, vale a dire altri due castelli per giunta : ma per questo bisogna va attendere l'estrazione. Comunque, la mia decisione era presa. Coi tre milioni che Certamente allora avrei intascati, promettevo fin d'ora d'acquistare, non già il castello coi suo: marmi e i suoi tappeti, e nemmeno il parco con la 6ua pescheria e le sue piante rare ; ma soltanto, ecco, questa tana di grillo, non più larga d'un centimetro uè profonda di mezzo dito: a condizione, bene inteso, che ci stessi dentro, con la grazia di Dio e il permesso dei proprietari. Marco Ramperti

Persone citate: Chopin, Yuen

Luoghi citati: Africa, Baveno, Brasile, Estonia, Merano, Sant'orsola, Tirolo