II Patto nella sua genesi e nelle sue prove vittoriose di Alfredo Signoretti

II Patto nella sua genesi e nelle sue prove vittoriose II Patto nella sua genesi e nelle sue prove vittoriose Due anni or sono, il conte Galeazzo Ciano e Gioachino von Ribbentrop apponevano a Berlino la firma al più importante documento internazionale della nuova storia, a quel Patto di alleanza fra l'Italia di Mussolini e la Germania di Hitler che fu subito contraddistinto dal nome di « Patto di acciaio ». Quanta ironia, quanto sarcasmo da parte di coloro che erano già nostri avversari, contro tale definizione! Oggi la commemorazione che avviene nella profondità degli spiriti e non nella estreriorità delle forme, trova i due popoli combattenti fianco a fianco; quegli articoli del Patto che avevano veramente un timbro d'acciaio, si sono concretati nel fuoco di mil le e mille ordigni di acciaio che colpiscono a morte il comune nemico. Gli scettici, gli ironici che credono di giudicare gli eventi e risolvere i problemi con un giro di frasi umoristiche non hanno mai fatto la storia che nasce e si alimenta di idee brucianti e di decisioni implacabili. Sintesi antiche e parallelismo moderno Gli osservatori stranieri che si pretendevano più acuti e sereni, basarono le loro argomentazioni sur un contrasto di origini millenarie fra l'Italia e la Germania, erodi della Romanità e del Germanesimo; vi potevano essere dei compromessi diplomatici — essi scrivevano — ma al momento delle risoluzioni supreme si sarebbe avuta la scissione fatale. La realtà ha dimostrato il contrario; ed essa, che è> il giudice inappellabile, conferma quello che a noi era già chiaro; che la lezioncina corrente di storia era di un superficialismo epidermico: Romanità e Germanesimo si erano spesso combattuti ma si erano sempre cercati anche nel combattimento tentando e realizzando delle sintesi storiche più o meno coscienti: la storia della civiltà europea è il prodotto degli urti e delle creazioni delle due maggiori idee-forza: Romanità e Germanesimo. Comunque si voglia interpretare il lontano passato giungendo ai secoli più vicini, si osserva che entrarono in gioco concezioni e forze le quali combatterono insieme e la Romanità e il Germanesimo, ostacolando loro, con tutti i mezzi, la possibilità di formare delle unità statali, unica via per gareggiare da pari a pari nelle vicende dell'età moderna; il risultato fu che solo molto tardi Italia e Germania riuscirono a conquistare le loro unità nazionali. Tale parallelismo e tale contemporaneità non furono fenomeni meramente casuali; vi era una interdipendenza di fattori, sia pure nascosta attraverso differenze ideologiche e complessità dinastico-politiche, che già balenò nel pensiero di Cavour, che fu compreso da Bismarck e che ebbe antiveggen te luminosità nella mente d Manzini. Nell'ultima fase delli lotta per il Risorgimento, dopo la vera rivoluzione bismarckiana che aveva sbloccato la Prussia dai vincoli di solidarietà asburgica, si sarebbe potuti addivenire a un completo sistema solidale italo-germanico; purtroppo il 1866 non fu che una fugace parentesi e subito si riimpose l'equivoco asburgico che non poteva essere risolto con la triplice alleanza, ma, come tutti gli equivoci determinati da una decadenza inarrestabile, non poteva essere eliminato che con le armi. La lotta contro Versaglia Le rivoluzioni liberatrici Col crollo dell' impero asburgico, il sincronismo e il parallelismo delle situazioni dei Popoli italiano e germanico divennero di giorno in giorno più limpidi ; gli errori e le colpe degli uomini che presiedettero alle decisioni di Versaglia affrettarono la chiarificazione. Con quella cecità che è propria degli uomini e degli aggregati in stato di senile incomprensione, e che infine rivela sempre una sua provvidenzialità, l'Italia al- ! leata e vittoriosa, la Germania nemica e sconfitta furono trattate alla stessa stregua; il parallelismo