Il signore "spassoso,,

Il signore "spassoso,, FIGURE CHE SCOMPAIONO Il signore "spassoso,, ih Riti va va il sabato, tutti 1 AS sabati puntualmente, con £JtA la corriera delle nette. ' *~ Smontava per primo, tenendo lu valigetta di pelle nella destra e porgendo la sinistra a una signora che scendeva dopo di lui. Poi aspettava tutti gli altri con i quali aveva fatto le due ore di autocorriera, su per l'erta, fino al villaggio di mezza montagna, discreto luogo di villeggiatura per famiglie di medio ceto. Aspettava tutti gli altri, li riuniva in crocchio rumoroso e festoso. Assisteva compiaciuto ai baci e agli abbracci fra mogli e mariti, legali abbracci di fine settimana, dopo una separazione di sei giorni. Egli entrava cosi nell'albergo, capeggiando il gruppo composto di signore nei chiari abiti di villeggianti e di signori sudati, carichi di pacchi, viventi ritratti della noia e del caldo cittadino, dei quali erano ancora impregnati i loro vestiti scuri e tetri. — Ah signor Marchetti! Abbiamo avuto tre giorni di pioggia! Si è tanto sentito la vostra mancanza. Giovedì l'abbiamo detto tutte: Se il signor Marchetti fdSse qui... Marchetti sorrideva compiaciuto. Bisognava bene che lo riconoscessero. Quando c'era lui era tutt'altra cosa. Tutti sapevano come passare il tempo. — Fra una settimana, signore, è il ferragosto. Starò dieci giorni quassù. Un applauso salutava quelle parole. Dagli occhi di tutti, scintillanti di gioia, si vedeva che aspettavano quelle giornate. Straordinarie giornate piene di promesse, di imprevisti, di sollazzi svariatissimi. Anche i mariti lo dicevano: « Quel Marchetti è inesauribile ». Sapete l'ultima? Egli si sottraeva alle lodi generali, correva su in camera a « darsi una lavatina ». Ritornava giù con i pantaloni di flanella, la camicia alla Robespierre, le scarpe bianche di tela. Già in divisa, insomma, nell'immacolata divisa del villeggiante modello. Scendeva nel giardino dell'albergo, a baciar la mano alle vecchie signore, che facevano crocchio aspettando la campanella della cena. Quando il < sacro bronzo » (Marchetti lo chiamava cosi) tintinnava argentino, egli offriva il braccio alla signora più anziana e l'accompagnava In sala da pranzo. Faceva il suo ingresso trionfale, salutando a destra e a manca, inchinandosi a tutti i tavoli, poiché egli conosceva tutti. Sapeva accostarsi ai nuovi venuti, solitari e spaesati, aveva l'arte di conquistarli a un tratto e di portarli nella compagnia generale: — Signore e signori, vi presento l'avvocato Calderini. — Ma, signor Marchetti, io non faccio che il secondo anno di legge, mormorava il giovanotto tutto confuso. — E che importa? Voi lo sarete avvocato. E' un augurio. Venite, venite. E dite un po', voi che arrivate dalla città, la sapete l'ultima? L'ultima non era precisamente una barzelletta nuova nuova. Era quasi nuova, come i suoi pantaloni di flanella, fatti due anni prima, come la camicia alla Robespierre, comprata quell'anno che era andato a Varazze, come tutte le sue trovate, come tutta la sua vita, niente era perfettamente nuovo. Ma questa appunto era la garanzia del suo successo. Aveva barzellette collaudate, di sicuro effetto. A far del nuovo si rischia sempre di non essere capiti. Marchetti arrivava su il sabato, con tutto jl bagaglio di barzellette. Avrebbe potuto metter fuori, come le compagnie di aecond'ordlne, il cartello <: nuovo repertorio ». Ma le barzellette non erano che poca. cosa. Gli servivano di moneta spicciola, tanto per avviare stabilire i primi contatti, scaldare l'ambiente. Veniva poi il pezzo forte. Marchetti portava nel taschino del gilè un naso tìnto, uno di quei nasi di tela, rossi in punta e trasparenti alle froge. Era un ferro del mestiere. Infatti non passava sera che egli non sfoderasse la macchietta. Anche qui il repertorio era collaudato da anni di successi. Ripeteva le tiritere di Cnttica, sapeva