I SETTE ROMANZI DI PIRANDELLO di Francesco Bernardelli

I SETTE ROMANZI DI PIRANDELLO I SETTE ROMANZI DI PIRANDELLO All'improvviso, in uno specchio, per via, ti scorgi, ti sorprendi diverso, nuovo; non sei tu, come ti sei sempre pensato, immaginalo, «visto»; quello elio ti ò apparso or ora è un cstra neo. Da quali ombre uscito? da quale incertezza di vita, o segreto, o presentimento? Aspetto di una realtà fugacissima che sta oltre il vano limite dei sensi e gli schemi dell'intelletto, quel tuo io inafferrabile ti colma di sgomento e di ribrezzo. Non v'è bisogno di dirlo, questa è di Pirandello; una delle suo tante esperienze, figure e tlimostrazio ni, a farci ben capire qual è la sciagurata situazione dell'uomo nel mondo. Tutta la vita rimane, così, estranea all'uomo. Che se la guardi, la scruti, la cerchi, ecco, 6ì allontana subitamente, 8i irrigidisce, si astrae — e come puoi allora, sottratta al moto incessante, alle circostanze che la giustificano, come puoi viverla veramente? E^se ci sei dentro, se la vivi, allora non la vedi più, non l'intendi. Problema della conoscenza? Senza dubbio; ma soprattutto ansietà dell'animo. Qui attorno si affollano tutti gli interrogativi pirandelliani, sull'unità dello spirito e la formazione della coscienza, sulle rappresentazioni che di noi, del nostro io, ci facciamo noi stessi e si fanno gli altri, sull'essere e il parere, sulla vita e la forma, la verità e la follìa. Ma è inutile insistere, sono coso divulgatissime. L'atteggiamento di Pirandello è quello di un insofferente, di un ribelle, di uno che della secolare saggezza umana, dei vari punti di equilibrio tra istinto e coscienza,, via via raggiunti e perduti e ritrovati in cerchi di luce più o meno vasti, più o meno delicati e approfonditi, non s'accontenta. Singolare non per la ricerca intellettuale, ma per la strenua, trepidante passione, per quel patire la vita, sentendola sfuggire disperatamente. E su questo, sì, è bene insistere, che Pirandello non fu un pensatore, fu un artista, un poeta; e non ci interessa, insomma, o almeno non è decisivo nei suo confronti sapere se egli abbia pensato rettamente o no ; ma come quel pensiero, nato da un indefinibile, pauroso sentimento, abbia agito poi sulla sua fantasia. Il che ben chiaro ci appariva anche in questi giorni, avendo sott'occhio, in un solo volume Omnibus di Arnoldo Mondadori, tutti i suoi romanzi. So no sette; e nelle molte pagine, appena proposti, ripresi, ricorrenti, scavati, incisi, si posson seguire i motivi, gli argomenti di quel suo preoccupato, doloroso e immaginoso ragionare e sottilizzare, e anche si può scorgere in che modo, e fino a che punto l'eccitamento intellettuale sia lievito felice e fecondo al sentimento e alla fantasia, e quando, sopraffatto, li intacchi e corroda e disgreghi: dalle persone o dai personaggi dell'Esclusa, romanzo naturalista, ai concetti di Unii, nessuno e centomila, romanzo tutto ideologico e astratto. * * "L'Esclusa è del '93, pubblicata del '901 ; e Pirandello si stupiva poi che il pubblico non ne avesse colto, sotto il verismo, l'intenzione umoristica, implicita nel fatto di quella sposa che, innocente, è cacciata di casa dal marito per un'apparenza veniale che l'accusa, e quando poi, sospinta, perseguitata dall'opinione pubblica si trova ad essere veramente colpevole, allora è ricercata dal marito, perdonata, riammessa nella famigliu e nella società. Ma più che in questa arguzia, e oltre l'aneddotica tipicamente naturalista e regionale, l'umorismo del romanzo si rivela in certe figurine di stravaganti e svagati e maniaci, nel ragionatore professor Blandino, in don Fifo due, comicissimo e di schietto gusto pirandelliano. Picchieftamento, ironico, di tratti brevi, acuti, apparentemente tu multuosi, che vi sorprendono non senza qualche artificio; iniziale caratterizzazione teatrale dei personaggi, tutti in piedi, gesticolanti, smaniosi, mobilissimi. E anche vi traspare — da un singolare stato d'animo,, tra la perplessità di fronte alla vita e il sarcasmo aggressivo — quella sua bizzarrìa, di lui umorista e poeta, che proprio dalle più unii li e ridevoli e vaneggianti mac chiette si direbbe prenda lo Bpun to, remoto, a fantasticate indefinitamente... Nel Turno (che è del 1902) questa coscienza umo ristica è tutta formata, vogliamo dire che ha spicco, accento, tono — e anche un po' di maniera Divertente romanzetto, con l'intreccio