interrotto si riaffermò ; i Clemenceau, i Lloyd George non permisero che i diritti e i bisogni dell'Italia avessero il loro soddisfacimento, perchè ciò avrebbe turbato e minato l'egemonia plutocratica occidentale. Così si può ben dire che nel giugno 1919 tanto l'Italia quanto la Germania maturavano in sè le Rivoluzioni liberatrici. L'esperienza della guerra fu salutare per espellere logori pregiudizi; Mussolini ebbe subito precisa la visione che una| i ricostruzione europea non poteva basarsi che sulla piena collaborazione della Germania, in condizioni di perfetta eguaglianza; mai una direttiva, un atto della politica estera fascista furono in contraddizione con la fondamentale necessità di cooperazione della Germania. Il Duce che vedeva avvicinarsi la procella, il Duce che aveva da tempo indicato quelli che sarebbero stati gli anni cruciali, fece il tentativo più ardito per trattenere 1' Europa dall'abisso verso cui correva còlla proposta del Patto a Quattro, che avrebbe salvato un minimo di unità europea. Intanto anche la Rivoluzione nazista aveva trionfato, e Hitler era giunto al potere. L'Asse in funzione dall'impresa etiopica L'impresa etiopica, pernio-di tutta la situazione che si è venuta sviluppando e che si svilupperà, precipitò la chiarificazione dei rapporti fra Roma e Berlino; l'Asse non esisteva nemmeno di nome, ma fu subito un sistema funzionante per ! una superiore solidarietà di ineressi; nel marzo 1936, mentre noi battevamo le armate di Tafari, la Germania rioccupava militarmente la riva sinistra del Reno, momento basilare della lotta contro Versaglia. La folle e ignominiosa crociata sanzionista capeggiata dall'Inghilterra, la complicità con. la Spagna repubblicana contro la riscossa nazionale di Franco tolsero ogni dubbio sulla volontà conciliatrice delle democrazie; si ebbe così la prima visita a Berchtesgaden del conte Ciano nell'ottobre 1936; le molteplici affinità della politica di Roma e di Berlino ebbero un loro primo coordinamento, e il Duce, pochi giorni dopo, a Milano, consacrò definitivamente la parola Asse Dal 1936, il ritmo degli eventi si accelerò; la difficile guerra di Spagna vide formazioni di specializzati dell'esercito e dell'aviazione tedesca combattere insieme con le Divisioni italiane; Parigi e Londra cercavano di trovare dei punti deboli, ma l'Asse preveniva ogni sorpresa; il sistema di Versaglia era condannato perchè il blocco di 120 milioni di uomini, dal Mare del Nord al Mediterraneo, aveva spezzato un ordine iniquo che aveva quale suo principio informatore l'accerchiamento. Le tappe successive sono presenti nel ricordo di ciascuno; l'annessione dell'Austria, Monaco e la eliminazione del cuneo ceco nel cuore della Germania. Gli inglesi e i francesi si illusero spesso che l'Asse si sarebbe incrinato sotto la pressione degli avvenimenti; le esplosioni erano violente ma gli Uomini che erano al timone dei destini d'Italia e di Germania, sapevano guardare lontano, senza fossilizzarsi sulla rigidità di preconcetti riguardanti questioni scabrose ma particolari e su cui gli artefici di Versaglia avevano calcolato per impedire le possibilità di una collaborazione italo-tedesca. Monaco fu un respiro che non giovò ad una migliore comprensione dei dirigenti democratici; essi non pensarono che a prepararsi militarmente. Così quando, nel marzo e nell'a- prile del 1939, fu istituito il Protettorato sulla Boemia e Moravia e l'Albania si unì all'Italia, i dadi erano ormai gettati. La guerra non era più un interrogativo, era una certezza; sebbene la solidarietà operante tra Roma e Berlino avesse superato le prove più ardue, era opportuno fissarla in un documento definitivo che non lasciasse ombre nè margini, che evitasse e prevenisse le debolezze normalmente insite nelle alleanze approssimative. Il Patto d'acciaio non fu, quindi, una improvvisazione antistorica secondo le critiche e le ironie dei detrattori