LA PAURA DELL'ABBONDANZA di Amerigo Ruggiero

LA PAURA DELL'ABBONDANZA AMERICA ROOSEVELTIANA LA PAURA DELL'ABBONDANZA L'altra guerra ha dato agli Stati Uniti una colossale ricchezza effimera, dopo la quale è sopravvenuta la più colossale delle crisi economiche. E tutti lo ricordano NEW YORK, maggio. Il programma della difesa nazionale ha prodotto un certo « boom » nelle industrie di guerra che si riflette un po' su tutta l'industria in generale. Ma è un <; boom » malsano, artificioso, un « boom * su cui incombono incertezze e minacele d'ogni genere. La gente sente d'istinto ch'esso è precario, provvisorio, fondato su niente di solido e duraturo. Non è uno sviluppo normale dell'economia nazionale, ma un espediente a. cui si ricorre in periodi eccezionali per far fronte a necessità imprescindibili e che si metterà da parte non appena, queste saranno cessate. La reazione del pubblico pqalla modesta prosperità di cui si agiovano attualmente alcune cate gorie della popolazione è quella di uno strano timore che potrebbe lien definirsi ;-il timore dell'abbondanza ». Più che godere della relativa agiatezza che le industrie guerresche diffondono dopo anni di disoccupazione, di umiliazioni e di stenti tutti si preoccupano di quello che verrà dopo. Se ne preoccupano in tanto più che non c'è alcun piano in vista per rendere meno tragico e doloroso il sicuro sopraggiungere della contrazione industriale con l'usuale strascico di una enorme disoccupazione. Lo stato d'animo che descriviamo si è detcrminato fin dall'autunno dello scorso anno quando si mise mano al programma di espansione delle industrie concernenti la difesa. Gli interventisti che si lagnano dell'apatia dimostrata dal pubblico per l'esecuzione del programma stesso, fanno risalire al timore della futura smobilitazione delle forze operaie la mancanza di slancio e di entusiasmo che si nota tra la popolazione americana riguardo all'intensificazione della produzione. L'ansietà del futuro sovrasta come un pallio funereo su tutte le attività nazionali e ne paralizza il loro esplicarsi in pieno. Esperienza che insegna Quello di cui si lagnano gli interventisti è perfettamente vero. Ognuno ricorda come un terribile esempio il cui insegnamento non dev'essere mai perduto di vista, ciò che avvenne in seguito all'ultima guerra mondiale. Si ebbe allora la dimostrazione dolorosa che la prosperità derivante dalla guerra è fuggevole e destinata a svanire. Per anni la nazione americana ha mantenuto con fermezza ostinata il proponimento di non volerne più di tale prosperità e di cercare di limitarla il più rigorosamente possibile nel caso si verificasse senza decisa volontà di alcuno. Questo sentimento diffuso in tutte le classi sociali fu il fattore determinante delle cosiddette leggi di neutralità. Non si voleva ricadere nella follìa degli anni 1915-19 quando l'espansione dell'industria giunse all'incredibile, quando i « farmers » misero a coltivazione milioni di ettari di prati e di pascoli inaridendo il terreno, quando le innumerevoli schiere operaie impiegate in lavori di urgenza a salari altissimi accorsero ad affollare fino al limito della loro capacità i centri industriali. Fu una specie di esaltazione collettiva, un grandioso sogno ad occhi aperti, una fantasmagoria orgiastica di guadagni di consumi, di lusso, di divertimento. Quello che ne seguì è noto: le fabbriche attrezzate per una sovrapproduzione gigantesca rimasero immobili con le loro occhiaie vuote e il loro macchinario rugginoso al pari di giganteschi spettri ad ammonire gli imprevidenti del futuro sulla futilità di ricchezze rapidamente accumulate. Migliaia di « farms » furono vendute all'asta e i loro proprietari andarono ad aumentare le file dei lavoratori nomadi, operai a milioni furono gettati nei rigagnoli a vivere la vita umiliante e grama della carità pub blica. Questo ricordo terribile — lamentano gli interventisti ■— ha arrecato maggior danno di una dozzina di quinte colonne e di cinquanta senatori isolazionisti. Ecco perchè i grandi industriali, invece di allargare i loro impianti hanno passato tutto questo tempo a domandarsi che cosa ne avrebbero fatto dopo. Identica domanda che posero all'inizio della guerra agli inglesi venuti in America ad acquistare armi e munizioni: « Chi pagherà per le nuove fabbriche necessarie? E che cosa ne faremo dopo? t>. In sostanza, essi non vogliono andare incontro alle enormi perdite di capitali investiti che li attendono nel futuro. Masse operaie perplesse Nè tale