malizioso che lo regge nel vario respiro e gioco delle parti: sottolineature drammatiche, scatti burleschi ; breve, e fu detto anzi una lunga novella. Partecipa, infatti, in qualche modo, della felicità novellistica di Pirandello, che è un rapido esaurirsi della trovata nello scorcio del racconto. Le novelle di Pirandello di tanto eccellono di quanto l'ingegnosità, intrinseca al temperamento e all'intelletto di lui, ancor aderisce e rimane alterna al fremito lirico dell'in-enzione improvvisa. Ma che un manzo come / vecchi e i gio; ci lasci poi insoddisfatti, in quella gran ricchezza di cose, figure e avvenimenti, lo si deve non l'orse al fatto che è romanzo amplissimo, mentre l'ispirazione pirandelliana, il suo modo di investire c rappresentare la vita, non si presi crebbero fu detto — a impegni di lunga scrittura; ma lo si deve, se non erriamo, ad alcunché di più intimo: che Pirandello per istinto di poeta, e non diciamo d'uomo, si rifiutava in certa guisa alla storia, al senso unitario e di coerente durata, che è proprio della storia, pensata e trascritta. / vecchi e i giovani è romanzo storico, romanzo dei Fasci siciliani alla fino dell'Ottocento e dell'incomprensione e dell'urto di due generazioni, in anni di torbida corruzione e di fosche inquietudini; ma. pur ammesso il suo amore della terra, della patria, fervido, ardente, con qual fiducia e persuasione d'artista inizia Pirandello il racconto? Il paesaggio desolato, subito alla prima pagina, e Girgenti che si leva «attonita superstite nel vuoto d'un tempo senza vicende, nell'abbandono d'una miseria senza riparo», paiono proprio irresistibile richiamo allo scetticismo radicale, cosmico, cui Pirandello tante volte è approdato. E come agiranno, dunque, sul vuoto, sul cavo d'ombra del mondo e del destino, su quella profondità di smarrimento, coinè agiranno gli uomini? II tempo evocato può colorarli d se, non trattenerli in sè, non farli consistere ; apparenze, questo sì, svanenti fantasmi, abboz zi di creature che non riescono a raggiungere e adempiere la propria sorte, tanto più tormentate accese, impetuose, quanto più vacillante sia, sotto l'impeto o lo sforzo, la struttura della vita. Perciò il romanzo, che è denso come pochi, geniale, ispirato senza dubbio a carità del luogo natio, non ci comunica il gran fiato della storia, ma piuttosto ci dà della storia una rifrazione cruda e grottesca. Nella nutritissima sua varietà e fertilità ci lascia un po' disinteressati; e i personaggi, per queir agitazione, in quel molteplice furore di gesti, di parole, che invano giganteggia, ombra labile, sulla labilità della vita, diventano poi tutti compagni, tutti simili, tra la pazzia e la morte, nella fluente, irrimediabile tristezza universale. * * Cronologicamente, dal Turno a / vecchi c i giovani (1909) abbiamo fatto un salto, lasciando fuori quello che è, forse il capolavoro: Il fu Mattia Pascal (1904), o meglio il suo romanzo veramente esemplare ; altri direbbe tipico caratteristico rappresentativa. Perchè i momenti essenziali alla spiritualità di Pirandello vi sono espressi con una aderenza tra il fatto e l'idea, immediata e pronta, briosi, vivi, non ancor ridotti ad astratto gioco dialettico di analizzatore, quasi di sofista, come poi pur gli avvenne. Nel Fu, Mattia Pasca! i temi della conoscenza, della realtà che è in noi e fuori di noi, dell'identità psicologica, e via dicendo, sono già toccati, o presentiti, anziché in una trattazio ne, o in uno schema ideologico, entro l'ombra lucida, corposa, d'un racconto, che, modesto fatto di cronaca, accoglie i sensi, le allusioni di una più grande allegoria o metafora della vita e del destino. Attore a d'una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare », Mattia ha uno strano temperamento, svagato tra la riflessione e il capriccio, che all'avventura lo porta irresistibilmente nel suo vivere marginoso, dissociabile, s'insinua — naturalmente — la straordinaria, e inutile, liberazione. Di qui, dalla.creazione di un personaggio vivo, e già sull'orlo del paradosso, l'esistenza può apparire, <tutta, allo scrittore, come fantasia, possibilità, ipotesi. Ma concreta, ma articolata nell'evidenza, degli episodi, delle figure, del tempo, del paese. Perche questo inseguimento, questa co struzione fantastica di una vita non realmente vissuta, si parte da una realtà di poesia che la regge poi segretamente sempre negli scarti, negli