LA MEDITAZIONE DEL BOSCO di Filippo Burzio

LA MEDITAZIONE DEL BOSCO LA MEDITAZIONE DEL BOSCO E' giusto che, ai loro bei toltifi, i conventi sorgessero sul limitare delle foreste, quando non addirittura nel folto, che schiarivano di brevi radure pei cólti, onde la parca mensa degli eremiti si pasceva: gli uomini della meditazione (che osava allora ancora esser preghiera) trovavano ivi l'atmosfera più propizia — l'ombra, il silenzio e, sotto le volte vegetali, quella pia limi (azione di orizzonti, che acuiva la vista interiore. E' giusto che anche noi volgiamo al prossimo bosco un passo meno incerto, oggi che, dopo giorni oscuri, un raggio di luce sembra schiarire alquanto la nostra cura, e accendere la sommità di una speranza ! All'amica solitudine, ove nasce tutto quel che al mondo ha un valore, va spontaneamente, e si confida, la primizia di questa rinascita, che tante altre precedettero, e tante ancora, forse, seguiranno; ignare nella lor fortuna alterna, vanente oltre i confini dello sguardo mortale a noi concesso, su un frutto nascerà dalla vicenda che travagliò tutta una vita; se a quel che oggi è uno seguiranno un giorno i molti ; se, dove oggi è una polla solitaria, apparirà domani la scaturigine di un fiume. Salve bosco, e tu silenzio, ombra profonda, pietosa ai vinti che sommergi, complice dei precursori che proteggi. La tua ala pietosa si è ben ritratta dai giorni antichi, la tua chioma diradata, sulla terra che invecchia e si fa calva ; pure quel che ne resta è sufficiente a molte generazioni ancora di quei liberatori e consolatori, che recando in sè il futuro, e continuando la creazione, saprebbero far ombra e bosco della loro anima, e averne ricetto, se pur tutto fosse devastato all'esterno. Narrano che all'inizio dell'età moderna il furioso diboscamento della gran selva d'Europa, per fornire alimento a quelle fucine, di cui dicevano i poeti fantasiosi del tempo: nudate, o fuochi, a prepara) metalli... stesse per minacciare seriamente la nascente industria, quando l'adozione, su vasta sca ia, del carbon fossile ne salvò, incrementandone anzi prodigiosamente, le sorti. Non perciò il bosco riguadagnò terreno sopra la faccia della terra, che anzi il suo declino non conobbe soste, quasi una fatalità lo travolgesse; sicché conviene salutare con assai prudenti speranze le odierne iniziative a suo favore, che fioriscono uu po' dappertutto, per quanto serie siano le ragioni che le spingono: rinsaldare i frananti fianchi dei monti, favorendovi il regime dell'acque; moltiplicare le, sia pur esili, trasparenti e caduche selve dei pioppi, cariche della loro preziosa celili Iosa. Il bosco, coi suoi liberi e selvaggi abitatori, è natura, quintessenza dell'antica Natura: e una tendenza ormai annosa, e apparentemente irrefrenabile, della modernità sembra consistere nel devastare la Natura, riducendo progressivamente la varietà dell'ambiente a pochi tipi. Scomparse l'ima dopo l'altra specie animali e vegetali, distrutte dalla caccia umana, il mondo va assumendo un aspetto sempre più uniforme, quasi che preludesse a uno stato di cose in cui, ridotto il regno animale a qualche categoria di bestie domestiche, razionalmente allevate in serie ; ridotto il regno vegetale a qualche categoria di piante in dustriali, razionalmente coltivate in serie, l'umanità mirasse a rimaner sola in faccia ad un re gno minerale predominante, coni posto di pozzi di petrolio, di mi niere di ferro e di carbone ; non che del suo sostegno materiale quel tanto di calcare e silicio, o che so io, su cui essa dovrà pur sempre poggiare i piedi, quando ritorna dai suoi voli. Taluni grandi resistenze che perdurano per cui, fra gli animali, topi, mosche e formiche sembrano contrastare validamente alla specie ■umana il dominio del globo, non hanno probabilmente che un valore contingente; e, comunque, non sembrano contribuire gran che alla varietà e bellezza del creato. A volte vien fatto di pensare che un simile avviamento all'uniforme e all'automatico, non pure nell'ambiente esterno ma nel costume umano, sia un fenomeno quasi fatale, costituisca il processo di elaborazione, e il modo di essere, di una vera e propria nuova èra geologica — dopo quel le che i dotti chiamano paleolitica, o mesozoica, o quaternaria — ; èra nuova in cui l'uomo si caratterizzi come agente lisico, e fattore morfologico quasi esclusivo, accentrandosi in lui ogni capacità fattiva e trasformativa del pianeta: industrialismo e raziona!