I Combattenti dell'Impero

I Combattenti dell'Impero I Combattenti dell'Impero —————^—^______________________________________ n . , , . Da undici mesi non danno tregua a un nemico formidabilmente ag- guerrito, sapendo di dover fidare esclusivamente sulle proprie forze r r "~~™~m _____ \ Mentre si celebra l'anniversario della fondazione dell'Impero, il popolo italiano rivolge con orgoglio e con fierezza il suo pensiero ai valorosi che da undici mesi combattono strenuamente nell'Africa Orientale. Fino dal 10 giugno del 1940 essi conoscevano la vastità e l'importanza della parte loro assegnata; essi sapevano pure che dovevano lottare duramente contro un nemico formidabilmente agguerrito valendosi delle sole loro forze, senza alcuna possibilità di j rinforzi nè di rifornimenti. L'enorme estensione delle frontiere terrestri e quella delle coste sull'Oceano Indiano e sul Mar Rosso non hanno sgomentato questi forti figli d'Italia: neppure il pensiero che i territori confinanti erano da cinquanta anni saldamente organizzati, provvisti di attrezzatura industriale e di risorse economiche e con larghissime possibilità di rifornimenti di uomini, di mezzi, di viveri. Non è stata neppure trascurata la possibilità dell'aiuto americano al nemico. Tener duro Con tutto ciò, la lotta è stata affrontata con animo invitto e condotta anche al di là degli obiettivi prestabiliti. Quale era difatti la parte che dovevano svolgere le truppe dell'Impero? Quella di tenere duro fino all'ultimo. Orbene si è visto ! a Moiale, a Gallabat, a Cassala, a Dehel, ad Hargeisa, a Bulher, a Lafaruk e a Berbera che gli italiani non solamente hanno tenuto duro, ma per lungo tempo sono stati vittoriosamente all'offensiva. Ma nel dicembre 1940 e nel gennaio 1941 il nemico riceveva formidabili rinforzi di uomini e di mezzi meccanizzati. Agli inglesi si aggiungevano truppe di vario inteSrvlarecsaplpcilogmttl'tOmpnlvvvutaCpddqtllslcolore — specialmente indiane —, s, o e e e l . a a i e o n i i I o, a e a o e a l e a o e si o el aeu o n nonché forti reparti della Legione straniera francese. Si rese allora necessario raccogliere tutte le forze per la difesa dell'Impero contro l'assalto del nemico, che, già si prevedeva, sarebbe ormai stato condotto in glande stile. Il nemico contava di ottenere dei successi facili e rapidi. Due erano i punti sui quali egli faceva maggior assegnamento, e cioè la conquista totale dell'Africa Orientale Italiana in pochi mesi e la ribellione della popolazione. Quest'ultima doveva facilitare la liquidazione dell'Impero che era stata prevista al massimo per i primi dello scorso marzo. Tutto ciò si è risolto in uno scacco clamoroso per l'Inghilterra. E' vero che qualche sporadico episodio d: ribellione c'è stato, ma solamente in certe zone dove i rivoli dell'oro corruttore avevano ridestato o dato nuovo vigore ad una certa tradizione di brigantaggio, vecchia di secoli. Ma le popolazioni non hanno affatto partecipato alle losche mano™ inglesi, perchè esse dopo una esperienza di cinque anni, riconoscono che la civiltà italiana ha portato loro un benessere economico prima sconosciuto, le ha sottratte alle vessazioni, alle prepotenze, alle ruberie e ai delitti d'ogni genere dei vecchi capi abissini, e ha stabilito ovunque la vera giustizia. qmncbgccstsL'errore del nemico D'altra parte l'Inghilterra ha commesso un grosso errore psico- logico e politico.con,1 mcitare alla j sutassdsggribellione gli indigeni mettendo avanti il nome del disgraziato Tatari. La verità è che l'ex-Negus è odiato e disprezzato dalle tranquille e laboriose popolazioni dell'Africa Orientale Italiana. Tutti ricordano che egli raggiunse il trono attraverso l'uccisione di Ligg Jasu, che egli ha governato con i sistemi più barbari e che egli sì è sempre dimostrato di una viltà inconcepibile per gli abissini che amano i veri guerrieri e non quelli di cartapesta che fuggono in maniera romanzesca da Mai Ceu e poi si rifugiano precipitosamente a Gibuti carichi di oro e di mer-1 ci rubate, dopo avere ordinalo il saccheggio di Addis Abeba. i Della fedeltà delle popolazioni1iiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii e! indigene si ha una prova nel contegno dei battaglioni Amhara e Scioani che hanno dato in numerosi combattimenti singolari prove di ardimento e di valore. Un coefficiente