Un cassetto misterioso

Un cassetto misterioso IL POSTO SICURO Un cassetto misterioso II 1. letterato si chiama Palamà. E' alto, magro, curvo, porta occhiali spessissimi: se glieli togliessero, le tenebre gli piomberebbero intorno: chiunque potrebbe prenderlo per mano, dirgli: « Vieni con me in un giardino meraviglioso », condurlo invece sull'orlo di un precipizio, lasciarvelo cadere. Fortunatamente non esistono persone che facciano simili scherzi ai miopi. A trent'anni ha dovuto ridursi a entrare come avventizio in un ministero. Ci hanno messi In un enorme stanzone pieno di tavoli allineati; due delle pareti sono completamente ricoperte da scaffali; questi scaffali sono tanto alti che per arrivare alle ultime caselle bisogna arrampicarsi su una scala. Nella parete di fronte alla porta c'è una finestra, grandissima, che dà sul cortile, con una grata di ferro. Dopo tre giorni di silenzio: — E' una prigione ha detto Palamà, Nessuno di noi gli ha risposto, La porta è spalancata perchè il funzionario an ziano addetto alla nostra sorveglianza possa, in o a e qualunque momento, vedere se lavoriamo o no. Questo funzionario anziano è piccolissimo e cammina in punta di piedi: lo vediamo ogni tanto apparile sulla porta: ci guarda, sentiamo il suo sguardo sulle nostre nuche, poi sparisce per ricomparire dopo dieci minuti. E' un incubo. Per tre giorni abbiamo lavorato senza parlarci: siamo dieci avventizi nello stanzone, e non ci conosciamo ancora: i nostri cognomi, si, li sappiamo: li vediamo tutte le mattine sul foglio di presenza: Rossi, Fracassi,. Agosta, Vitti, Sorrentino, ma non so chi dei miei nove compagni sia Agosta, chi Vitti, chi Sorrentino. Verrà il momento in cui romperemo il silenzio e faremo conoscenza, ma per ora evitiamo perfino di guardarci. Buongiorno, buonasera, all'uscita e all'entrata, e basta. Tranne Palamà, siamo tutti giovani sui vent'anni che avevano sognato di volare con grandi ali bianche, e si trovano invece a dover guardare un cortile attraverso una grata di ferro. Compagni di sventura, e i compagni di sventura sul principio si odiano. Nel cortile ci sono alberi che tra poco fioriranno. Hanno messo già le prime foglie, e stamattina abbiamo veduto passare una ragazza: uno di noi ha fatto per correre alla grata, ma proprio in quel momento è apparso sulla porta il funzionano ctu cammina in punta di piedi per il corridoio. Ha detto: — Signor Vitti siete pregato di non muovei-vi dal vostro posto. Vitti ha fatto lun piccolo inchino con la testa, e s'è rimesso a lavorare. _ E' una prigione — ha ripetuto Palamà. Vitti mi sarà simpatico. " — Quella ragazza — ha detto il vicino di Vitti _ dev'essere la figlia del giardiniere. — Sei Agosta? — gli ho domandato. Aeosta s'è alzato dal tavolo, ha messo scherzosamente l'orecchio a terra alla maniera indiana poi s'è fatto vicino alla porta e allungando il collo ha dato una sbirciatina a destra e a sinistra per il c^rlI^°rcerlere non c.è _ ha esclamato allegramente; e poi. subito, guardando verso il cortile- _ E' una ragazza meravigliosa. Le ho già parlato. Ripasserà davanti alla finestra alle undici e mezzo. Sono le undici, ancora mezzora. Con Vitti e Agosta farò sicuramente amicizia. Organizziamo i turni di guardia alla porta. Ui prigione comincia a diventare meno pesante. — Ragazzi. — esclama Agosta — ho 1 impres¬ - sione che ci divertiremo. — Ed è un pericolo — osserva Palamà. — Sino a che odieremo questa prigione, faremo del tutto per uscirne. Guai a chi troverà divertenti queste quattro pareti: vi rimarrà per tutta la vita. — Sta zitto, Palamà — dice Agosta burlescamente rimproverandolo con l'indice. Da questo momento Palamà farà vita a sè. Forse gli è dispiaciuto anche che un ragazzo di vent'anni come Agosta gli abb.a dato del tu. China