Ì2id.2Ìane, i due grandi strumenti della formidabile volontà economica e materialistica, che da due secoli si è impadronita dell'umanità, apparirebbero allora nel rango, e nella luce, di fattori cosmici ; alla pari, e in luogo, delle vecchie forze naturali — acqua, solo o vento — superate; dominatori ineluttabili nella fase novella del ciclo, che le leggi fisiche assegnano alla terra ; ispiratori, in •ultima analisi, perfino delle forme politiche e sociali, che i mio vi modi di vita, e i nuovi scopi drstlvipcntgrsmmtgdsdstdrtlEpmzn'idltsqsdsnanlsdsd«sasbntdicrncmccs e e o o a o i i e è di azione, suggeriscono all'umanità. Nei gridi di osanna dei zelatori de! tèmpo nuovo; nella desolata tristezza dei lodatori del tempo antico; dei poeti che, alKaniuz, intonano l'epicedio a In Un d'erbe famiglia e d'animali distrutta, della Natura condannata — è invero lo stesso senso di una fatalità, contro cui eia forse nobile, ma vano loti are. Da qualche decennio si è levato, sulle sommità del mondo intellettuale, un chiarore, che pochi spiriti osano già salutare come un'aurora; si è prodotto, nelle sfere del pensiero, mi fatte-nuovo, che pochi spiriti osano già scontare, o (come dicono i raffinati) «realizzare» in tutte le sue conseguenze. Proprio nel momento storico in cui le profonde masse si rivelano orinai compiutamente permeate (e con conseguenze politico-sociali imponenti) dell'ateismo e del determinismo scientifico, trionfanti a partire dal Seicento — proprio in questo momento le èlites spirituali tornano a intravvedere alla radice dell'universo, e come sua realtà più profonda, non la pretesa necessità meccanica, bensì la libertà dell'iniziativa creatrice. E' questo il periodo in cui, non più solo alla fantasia dei poeti, ma al pensiero altresì degli scienziati, la «materia», minacciata nel suo scettro, appare, anziché 'a base e la direttrice opaca e immutabile del cosmo, niente più di una semplice coagulazione dell'energia; se non forse, addirittura, una scoria, uu residuo, uu sottoprodotto della vita: sicché quelle stessi; «leggi fisiche» inesorabili, sotto il cui grigio pondo ideali; gemettero tre secoli, e si mortificò lo slancio di dieci generazioni, potrebbero non essere altro che «abitudini », più o meno costanti, della inerzia, a cui la materia si degrada. E' questo il periodo in cui, invece del determinismo positivistico, che sembrava reggere perfino le produzioni del genio umano, un « principio d'indeterminazione » sembra invece presiedere -perfino alle trasformazioni degli atomi: sicché appare probabile che il libro dell'universo e del destino non sia scritto in quei «caratteri geometrici », triangoli e quadrati, cui credeva Galileo, bensì in altri, più vitali e pregnanti, che più accendono la nostra speranza, e più fanno palpitare il nostro cuore. E' il periodo in cui, nel mondo che forse è animato fin nelle sue ime latebre, accanto alla «scienza di Newton», che ricerca il come dei fenomeni sta per acquistare (o riacquistar) cittadinanza la «scienza di Goethe ». che ricerca il loro perchè la scienza dell'interiore, accanto a quella dell'esterno; le oscuri intenzioni, i sensi arcani, gli aneliti diversi insiti e ambiguamente espressi nei diversi colori de fiori, nelle differenti forme degli esseri, che della loro adorabile varietà popolano, o bosco, il tuo troppo, oggi, svalutato mistero. E allora, .se forse cusì stanno le cose, o vecchio bosco, coraggio ! C'è forse in tutto questo quanto basta per far leva, e rigirare il mondo un'altra volta, e dalla parte che a noi piace. Se il destino che sembra travolgerti non è la fatalità di mia legge ineluttabile, ma il semplice dirizzone arbitrario di una umanità, ipnotizzata da tre secoli verso quei paradisi materiali, che la scienza le ha dischiuso, e cui una falsa religione la prosterna, allora non è impossibile che, spaventata dalle conseguenze che i suoi sapienti già le annunciano — il decadimento, cioè, verso l'automatismo e la follia, della pianta uomo, per opera dell'ambiente avvelenato che urbanesimo e industrialismo, eversori della Natura, le vanno foggiando; sedotta dai più floridi orizzonti ,ehe i suoi profeti già le accennano, essa, prima o poi, si decida a imbroccare un'altra via. Se anche un controllo completo del pianeta da parte dell'uomo fosse in certo qual modo inscritto nel suo dinamismo, perchè non potrebbe egli diventare uu buon sovrano, conservatore della preziosa varietà sottopostagli, anziché distruggerla, in virtù di un preteso imperativo economico, elle è più probabilmente mera cecità devastatrice? E intorno a questo suo regno «razionalizzato» non staranno pur sempre i cieli insondabili: E se da questo pianeta sottomesso, da questa breve proda terrena, egli pur mirasse un giorno a salpare verso le Costellazioni — non rimarrebbe pur sempre a lui davanti (e nel suo stesso petto misteriosamente operante), come una sfinge bifronte vanamente inseguita, di galassia in galassia, per l'infinito, quell'eterna Natura, quel Tutto di cui è suddito e parte e strumento, pur quando mira a dominarlo — a stringergli il cuore nello stesso timor panico che i suoi padri antichi provarono sulle rive terrestri dei mari non peraneo esplorati, e nell'ombra mistica del bosco, che orgogliosamente ora disprezza 1 , Filippo Burzio F

Persone citate: Goethe, Iosa, Newton

Luoghi citati: Europa