timore è stato dileguato dalle assicurazioni del governo che s'è assunto praticamente tutti i rischi, ha loro accordato i crediti necessari, ed ha imposto sui cosiddetti extra-profitti di guerra tasse così modera te che quasi non si avvertono. I magnati dell'industria rimangono sotto il terrore della stessa capacità produttiva che i loro stabilimenti avranno acquistato quando la necessità della produzione bellica ad ollranza sarà cessata. Ma i grandi industriali non sono i soli a temere il « boom » dell'espansione. Lo temono anche i lavoratori. Un segno di questa paura lo si ha dal fatto che essi, mentre accettano prontamente qualsiasi lavoro si offre' loro, sono riluttanti ad abbandonare le loro residenze abituali per andarsi a stabilire nei centri dove sono impiegati. Preferiscono percorrere cento o centocinquanta chilometri al giorno, tra l'andata e il ritorno, in automobili di seconda, terza o quarta mano il cui mercato è diventato attivissimo. A loro volta i datori di lavoro occupano a grande maggioranza o- vtetlfdpetfzMnnslmptbpqr perai avventizi e provenienti di fuori piuttosto che mano d'opera locale che ha diritto alle garanzie ed ai provvedimenti sociali stabiliti per legge. Anche le autorità dei centri industriali bellici, quando si fa loro premura perchè costruiscano nuovi quartieri di cas? economiche per accogliere la popolazione operaia che vi afflu sce, allo scopo di evitare l'affol-lamento antigienico ed impedire!l'enorme aumento delle pigioni, scuotono la testa e prospettano quello che avverrà quando gli sta- una tassazione intollerabile per 1 miglioramenti cittadini e l'aggra- vio del « relief > ossia degli aiuti alla popolazione indigente che sa- (rà rimasta senza lavoro. Non sivogliono nuovi residenti stabili nelle comunità industriali. In quanto ai « farmers » essi at- tendono ancora di disfarsi delle eccedenze dei prodotti accumulatisi negli ultimi anni e non sentono la necessità di espandere le loro colture. La guerra passata fu per essi una fonte perenne di disillusioni come pure la causa prima delle condizioni disastrose e precarie in cui si trovano attualmente. La maggior parte, infatti, dei rappresentanti « isolazionisti ■» delle Due Camere provengono dai centri agricoli del Medio West. • Si sotterra il denaro I timori e le preoccupazioni di cui abbiamo fatto cenno hanno prodotto tra le masse uno stato d'animo difficile a definirsi: mentre da una parte esse continuano a protestarsi volenterose di combattere per la democrazia, dall'altra non dimostrano eccessivo entusiasmo per la preservazione di un ordine capitalistico ed industriale in cui debbono ritornare ad elemosinare un po' di lavoro !n un tempo futuro quando, secondo le tenibili esperienze passate, non vi sarà alcun lavoro disponibile. Nè coloro ' hanno denaro da investire o da conservare si mostrano più fidu- ciosi. Qualcuno timidamente ac- quista buoni governativi, ma lamaggior parte lo ritira perfinodalle banche e preferisce infossar- lo Avrebbero l'onoortnnitn come io. AvreDDero (opportunità come mai s'è presentata di acquistare azioni industriali che danno di- videndi assai alti in proporzione ai prezzi di costo delle azioni stesse. Ma i possessori di denaro non fanno più quistione di profitti. Essi sono presi da un terribile panico nel vedere il debito nazionale salire alle stelle dietro la spinta del programma di guerra e minacciare di futuro cataclisma la economia della nazione. Il meno che si aspettano è una deflazione post-bellica accompagnata da una tremenda disoccupazione con la conseguenza di una tassazione rovinosa che spazzerà via tutti i loro risparmi'. È meno di tutti, i fautori del « new deal » si aspettano che a ostilità terminate ogni cosa si metterà a posto automaticamente, dato che non esiste fino al momento presente alcun piano per far fronte ai problemi del dopoguerra. Essi sanno che prima dello scoppio della conflagrazione presente l'America non aveva ancora risolto nè il problema della produzione nè quello dell'impiego derivanti dall'ultima guerra. Per quanti sforzi facessero per venirne a capo essi incon trarono resistenze tremende nei gruppi conservatori che non volevano indebolito o distrutto il loro sistema. Il temporaneo sollie vo arrecato da programma della difesa non durerà a lungo e gli stessi problemi degli ultimi venti anni rimarranno intatti e minacciosi in attesa di una risoluzione radicale. Amerigo Ruggiero

Persone citate: America Rooseveltiana

Luoghi citati: America, New York, Stati Uniti