il capo e si rimette a contare le pratiche e a metterle l'una sull'altra sino a farne una catasta di cinquecento. Dimenticavo di spiegarvi il nostro lavoro, il quale richiedeva lutt'altro che dell'intelligenza. Consisteva nel contare certe vecchie, annose pratiche ingiallite dal tempo, farne pacchi da cinquecento ciascuno e disporli nelle caselle degli scaffali. Per un letterato come Palamà era un'umiliazione grave. Anche per noi, effettivamente, ma noi pensavamo alla ragazza del cortile che alle undici e mezzo sarebbe venuta alla grata. — Bisognerà domandarle se ha qualche amica. — Quante? — Vieni anche tu, Fracassi? — Io no, sono serio — risponde ridendo Fracassi. Ha ventisei anni, scrive poesie, e fra poco gli vorremo bene come a un fratello maggiore che non prende parte ai nostri giochi, ma si diverte a vederci giocare. La gioia degli altri non lo rende cattivo come Palamà. — Allora — dico — bastano due amiche. Una per me e una per Vitti? Che cosa nasconde nel cassetto Palamà? Ogni tanto lo apre e, miope com'è, vi ficca il viso dentro e sfoglia delle pagine. — Un libro sconcio, Palamà? — Stampe proibite ? Palamà si fa pallido e non risponde. Fracassi, pur sorridendo, ci fa cenno di non insistere. Sono le undici e mezzo. Il turno di guardia alla porta torco a Vitti. Io e Agosta ci facciamo alla finestra, e con le mani ci aggrappiamo alla grata. Intoniamo sommessamente un canto elei forzati inventato 11 per 11. Deh, vieni o giardiniera dal povero forza! che piange e più non spera riaver la libertà! Eccola. Arriva tutta sorridente. Frarass' si, sarà serio e gli vorremo bene come a un fratello maggiore, ma sale dritto in piedi sul tavolo per vederla, e sventola un fazzoletto in segno di gioia e di saluto. — Signorina, buongiorno. La giardinieretta ride e diventa rossa. Non sa che dire. Noi. per noi, non siamo che due poveri forzati, ma per lei siamo due Impiegati. Ci ammira. Per una giardinieretta, quale onore essere amata da un impiegato! — Signorina, ci vediamo stasera, all'uscita? — dice Agosta. La giardinieretta risponde di si con la testa. Agosta è innamorato e non pensa più a domandarle se ha due amiche. Glielo ricordo io. — Chiedile se ha due amiche. La giardinieretta pensa un po'. — Si — fa — ma una è sarta, l'altra è figlia di una portinaia ■— e ce lo dice quasi scusandosi di non poter offrire di meglio a due impiegati. Noi mandiamo urla di gioia. — A che ora? — Stasera alle... — All'armi! All'armi! — grida Vitti, e a. passetti velocissimi corre al suo posto e si rimette a lavorare. — A che ora? Presto! — Alle sette e mezzo! — Mettetevi carponi, signorina! Torniamo anche noi al nostro posto, e un istante dopo appare sulla porta il funzionario piccolissimo che ci guarda con occhi pieni di sospetto e rimane più del solito sulla soglia. Fissa a lungo la finestra, ma la brava giardinieretta s'è abbassata e la sua testa non si vede. I nostri cuori battono fortemente. Alla fine, il funzionario se ne va. — Uf! — fa Agosta. E 11 funzionario riappare. —• Chi ha fatto uf? — domanda. — L'ho fatto io, cavaliere — rispondiamo contemporaneamente io, Agosta e Vitti. Amici, da questo momento, per la vita e per la morte. — Io ho sentito un solo uf! — Cavaliere — interviene Fracassi che già è stimato dai superiori, e perciò può essere creduto — l'hanno fatto tutti e tre insieme, di modo ch'è naturale che abbiate avuto l'impressione di sentire un solo uf. — E perchè l'hanno fatto? Forse dò loro io noia? — Che dite mal, cavaliere? — risponde Fracassi. — Per noi è un piacere vedervi, e l'unico nostro rammarico è che non stiate qui stabilmente. L'hanno fatto per il gran caldo. — Metteremo una tenda alla finestra. — Per carità, no, cavaliere! — esclama Agosta. E mai grido fu più inopportuno del suo. II cavaliere