sconfinament più audaci. L' incalcolabile piccolezza dell' uomo, il a tristo » privilegio di sentirsi vivere, i vaneggiare dello spirito, il pi randelliano, doloroso vaneggiare intorno alle cose supreme, non si perde nella concettosità, ma è introdotto e trascritto nella colorita vivezza favolistica, nel pittoresco di un'indimenticabile cronaca romanzesca. Concretezza chi non ritroveremo negli ultimi due romanzi: / quaderni di Serafino Gul'iio operatore e Uno, nessuno e centomila. Sui quali concluderemo queste noterelle, non senza aver prima accennato, fuggevolmente, a un altro romanzo del Pirandello, curioso assai: Giustino llnncella nato Boggiòlo. Pubblicato nel 1911 con il titolo Suo marito, esaurito, l'Autore, per particolari circostanze e ragioni di opportunità, non ne aveva permesso la ristampa; ma vent'auni dopo si era risoluto a ripubblicarlo, e a riscriverlo, anzi, da cima a fon do. La morte interruppe il lavoro di rifusione a poco meno della metà... E' facile scorgere nel libro un difetto di proporzioni, con quello squilibrio, già dalla critica osservato, tra la figura del marito e il dramma, delicatissimo, di Silvia Roncela. Ma v'è pure gran freschezza di aneddoti, e un senso acre e verde di umanità, e quel ritratto del marito faccendiere, infervorato, fino al parossismo, a propagare accrescere sfruttare la fama della moglie. Marito ridicolo, fatuo, e pur così appassionato, così ingenuo, così vero, con quel cuore segreto che nessuno gli vede, ch'egli stesso non si vede... * * L'energia e letizia di rappresentazione, realistico-t'antasiosa, del Fa Mattia Pascal non sono più raggiunti — si diceva — dal Pirandello negli ultimi due romanzi, ove la concitazione concettosa, l'affannoso ragionare, danno volentieri in un astrattismo ora melodrammatico ora paradossale e simbolistico. Così i Quaderni si riferiscono, sì, all'attualità, al mondo vivace del cinematografo, delle dive, ma non ci danno fatti e persone da crederci davvero; e rimangono tuttavia inerti, tra il dramma proposto e non affrontato e la proiezione di quel dramma su un vago schermo ideologico. Così, in Uno, nessuno e centomila, l'analisi, aggirandosi perdutamente attorno a una di quelle idee che si presentano a volte nella mente dell'uomo come irraggiungibile non. senso, che si vorrebbe tuttavia pensare e dimostrare, si fa via via vorticosa. L'io vuol vedersi come non-io, vuol realizzare in sè l'estraneo, anzi la serie degli estranei, che, dice Pirandello, sono in ognuno di noi; e dal moto incessante, dalla spola di questa paurosa manìa, ecco, è distrutta, svuotata dal di dentro ogni consistenza — verità e poesia — del mondo del romanzo. Ma poiché in un uomo e poeta come Pirandello non v'è momento, sia pur negativo nel"'economia generale dell'opera, che non abbia in sè, misteriosamente, la scintilla di un più profondo sentire, così, da questa aridità concettuale degli ultimi romanzi, balenano, prorompono, per bizzarro contrasto, alcuni dei momenti patetici di lui. Vi si scopre, in tratti impressionanti e fuggevoli, quell'angoscia cosmica che, tra la tenerezza e lo smarrimento e il dolore, doveva sempre più decisamente sospingerlo, negli ultimi anni, a spiare gli abissi. E' quel sentirsi soffocare, quel bisogno prepotente di « gridar fuori, in faccia'a tutti, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, tenuti per tanto tempo nascosti e segreti »; è lo sgomento delle necessità cieche, immutabili : la nascita, la carne, il tempo. « E nell'attimo del brivido, che ora mi faceva fremere alle radici i capelli, sentivo l'eternità e il gelo di questa infinita solitudine». Dall'orrendo buio, è nuova, libéralissima fantasia che, misteriosamente, gli ritorna, a impeti, a fiotti — la fantasia interrotta dei Giganti della montagna —: specie di fioritura incosciente, di dolce-vanente illusione o dispersione panica e sacra, ove pare esprimersi l'estremo suo patire. Pietà, fantastica pietà della natura. Senza nome, che nou gli conviene ormai più, il protagonista di Uno, nessuno e centomila ; e senza consistenza e senza pensiero e senza dolore ; confuso, perduto, sospeso, nel miracolo della terra, degli albe ri, del cielo, di tutte le apparen ze: « Io sono vivo e non conclu do. La vita non conclude. E non sa di nomi la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nu vola; domani libro o vento: i libro che leggo, il vento che bevo... ». Francesco Bernardelli