importante della nostra resistenza in Africa Orientale è dato appunto dal fermo e leale contegno degli indigeni, che se si fossero ribellati in massa — come il nemico sperava — avrebbero reso la situazione assai più difficile. n piano strategico inglese per la conquista dell'Africa Orientale può, quindi, considerarsi come completamente fallito. Le truppe italiane tengono testa al nemico, lo immobilizzano, gli infliggono gravi perdite e lo costringono a mantenere laggiù forti contingenti di truppe ed una immensa quantità di materiale bellico, di cui l'Inghilterra avrebbe, specialmente ora, immenso bisogno altrove. Difatti la campagna in Africa Orientale non va considerata a sè. ma deve essere inquadrata nel piano generale della guerra, connessa cioè a situazioni militari più lontane. Per un esempio, se Cheren avesse resistito quindici giorni invece di cinquanta, il nemico avrebbe potuto mandare in tempo uomini e mezzi in Africa Settentrionale. Non è quindi azzardato affermare che la riconquista della Cirenaica si è potuta effettuare per merito della tenace resistenza dell'Impero. L'episodio della difesa di Cheren è uno dei più fulgidi di questa guerra, e sarà scritto a lettere d'oro nei fasti militari dell'Italia. Diario eroico MnGgtAtlgmtsretgpisEgdgguacnocsvGuardlamo 1 momenti più salienti: 13 marzo: I combattimenti assumono un carattere di decisa violenza, ci si impegna specie alla , stretta di Ander. 16-17-18: Tre giorni di lotta quasi ininterrotta. Monte Samamà, occupato dal nemico, viene da noi ripreso. Gli scozzesi attaccano cinque volte Monte Porcutà, e debbono infine rinunziare. Perdite gravi nostre, gravissime nemiche. Muore il generale Lorenzini. Si combatte giorno e notte; il nemico richiede continui rinforzi prestissimo; noi impieghiamo gli ultimi battaglioni. Il nemico lascia sul terreno « mucchi di cadaveri »: j tano ingostlnibiu per il riattamen- sono parole della comunicazione jufficiale. ; 19 marzo: Riconquistiamo Mon-jte Dalagorodac. 20: Nonostante tutto, siamo noi ^ad attaccare. Un belga catturatolsul Monte Sanchil dice che, alla Istretta di Sander, un battaglione'della Legione straniera francese è I stato semidistrutto. 21 : Attacco alla stretta di Don-1 golac, con forti formazioni di car-1 ri armati. I primi cinque giorni di battaglia ci costano: cinque ufficiali morti e cinquantacinque feriti; 170 nazionali morti e 350 feriti; 950 ascari morti e 1900 feriti. 23: Gli inglesi attaccano dap-mpertutto e sono respinti ; un ga- ' gliardetto della legione straniera francese viene preso alla stretta di Ander. A mezzanotte, attacchiamo noi Monte Dolagorodac, incontrandoci con forze ammassate, pronte ad attaccarci all'alba. Mandiamo a monte la minaccia, 26: Monte Sanachil, baluardo della difesa, tiene ancora. 27: Le posizioni nostre diven i i o e a i n n u -1 to della strada di Dongolac; irrompono nella piana i carri armati pesanti; ripiegamento, portando via tutti i mezzi e tutte le artiglierie, sotto la continua offesa dell'aviazione. 29: Gli inglesi attaccano sulla linea a cavallo della strada per Asmara; due battaglioni indigeni già decimati si immolano con coraggio leonino. Ci ritiriamo a est di Az-Taclesan, impiegando le ultime riserve (due battaglioni Granatieri, appena giunti da Addis Abeba). 30: Contrattacchiamo ma il ne- l mico si infiltra lungo la ferrovia i nella Valle dell'Anseba. i1 31: Lotta accanita nell Anseba iiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiHiiiiiiiiiiiiiii q"~~™~m _____ se a Az-Teclesan; corpo a corpo sul Monte Sciondoà; muore il colon- innello Borghese, comandante il 10" i aGranatieri. | c1" aprile; Dobbiamo cedere, ma'tgli ufficiali, compresi i feriti, por- stano al fuoco i reparti decimati., mAlle 16 ripieghiamo, quando le ar-iatiglierie nostre già hanno cessato mli fuoco per usura. tLa vittoria costò cara agli in-j iglesi. Non meno di 12-14 mila uo-. amini furono messi fuori combat-, timento. Nulla fase decisiva era1 sul posto il generale Wavell, chej ripete il piano della battaglia. Gli depisodi del valore delle nostre ; mtruppe sono innumerevoli. Un ; bgiorno, da un fortino assediato, vpiovono fra le truppe inglesi prò-1 ciettili incendiari di cui nessuno,. dsul momento, sa rendersi conto. ; mE una nuova arma di guerra de- ]gh italiani? No. Il fortino manca itdi munizioni