a memoria / salamini di Petrolini e qualche tirata di Manara, di buona memoria. Aveva anche una canzoncina di Maldacea, un po' sporchetta. La eseguiva per soli uomini, alla sera tardi, quando le signore erano andate a dormire. C'era, è vero, la signora Mercedes, una sud-americana, che voleva sempre rimanere per sentirla. Ma pare non vi sia riuscita mai, a meno che il Marchetti non gliel'abbia canticchiata da solo a sola, nell'ora in cui gli altri andavano a fare il pisolino pomeridiano. Marchetti non faceva mai il pisolino. Come avrebbe potuto dormire lui, cosi attivo, così intraprendente, cosi dinamico? Era instancabile. Ogni sera una o due macchiette, due o tre imitazioni. La vecchia signora vedova Girotti, gli chiedeva sempre la tiritera del soldato di Cuttica: Sono impiegato del governo ». La ricordate tutti. La vecchietta rideva fino alle lagrime, abbandonandosi all'indietro nella poltrona di vimini e lasciando sfuggire dalle mani il pizzo all'uncinetto che faceva continuamente: un pizzo sempre uguale. Si calcola che nella sua vita ne abbia fatto venticinque chilometri. Marchetti era bravo tanto nelle macchiette, quanto nelle imitazioni. Per quest'ultime eccelleva nel rifare Gandusio, Zacconi e Musco. Imitava anche le voci degli animali, faceva il gatto, il cane, il porco... Nel fare il porco era imbattibile. I bambini glielo chiedevano spesso: « Signor Marchetti, par favore, fate il maiale ». Vecchie imitazioni direte voi. E' inutile insistere, Marchetti non aveva che repertorio assolutamente collaudato. Ma queste erano bazzecole. E i giochi di prestigio, dove li lasciate? Divertiva tutti con una bottiglia piena d'acqua e un cerino: — Ecco, signore e signori, x-ado a introdurre il dito nel collo della bottiglia, così... E il cerino, eccolo eccolo, va a salire alla superficie. Voitò. Fisica in famiglia Gli applausi scrosciavano. Faceva anche benissimo il famoso giocarello delle due forchette piantate nel tappo, in bilico sulla bottiglia, quello del bastone fra le due sedie distanti. Per farlo si toglieva la giacchetta e metteva in mostra la sua nitida camicia alla Robespierre. Annunciava all'uditorio questi spassi, dicendo: — Un po' di fisica in famiglia... Come finale tirava fuori un mazzo di carte e, con mossa assolutamente professionale, le stringeva fra il pollice e l'indice della destra lasciandole andare di colpo... Sorriso e colpetto: — Ora. signore e signori, andremo a fare un gioco di trasmissione del pensiero. Voi signora Girotti, sceglierete una carta. Ecco il mazzo. Tiratela fuori, fatela vedere a tutti, io mi volto dall'altra parte. Rimettetela nel mazzo. VrAlù. Io vado a mescolare le carte... Così. Non c'è trucco, non c'è inganno fai tirava su le maniche della giacca). La carta che voi avete scelto, signora Girotti, è il tre di cuori. — E' meraviglioso! Stupefacente! Marchetti si inchinava e ringraziava con un sorriso. I giorni di pioggia a Valmagra di Sotto, erano una tragedia. Addio passeggiate, addio gite. II salone dell'albergo rigurgitava di gente sfaccendata. Unica risorsa erano le annate della Scena Illustrata, nell'armadietto della sala di lettura. Quella collezione andava, a. ruba. Le vecchie signore facevano crocchio nell'angolo più riparato dalle correnti d'aria. Le signore più giovani si riunivano per lunghe partite a scttemezzo. Le quattro più mondane della colonia di villeggianti, giocavano a ramino: un centesimo al punto. La signora vedova Girotti aveva cercato di ùitrodurre « la bestia » ma senza successo. Fuori la pioggia cadeva fine fine. Noia, sbadigli, tristezza, voglia di far le valigie. Il «gioco del bacio» Se c'era Marchetti, no. Ah, se c'era Marchetti, le cose cambiavano. Disponeva egli stesso le sedie in circolo. Chiamava tutti a raccolta. Veniva fuori allora con il suo vasto, esauriente repertorio di giochi di società. Ne aveva una cinquantina almeno, tutti