Davanti a Sollum di Giovanni Artieri

Davanti a Sollum Davanti a Sollum Adesso che i nostri son tornati davanti a Sollum mi vien di riandarci anch'io ricordando l'ultima volta che vi fui, nel tetro novembre scorso, e vidi la pioggia nel deserto. 1 ciuffi di sparto ne erano tutti rinverditi e lavati, la polvere rossa impastata si stendeva come una palude prosciugata a mezzo, rotta da specchi giallastri. Pochi vaganti cammelli vi riflettevano le loro sagome preistoriche e, stranamente ubbriachi d'acqua, levavano il muso al cielo per bere la pioggia o lanciare il loro mugolo folle e infantile. Incontrai dinnanzi a Sollum fac ce nuove. Truppa fresca venuta avanti per i lavori della strada, quella strada di cui non si potette mai parlare, neppure per vaghi accenni e che fu il nostro grande segreto. Vedevo uniformi nuove del Genio, dell'Artiglieria, della Fanteria, coi trofei metallici lucidi e intatti alle bustine, le stellette a posto, le scarpe e i pantaloni freschi. Stavano a riattare le banchine della via Balbia, nelle estreme propaggini presso Ridotta Capuzzo o, più avanti, al raccordo con la nuova strada presso le macerie di Mus'aid. Una banchina è quella lista di terreno scoperto aggiunta alla strada bitumata, perchè un veicolo possa sorpassare l'altro. Credevo fosse un tratto lasciato bianco, semplicemente, come il margine del foglio della macchina da scrivere, imparai invece che va costrutto, fondato Baldamente 60vra un fosso parallelo, empito di bracciante compatto, rincalcato e vuole una fatica di mani, assai dura, a cui sotto la pioggia quei soldati erano intenti. Ter tutta quella strada lunga ebbi modo di vedere una molteplicità di lavori, fatti solo di pietra e di mano. Imparai le loro difficoltà e il loro peso e quanto sia semplice pensare ad una pietra che ne salda un'altra e come complicato arrivarvi. Pioveva a grandi e solenni scrosci. I soldati, pazienti, se ne stavano ai loro posti, in piedi, che seduti nel padule di fango non era possibile. Guardavano intenti e silenziosi l'acqua colmare i fossi delle banchine, scorrere tra le imbrecciate, dilavare i calci dei moschetti disposti a tripodi sul ciglio della strada. Impiedi, nella positura assorta e concentrata dei due contadini dell'» Angelus » di Millefc. * * Avevo ritrovato Bardia più accueciata e deserta sotto il graitcle orizzonte nuvoloso. Il minareto, la chiesetta, le case basse guaste dai bombardamenti navali guardavano il mare crucciato dall'alto del calanco. A quel tempo (ma adesso dev'essere lo stesso) gli inglesi venivano a bombardare il paese a gran bordate di pezzi da 381. Si tirarono i conti dei colpi arrivati a segno e si 'stabilì che fossero almeno settecento: un valore di sette milioni di ferro, acciaio, bronzo, esplosivi ; sprecato. La mania di tirare sul paesetto rivelava un modo del carattere infantile e crudele degli inglesi. Allora (come ora, io credo) noi non s'annetteva alcuna importanza militare a Porto Bardia. La guerra, allora (come ora, suppongo) girava al largo. Ma le grosse flotte britanniche venivano regolarmente a crivellare il villaggetto. Seminavano l'unica strada di enormi ogive, giganteschi frammenti di acciaio, abbattevano qualche casa, butteravano i muri, ferivano o uccidevano dei soldati e delle 6Uore di carità. Non so se a Porto Bardia, dopo la tanta guerra che vi è penetrata e vi stagna intorno, esista più qualcosa di quel piccolo museo raccolto pazientemente da un generale, ove vidi le prime spoglie degli inglesi: finissimi impermeabili trasparenti, fatti apposta per la sabbia e il vento del deserto, aste trasmettitrici divelto durante i primi combattimenti, dalle autoblindate ; il gagliardetto d'uno squadrone di carri armati; bei