ed allora i soldati isgettano sul nemico fiaschi e botti-iaglie piene di benzina e chiuse con|nuno stoppàccio infiammato. I l11 n j» » j. . cIl UUCa tì AOSta ; iI pUn altro giorno, un gruppo di ascari eritrei si arrende al nemico. I prigionieri vengono messi nei carri armati. Ma poco dopo si odono formidabili esplosioni. Che cosa è accaduto? Gli ascari, trascinati entro i carri armati, avevano delle bombe nascoste che avevano fatto esplodere. I gene. Kmtiggls notevole audacia e valore: rosi eritrei pagano tutti con laI tvita il loro gesto audace, ma i car-!mn armati sono distrutti. |tLe fasi della battaglia di Che-1lren furono seguite con orgoglio ndalla. Nazione che ebbe una nuova!Ilgconferma dell'eccezionale tempra dei nostri combattenti coloniali; ma anche il nemico dovette riconoscere il valore dei nostri soldati. Radio-Londra del 28 marzo comunicava: «Gli italiani hanno. opposto una forte resistenza» _iz«il numero delle nostre vittime è|Pstato superiore a quello delle pre- !cedenti operazioni» — «gli ita-Mliani hanno combattuto con co-'Traggio, pur considerando che non cavevano speranza di rinforzi ». qII collaboratore militare del- sVExchange Telegraph scriveva il l28 marzo: «L'assalto finale delle utruppe britanniche ha coinciso ncon il contrattacco degli italiani jcontro il forte di Dolagorodac. ! sTale assalto è stato condotto con AlE ancora: «Lo slancio degli at-! o jtaccanti italiani è tale che un loro a ; assalto è riuscito quasi a pene-; jtrare sul terreno in cui è stabilita v la sede del comando di brigata d ^imperiale, che difende quel fortejcle il generale comandante la stes-'t Isa brigata, con gli ufficiali delis'suo Stato Maggiore hanno dovuto ì c I intervenire nel combattimento, a corpo a corpo, con le pistole ini v1 pugno ». ] ]1 mel tiro ma che comprendono an-iL ' a a r i t s - Un altro corrispondente dal- dl'Exchange Telegraph scriveva il Id19 marzo: ■:: In Eritrea, la guarnì-; pgione di Cheren si difende con lgrande accanimento e con molta iscienza militare. Le truppe india- mne, non soltanto bene esercitate!cimprendono an->Lche molti montanari allenati pernle scalate, durano gran pena a l msormontare la resistenza di un,pavversario ugualmente ben alle- ]inato e che conosce a fondo il ter-;ireno che deve difendere. Dall'ini-;Sa a i zio della campagna coloniale, gli inglesi non avevano ancora trovato una resistenza cosi accanita e così efficace come quella di, Cheren. Pur riconoscendo che la1 eccezionale situazione di questa ] città nascosta nelle montagne fa-; cilita il compito dei difensori, l'alto comando britannico rende un vibrante omaggio al valore dei | soldati italiani, e in particolare a quello della Divisione Granatieri j di Savoia ». Condottiero e animatore delle! truppe in Africa Orientale è il Principe Amedeo di Savoia Ducaì d'Aosta, cresciuto alla scuola coloniale dello zio Duca degli A-, bruzzi. Egli ha iniziato la sua vita coloniale nell' Uebi Scebeli.l mentre stava sorgendo li Villaggio « Duca degli Abruzzi ». Gli indigeni lo chiamavano il figlio di «Sua Testa» (Sua Altezza) e fin da allora lo idolatravano. Quando in Somalia si sparse lai voce che il Principe Sabaudo sii sarebbe recato in Africa OrientaIle come Viceré, furono fatte per1 i diversi giorni, nelle Moschee, pre-1 : ghiere di ringraziamento. Al Duca d'Aosta, che continua' | così brillantemente le tradizioni | militari di Casa Savoia, gli ita. liani guardano oggi con un senti; mento di devota, profonda ammirazione. Sotto la guida di questo eroico Soldato, nell'Impero si resiste e si resisterà nonostante la grande sproporzione di mezzi. Le piogge dell'altipiano, che hanno inizio a fine maggio e terminano a settembre, potranno rallentare le operazioni e diminuire l'azione aerea, e ciò a tutto danno dei ne- ; mico. Perciò si resiste e si resisterà nel Galla Sidamo, nell'Amara, ad Alagi e in altri punti. La bandiera italiana rimane issata oltre il limite sperato dal 'nemico. i I NOSTRI FRONTI ESTENSIONE DEI FRONTI TERRESTRI ATTIVI In Italia verso la Francia km. 500 In A.O.I, verso il Kenta e Sudan km. 3150 In A.O.I, verso la Somalia britannica . : km. 1200 ESTENSIONE DEI FRONTI DA PRESIDIARE In Italia contro la Jugoslavia km. 279 In Albania contro la Jugoslavia km. 349

Persone citate: Amedeo Di Savoia, Kenta, Lorenzini, Monte Porcutà