vari, tutti divertenti. Taluni di questi giochi l'avevano reso benemerito, sotto il punto di vista demografico. Era appunto giocando a « dame e cavalieri a che il ragionier Storelli, a Varazze per i bagni, aveva letto negli occhi della distinta e gentile signorina Robbiani, l'amore imperituro, che qualche mese dopo era stato coronato con le giuste nozze. E la signorina Robbiani aveva la sua brava dote. Non è un'opera buona, questa? II « gioco del bacio » era anche la sua specialità. Nessuno come Marchetti sapeva dirigerlo. E che dire di quello dei bigliettini? Ma l'irraggiungibile, l'eccelso, la Divina Commedia, la Nona Sinfonia di Marchetti, erano le penitenze. Quell'anno a Varazze era riuscito a far mettere in mutande un commendatore di Como. Senza scherzi. Nessuno come lui sapeva dire ad una signorina: — Ecco, andate fuori. Vedete quel signore grasso e calvo? Lo accosterete e gli direte:* Come mai voi cosi grasso e calvo, venite in montagna? La signorina usciva (tutti la stavano a guardare attraverso la vetrata), percorreva un tratto del piazzale, si accostava, rossa rossa, al signore grasso e calvo e mormorava la frase corrente: k Signore, è una penitenza... Noi giochiamo a « pizzico e non rido »... Devo dirvi...». E snocciolava l'insolenza di fabbricazione marchettiana. Si vedeva il signore grasso e calvo sorridere e levare il cappello a quella stupidona che veniva via sganascian¬ dosi e nascondendo il volto tra le mani... Marchetti non era un'eccezione. Esistevano questi tipi. Non c'era luogo di villeggiatura che non ne possedesse almeno uno. Parevano suscitati e incoraggiati dagli enti turistici per far dimenticale la noia di certe residenze. Macchiettisti falliti, tenori sfiatati, attori mancati, ragionieri senza impiego, borghesi senza capitali, celibi senza sogni, villeggianti senza scopo, questi signori passavano l'estate aiutando gli altri ad ammazzare il tempo. Erano i divertentoni tutto fare •>. Recitavano, ballavano, cantavano. Suonavano anche. Naturalmente il piano. Naturalmente a orecchio. Avevano un certo pezzo che attaccava con la Cavalcata dèlie Walkyrie e finiva con il valzer della Vedova allegra. Un pizzico di beneficienza Nel paesino c'erano del poveri ? I poveri erano il loro forte. Si aggrappavano a quei poveri, come naufraghi ad una tavola di salvezza. Improvvisavano un comitato e combinavano un banco di beneficenza o una pesca benefica. Nessuno come loro sapeva estorcere ai signori con villa propria statuine di alabastro, portaritratti di peluscio, tagliacarte di madreperla (souvenir de Venise). lampade a piede in ferro battuto e frangia rossa, servizi di cucchiaini per sei, completo di tovagliolini per dodici in tela di Fiandra. E nella piazza della chiesa, chi vendeva più biglietti di ogni altro? Lui, l'organizzatore, l'animatore, l'uomo fervido di iniziative, il tipo brillante, il mattacchione della compagnia. Se fossero mancati questi tipi come si sarebbero organizzate le recite benefiche estive dei villeggianti di mezza montagna? In grazia a loro rimasero vivi in repertorio lavori come la Maestrina, Scampolo, La nemica, I Ire sentimentali. Essi organizzavano la recita: erano gli impresari, i registi, i primi attori. Se non riuscivano che a trovare una signora di buona volontà decidevano di dare L'alba, il giorno e la notte e risolvevano il problema. Se non arrivano ad accendere del sacro fuoco filodrammatico neppure uno dei tristi confinati estivi, nel piccolo villaggio di montagna o nella desolata spiaggia tirrenica, tiravano fuori allora il ballo benefico. Recita o ballo non rendevano, detratte le spese, che. forse un centinaio di lire. L'organizzatore le portava in pompa magna al parroco che lo accoglieva con cordialità cattolica, apostolica e romana. Un ballo benefico... Vi pare una cosa da nulla? Bisognava provare. Intanto il salone dell'albergo doveva essere