se ne va. — Se mettono la tenda, siamo rovinati. Manca ancora tutto un pomeriggio per arrivare '.Ile sette e mezzo di stasera. Si esce. —■ Cavaliere, buongiorno. — Buon pranzo, commendatore. >— Dottore, buon appetito. Dovremmo tornare alle tre, ma 10 e Agosta siamo in ufficio alle due e mezzo per vedere che cosa c'è nel cassetto di Palamà. Maledizione! Siamo stati preceduti. Palamà è già al suo posto, e sta parlando animatamente con Fracassi. Vedendoci entrare richiude precipitosamente il cassetto e cessa di parlate. ,„Z\e^a- CÌ l7,Ìam° \S gÌaCClle' AS0Sta 5316 sulla scala e si mette a sedere m cima a uno scaf- fale. Salgo anelilo, e quando entra Vitti comin- ciamo a mandare acuti griderei!!, come le scimmie. Vitti guarda in su, si precipita sulla scala e la toglie. Poi : — Cavaliere — grida con ur.u voeetta sottile che ci fa però venire i brividi — cavaliere, venite a vedere che cosa fanno i vostri subalterni! — Bada — minaccia Agosta — che dico alla giardiniera di venite con un'amica sola. La minaccia non suona a vuoto. Vitti si affretta a riappoggiare la scala allo scaffale, noi scendia- mo, e mentre scendiamo entra il cavaliere. E' di buon umore. Ha il naso rosso. Probabil- mente a pranzo beve molto. „ 1 . . : , . . — Bravi ragazzi — dice fregandosi velocemente ie mani. — Vedo che si lavora. Capisco, andar su e giù coi pacchi è faticoso, ma... », — Oh, cavaliere, che dite mai? Ci fa piacere, Evita la vita sedentaria. E il cavaliere s'allontana canticchiando un'aria del Rigoletto. Il cavaliere, dunque, è pericoloso solo la mattina. Si cominria a star bene in questa prigione. Palamà esce un momento. — Di', Fracassi, che cos'ha Palamà nel cassetto? — Una tragedia in cinque atti. Carlo II. Ma non gli dite niente, mi raccomando. Palamà rientra. Ci alziamo in piedi di scatto e salutiamo rispettosamente. — Viva i drammaturghi — mormora Vitti. Fracassi si mette le mani nei capelli. Fortunatamente Palamà non ha sentito. Prende il nostro rispettoso saluto per una delle tante nostre „:„„„,,„ v„,,.i., .1. ,..,„.,.' , • sciocche burle da ragazzi, e si rimette al lavoro, Sapremo poi da I- racassi eh è una tragedia che ha scritto sette anni fa. Una tragedia lunghissima offerta a tutte le compagnie, e da tutte le com- pagnie, con una scusa o con l'altra, rifiutata. Ma Palamà, candido, spera ancora XX^L^ !"!».*. ™in°_Cl,i egli ogni tanto accenna con la testa sia il Tingia¬ ziamento che da anni sogna di fare a un pubblico osannante. — Me l'avevano accettata — ha detto a Fra- cassi — ma purtroppo "roprio in questi giorni la compagnia s'è sciolta. Ma nella prossima stagione la daranno sicuramente. Tutti quelli che l'hanno letta hanno detto ch'è bellissima. — E gli ha fatto vedere ingiallite lettere di scrittori e dt artisti. < Caro Palamà, ho letto la vostra tragedia, e vi assicuro che mi ha procurato non pochi momenti di alto godimento spirituale. Avete dinanzi a voi una strada sicura, amico mio. Disgraziatamente, io non ho conoscenze nel mondo teatrale, e mi trovo, perciò, nell'impossibilità di giovarvi. Ma sono certo che i vostri meriti vi serviranno più di qualsiasi raccomandazione. Voi rinnoverete il tea- tro, caro Palama, questo nostro vecchio teatro che ila tanto bisogno di un ingegno potente e originale come il vostro. Auguri, auguri, auguri s. E il povero Palamà queste lettere ingiallite mostra a tutti, con il cuore pieno ancora di una speranza che non vuol morire. Sono le sette? Si esce. Facciamoci belli. — Auguri — dice Fracassi. Usciamo, e alle sette e mezzo, nel luogo indicato, la giardinieretta ci aspetta con le due ami- che: la sarta, per Vitti, e la figlia della portinaia, per me Ha sedici anni, è piccola, bionda, con un viso -j 1 _„„'_ dangelo, ed è zoppa. Mosca

Luoghi citati: Agosta, Mosca