fucili, perfette mitragliatrici, lanciabombe, apparecchi fumogeni, cristalli verdi per guardare negli accecanti splendori del meriggio desertico ed altre cose comode e rifinite, strumenti da guerra da non sembrar fatti per la guerra, ma piuttosto per quei lussuosi diporti britannici ai quali provvede arnesi di lusso la ditta Mappiu e Webb. Avvenne in quel tempo (e me ne rimase ancora il ricordo inciso) che sulla spiaggia tra Bardia e Sollum venisse pescato l'equipaggio di un apparecchio! Sunderland abbattuto in mare' dai nostri : due ufficiali e un sottufficiale. I tre uomini avevano vagato, spersi, ventidue ore sul battellino di salvataggio, prima di approdare in mano ai nostri carabinieri. Li portarono a Bardia mezzo morti, stremati dalla fatica. Vennero asciugati, frizionati, rivestiti. Chiesero da mangiare. Avevano una gran fame. Li condussero alla mensa del presidio. Là dentro li vidi, già non più uomini comuni rivomitati dal mare, ma inglesi, qualcosa di diverso da un uomo comune. Mangiavano infatti, da un lato i due ufficiali e, lontano parecchi metri, ad uu altro desco, solo solo, il sottufficiale. Pareva nemmeno si conoscessero e s'era lontani le mille miglia dal pensare che tutti e tre avessero fissato, spalla a spalla, sulle balze delle onde, per ventitré ore la faccia della morie. * * Già in quel procelloso novembre la Ridotta Capuzzo era entrata nel dominio dei ricordi. Nò allora prevedemmo che sarebbe tornata all'attualità e la marea della guerra l'avrebbe una volta ancora sommersa. Quando la vidi l'ultima volta, diecimila cannonate e centinaia di bombardamenti dall'aria l'avevano frastagliata oonte un merletto: pure la sua forma primitiva non 6'era spersa del tutto. Le mura diroccate, le creste a merli, la cinta di aiole ove già iu quel tempo di aiole non v'era più traccia, l'arco d'ingresso coi due fasci littorii, la lapide dedicatoria al ca pitano aviatore Ferruccio Capuzzo, caduto nella guerra contro la Senussia, l'ucelliera nel bel cortile che al tempo di pace doveva risuouare di gorgheggi e zampilli, chiamavano alla mento altri luoghi di pace, feriti irrimediabilmente dalla guerra, e in questa inopinatamente divenuti famosi : l'Alcazar, il Seminario di Teruel, la Città Universitaria di Madrid. Lì dentro ai primordi della lotta ci s'era battuti per settimane senza tregua e quei fatti non vennero mai raccontati o raccontati male. Dalle mura di Ridotta Capuzzo vedemmo per la prima volta Sollum, quelle caserme alte, chiuse in sagome di antico maniero, traverso l'aria dorata e tremolante. Scoprimmo, sull'intonaco d'un muro sfracellato, questa odicina che trascrivo, spiraglio aperto sull'oscura lotta e sulle ore tormentose della Ridotta. Diceva: Pie noctoque PPinper vipilant-es Minime timentes, multo dispiacentea « bunnm » non plenilunio cnptamns Lnetiquo in laris nost.rts rcdea-musl Senza firma, c'era la data: 4 settembre 1940. Strano epigramma. L'aveva scritto un aspirante incaricato di scoprire là «luna» nemica, una luna ch'era la vampa dei grossi calibri inglesi, durante i bombardamenti notturni. Misteriosi versi : appaiono nel mio taccuino come l'annotazione di un graffito pompeiano. L'autore ignoto, forso morto nel fuoco e nel ferro, ha lasciato la poca musica di quell'ironico latino, leggera, malinconica, svanita. * * Dormii all'I!alfaya, in un ospedale situato sul costone. Bisogno dirvi, adesso, cosa sia quest'Halfaya perchè possiate capire anche qualche cosa della lotta di questi giorni attorno a Sollum. Si tratta di uno dei tanti pianori de Gebcl. La catena montuosa ac compagna il mare da vicino, non possiede creste o picchi o frastagliature. I venti secolari dell'interno hanno lavorato quella montagna litoranea, spianandola