addobbato con i festoni, le ghirlande e le bandierine di carta. Poi bisognava scrivere in grande, su tela, la dicitura « ballo benefico ». E chi scriveva alla casa produttrice di spumanti per ikre venire i cotillons' Chi pensava alla :• scelta orchestrina *? Lui, sempre lui, a tutto lui. Aveva da fare per una settimana. Era infaticabile. Badava a tutto. Non dimenticava neppure il forfait con la Società degli autori. E la grande sera, eccolo là: era il primo di tutti a scendere nel salone, sugge- atramente illumina*'" con i lampioncini veneziani. Faceva. Una corsettina presso il palco dell'orchestra: Siamo tutti a posto? Mi raccomando, eh ragazzi. Animo, vivacità, brio. Quando vedete che la festa langue. un he] valzer all'antica. Lasciata l'orchestra si precipi- |tava nella sala, di lettura, ove in due grosse casse erano i col.ilìons. Cominciava, a tirarli fuori, ammirava soddisfatto 1 1 occhi da mandarino, lo cappelline a ombrello da cinesi, i fé: da turchi, le finte penne da indiani, le tube di carta, crespata (tipo igienica), le trombette con frangia, i fischietti, le raganelle. Sceglieva per sè il copricapo più vistoso. Non era l'anima della festa? Con quell'aggeggio in capo, andava alla porta. Compito nella giacchetta bianca, con lo syiarato inamidato, malgrado il cal- do opprimente. Rimaneva là ad 'accogliere le dame e i gentiluo- \ mini (nelle feste si chiamano co- . . ,,„ _ • , Si), aveva una parola e un sor- ! riso per tutti. Il salone ise la cosa avveniva in una spiaggia si , trattava invece della rotonda del-| lo stabilimento) si andava a po- co a poco animando. Verso le ! iiipoco nove e mezzo le danze <: fervevano s>. Fervevano tanto che a mezzanotte tutti erano stanchi. E allora, fuori le risorse! Distribuzione di cotillons e valzer all'antica. Godi, o popolo! La vedova Girotti, con II cappello da turco, faceva il primo giro di valzer con Marchetti, fra gli applausi degli astanti. Spesso l'organizzatore aveva in serbo una risorsa scintillante: la reginetta. Veniva scelta, 11 più delle volte, con un'oscena camorra. Il fatto provocava invidie, strascichi e malumori a non finire. Ma la festa aveva un suo tono. S Ili (rrfl7ÌP al «ìtrnnrP %! «Ul gldilB di Sigillile »Poco dopo mezzanotte era lui, sempre lui, che vedendo languire ancora il brio scapigliato che s'era proposto, radunava dame e cavalieri, per dirigere la quadriglia. Era insuperabile: comandava le figure con voce tonante, alta, in francese, ritto come un maggiordomo, fra le coppie: — Avant deux!... Balancé!... Promenade.'... Doublé chaine!... IA droitel... A gauche!... Doublé moulinet!... Changer les dames!... Grande chaine.'... Insomma, le danze fervevano animatissime fino a tarda ora. Alla fine il Marchetti era ancora in piedi sulla porta a salutare tutti; a baciar la mano alle signore che se ne andavano cariche di berrettini e di trombettine: « Sono per i miei bambini ». L'indemani, sulla spiaggia, i ragazzini si rincorrevano giocando agli indiani. Le signorinette loro giro in sandolino, con il "fez irosso di carta crespata. I più ! più giovani andavano a fare il | .piccini soffiavano a perdifiato nel- |le trombette con la frangia. A t perdifiato finché non le riempi- 1vano di sabbia. |Marchetti passava trionfante tali, quell'anno di Varazze!). da- vanti alle cabine, a vedersi quel- , , , „ ■ , , lo strascico della sua festa dan- zante. Una delle signore chiamava il suo piccolo: — Gigino, vieni qui. Dì grazie al signore. E' lui che mi ha dato la trombetta da portarti. Su, da bravo, digli grazie, se no te la riprendo... Il piccino, imbronciato, si guardava la punta dei piedi. Poi, afferrata la tromba, vi soffiava disperatamente, traendone quello strano e sgangherato suono che |fa da sfondo ambientale, sulle spiagge, all'indomani delle serate benefiche <: distintamente famigliari ». Nizza e Morbelli

Luoghi citati: Como, Nizza, Varazze