stranieri; fu il risultato logico di un parallelismo di interessi storici, culminati in una concordanza rivoluzionaria; sul terreno concreto, fu il documento che riassumeva una collaborazione di anni agitatissimi con la impostazione di tutti i problemi vitali per i due Popoli. Nulla fu lasciato al caso; forse soluzioni che si producono oggi ebbero fin d'allora chiare indicazioni. La non belligeranza concordata e fruttuosa Dal 22 maggio al 1° settembre, l'intervallo è minimo. Per uomini di Stato dalla sensibilità aperta e non avvelenata da un settarismo cieco, il Patto d'acciaio avrebbe dovuto costituire l'estremo richiamo alla realtà. L'oligarchia di Londra, aizzata da Roosevelt, voleva ad ogni costo la guerra, ed ebbe la guerra, Con intesa perfetta, l'Italia non partecipò immediatamente al conflitto armato, pur riaffermando apertamente le sue simpatie, le sue solidarietà, i suoi impegni. Si speculò molto sulla non-belligeranza italiana; le critiche e le ironie al Patto d'acciaio ebbero la loro più ampia efflorescenza; ma gli eventi successivi hanno provato al di là di ogni previsione quanto fosse saggia la decisione italiana, in accordo col Fuhrer, a vantaggio dell'Asse. Non si deve dar credito alle fanfaronate retrospettive di acidi scrittori nemici, secondo cui, nei settembre 1939, sarebbe stata una impresa facile colpire l'Italia a morte nel Mediterraneo, scendere nella valle Padana <s attaccare alle spalle la Germania. Piani fantasiosi, che hanno la loro suggestione nel fatto che non hanno avuto nemmeno ^n princi pio di attuazione ' l'Italia del 1939 non sarebbe stata diversa dall'Italia del 1940 e del 1941. Tuttavia è certo che gli anglo-francesi, principalmente per la loro preponderanza navale e per le loro posizioni africane, si sarebbero potuto giovare dell'apertura dei fronti italiani; e forse col nostro immediato intervento, la crisi danubiano-balcanica sarebbe scoppiata subito in condizioni meno favorevoli per le Potenze dell'Asse. Ma vi è una realtà ancora più certa: l'atteggiamento italiano attrasse su di sè notevoli forze nemiche in Europa e in Africa, per terra, per mare, per cielo. Preziose energie dei nemici furono sottratte alla lotta contro la Germania per prepararsi a fronteggiare l'incognita italiana; incognita, non enigma, poiché vi poteva essere inde terminatezza sul tempo, non sull'obiettivo di marcia. La nostra grande ora suonò nella consapevolezza delle aspre difficoltà da affrontare; si avvicina il primo anniversario della nostra entrata in guerra e il grande alleato ha visto di quale tempra siano gl'Italiani nella buona e sopra tutto nell'avversa fortuna. Il Patto di acciaio è stato consacrato nel sangue e nel sacrificio; Churchill ha cercato in un momento di rovesci di addentarlo con la sua bile velenosa; si è avuta la risposta di un popolo sicuro di sè stesso che ha continuato la sua strada durissima con una volontà arroventata. Ma il Patto d'acciaio ha avuto quest'anno un'altra prova ancor più significativa, quella del successo. Nelle alleanze è spesso l'ora della vittoria, ancor più che quella del combattimento, a suscitare le rivalità, le ambizioni, i contrasti. Italia e Germania hanno riportato insieme una vittoria risolutiva nella zona danubiano-balcanica, che nelle speranze, vecchie e nuove, degli avversari, avrebbe dovuto essere un terreno di antagonismi e di dissensi; a meno di un mese dal trionfo militare, quei territori hanno ricevuto il loro assetto dettato da una superiore visione di equità nei reciproci interessi e nelle reciproche aspirazioni. Le alleanze vivono della necessità della lotta comune e della lealtà dei contraenti. La alleanza tra l'Italia e la Germania ha vinto tutte le prove, del dubbio, del fuoco, del sangue, del successo; perciò quest'alleanza è giustamente legge e norma del nuovo ordine civile in Europa e nel mondo. Alfredo Signoretti gsuSdbe PtaZespnm«cuqptatennhlelefrdInvddill