alla sommità a modo di tavolato. E' comune in Africa il monto a cocuzzolo piatto come un bigliardo. Il tavoliere gebelico fa tutt'uno con lo spazio piallato dei deserti interni, quasi accompagnandolo agli immediati strapiombi sul mare. Sollum è una conca tra due costoni, uno è quello ove son costruite lo Caserme, l'altro, dirimpettaio, è l'Halfaya. In basso è la spiaggia e la maceria della cittadina egiziana. Chi vuole rendere difficile il passaggio per la strada che scende dalle Caserme in basso e continua poi lungo costa, non ha che da mettersi sull'Halfaya e sparare. Così il 15 settembre dell'anno scorso quando vi fummo sotto, toccò conquistare il costone dell'Halfaya, per andare innanzi; così adesso, nei medesimi luoghi, italiani e tedeschi stanno combattendo per impadronirsi di quel pianoro maledetto. E' un sito terribile dove batte il vento gelato e quello ardente delle sabbie interne; non v'alligna il minimo arbusto e neppure il Ientisco della Marmarica, erba inutile, ma verde. Intravidi, arrivando alle tende dell'Ospedale, un certo traffico in mezzo al campeggio. Il cappellano e i suoi soldati di sanità s'ingegnavano di costruire una chiesetta. I soldati, tutti muratori di mestiere, erano andati a cavare pietre in un posto vicino, perchè in questa Marma rica la pietra stessa e dico quel la buona alle costruzioni, è difficilissima a trovarsi. Sassi squadrati si levavano in una breve e svelta architettura e perchè ueppur lì quel rozzo monumento non mancasse di qualche abbellimento, quei soldati si servivano d'innumerevoli bottiglie vuote, residuo delle mense divisionali, per dedurne i fondi d'un bel ver de 6ouro e, appiccicati sul profilo della cappella, ricordare a modo loro, il Duomo d'Orvieto o Santa Maria del Fiore. Certo quella cattedrali minima non esiste più sull'Halfaya ; vi son passate sopra troppe cannonate e bombe aeree,-troppi cingoli di carri armati e ruote d'artiglierie. *•* La strada sì; quella è rimasta, sono sicuro. La strada da Capuzzo a Sidi el Banani che in quel novembre procelloso andammo a vedere per tastarle il polso, saper quando sarebbe finita, perchè la finitura della strada significava molte cose. Io dico che non dovrebbe dimenticarsi quella strada, specialmente adesso, con questa gagliarda stagione di vittorie. Nacque sulla pista della prima avanzata. Por farne la massicciata si dovette, trasportare la piptra dalle valli e dalle cave del Gebel, per stenderla venne creato un cantiere lungo centocinquanta ' chilometri da Sollum a Sidi el Banani. Frammentato in tanti pezzi o ognuno con un numero di battaglione, in quest'insieme di cantieri durante tre mesi vissero migliaia di uomini immersi in una bolgia senza nome, di vento, di sabbia, di fatiche, di incredibili sofferenze. E fecero la strada. In quella fine di novembre ingombra di nuvole e di ghibli, correndo con un trattore d'artiglieria sullo spesso brecciame, li vidi quegli uomini dannati a spaccar pietre, perchè la strada potesse nascere, bella e solida, alla guerra. Per fare presto macinarono tutte le costruzioni di tufo e d'intonaco da Buq Buq a Sidi el Barrani : occorreva il polverino per la malta e non v'era diverso modo di procurarlo. Quella strada era un chiodo, un'ossessione e fu fatta. Poi gli inglesi la chiamarono Victory Road, via della Vittoria, quando oltrepassando Sollum entrarono in casa nostra. Adesso, ricordandola, quella strada, mi piace di pensare, possa ancora m'amarsi allo stesso modo; ma Via della Vittoria, all'italiana. Giovanni Artieri iiiiiimiiiimHiiiiiiiiiiitiiiiiHimiiiiiimiiiiiiiiiiiim

Persone citate: Alcazar, Capuzzo, Ferruccio Capuzzo, Sunderland, Victory, Webb

Luoghi citati: Africa, Madrid, Sidi El Banani, Teruel