STORIA NOSTRA DI CESARE PASCARELLA

STORIA NOSTRA DI CESARE PASCARELLA STORIA NOSTRA DI CESARE PASCARELLA poema, per tanti anni inedito, pubblicato nell'anniversario della morte del Poeta a cura dell' Accademia d'Italia A un anno dalla morte di Cesare Pascarella l'Accademia d'Ita- Ha pubblica quel poema inedito, Slmili nostra, che per quarantacinque, anni fu amoroso travaglio dell'anfore di Villa Giuria. Atteso, attesissimo. Tra le indiscrezioni e lo congetture, e per quello che ne dicevano qua e là amici suoi e buoni intendenti, attuino a Storia nostra s'era anzi venuta creando quasi una leggenda. Qualcosa se ne sapeva; Pascarella aveva più di tùia volta dato lettura di certi brani, o in piccoli cerchi confidenziali, o di frónte a.vasti pubblici, come nel '9(>5-'906 a Roma e Napoli, e nel!' '11 al Teatro Argentina, quando l'entusiasmo degli ascol■ tatori fu grandissimo, e gli si gridò di stampare presto ditto il poema. Ma nò giudizio e approvazioni di letterati e maestri, come il Carducci, nè affettuose insistenze di famigliari, uè consenso di folle, valsero a indurre il poeta alla pubblicazione. Si facevano ipotesi. Non gli veniva dunque fatto di condurre l'opera a termine? O era, la sua, insoddisfazione, esitazione d'artista? d'uno dei più coscienziosi, lucidi, severi artisti d'Italia? O che altro? A Edoardo Bizzarri, suo avveduto biografo, il Pascarella aveva detto una volta che gli ampi poemi non possono mai essere perfetti, per quella necessità di alternare ai momenti di accesa ispirazione gli allacciamenti espositivi e narrativi. Ridurre al minimo dell'opportunità poetica e artistica questi passaggi è lavoro senza fine, e di un'estrema delicatezza ; sentiva il poeta la difficoltà di articolare in un tutto organico, agile e scorrente, quell'ampiezza di motivi che la stessa regola, concisa e conchinsa, del sonetto tendeva in certo modo a rompere in serie di frammenti? percepiva, con il suo gusto preciso, aderente, e che tirava piuttosto all'adusto e all'asciutto, il pericolo di estendere a grandiosi e numerosi cicli di storia quello che gli era venuto così bene nella misura ricca, ma contenuta, dei venticinque sonetti di Villa Gloria, dei cinquanta della Scoperta dell' A intricai Racconto e fantasiaMa v'è di più. Il racconto pa scarelliano è fatto per interpo sta persona, è messo in bocca a un personaggio, il famoso popolano-aedo, che, come già fu detto, vivo e autonomo, lo colora dsè, del suo sentimento, del suo carattere. Racconto immedesimato nel raccontatore a tal segnoe con tanta felicità, che a un certo punto non sai se sia più affascinante la storia in sè o l'invenzione del personaggio. Ora strattava di far uscire questo personaggio, realistico e fantasticodal suo compiuto momento poetico, dai poemetti di Villa Gloriti, della Scoperta, dai terminin cui aveva trovato ed espresso tutto se stesso in due volti, in due atteggiamenti, l'uno appassionato, lepido e immaginosol'altro appassionato, drammatico e austero: farlo uscire a riprendere nuovi spunti di raccontonuove occasioni di vita. Cosa sempre arrischiatissima ; che può avvenire, in certo modo, che il poeta, l'artista rifaccia d'impegnointellettualisticamente, l'ingenuità natia — e tutta poetica — che prima gli era venuta di getto, in un con la trovata e con la favola. E ad insistere su certe modulazioni e sfumature di psicologia e di linguaggio, c'è caso ddare un po' nel monotono. Si fa jier dire, per accennare a quellohe potevano essere i dubbi pascarelliani; che forse la coscienza, o il sospetto di tali difficoltà trattennero il mirabilartista, e gli impedirono dlicenziare il poema, che, condotto tanto innanzi per bellissime serie di sonetti, è rimasto tuttavia incompiuto. I sonetti dovevano essere 350; ne abbiamopubblicati ora in volume, 267nei quali la Commissione, istituita dall'Accademia d'Italia a curare l'edizione delle opere dePascarella, e composta da CarlFormichi, Antonio Baldini, Emilio Cecchi, Alessandro Luzio"Ugo Ojetti, Alfredo Schiaffiniha ritrovato e ricostituito, pequant'era possibile, la continuitdel poema, con quelle interra zioni e lacune, nello svolgimentdella storia, che sono via via in dicate: più ampie tra il Medioeve l'Epoca napoleonica. Sappiamo, dunque, è acquisitalla critica e chiaro che due soni modi tipici della poesia pasca relliana, e li distinse anche recentemente il già citato Bizzarril'uno più strettamente epico, duna tonalità aspra, eroica, dolorosa, quando (Villa Gloria) ipopolano racconta una gesta vissuta da lui, evoca fatti cui hpartecipato, con l'immediatezzdell'azione ancor presente nellmemoria, con l'appassionatezzingenita e severa di chi ritornalle più alte cose, ai nacri eventdella propria vita. L'altro è modo — riflessa e umoristica epopea — della Scoperta: qui nopiù le cose vissute, cui tutto l'anmo aderisce, e che ritornano nette e scolpite, ma un vagheggiamento' dell'immaginazione, uameno, se pur acceso fautasl care. Storie antiche, che hanno un po' della favola, un po' della moralità, e che s'illustrano, con delizioso anacronismo, dei costumi, dei pensieri, delle credenze, dei pregiudizi del festoso narratore, e della realtà minuta ohe 10 circonda. 11 sentimento, la passionalità, le idee fine Ottocento del popolano saputo, e così innocentemente sincero, e generoso e spiritoso, nel modo epico erano tutte trasfuse nell'oggetto, nell'intenzione e nell'impianto del racconto, qui svariano in lepidezze, saccenterie, freddure, immagini, malizie. Ora, di questo modo s'è servito, naturalmente, 11 Pascarella a narrare la Storia romana remota, leggendaria, tutta fantasia e sentenziosità, e quella medioevale, mentre dal Risorgimento in poi appare, quante più volte è consentito, ii racconto diretto, o diciamo meglio la drammatica rappresentazione, con qitel fremito orgoglioso e ingenuo della vita: E fino adesso, amiciii. s'è parlato De storia, e s'è discorso d'un soggetto Che, insomma, tutto quanto ciuer ch'ho [detto Nu' t'ho visto perch'io min ce so' stato, Ma quer che dico adesso cnmhia [aspetto, Perchè mica me l'hanno riccontato, Mica l'ho inteso di', mica l'ho letto... N*er Quarantotto me ce so' trovato! Roma antica deieDella romanità di Pascarella (e del suo famoso personaggio) 6'è parlato come di un sentimento, nobilissimo, augusto, che lo fa non già poeta romanesco, ma propriamente poeta di Roma, della grande Roma, storica e ideale ; ma come poi quel sentimento sorga spontaneo, ce lo dice il popolano, satireggiando: che, in quanto al forestiere, la storia se la legge e se la studia, ma poi, che ne sa, fuori dei libri? e i a i e i a l o , , r à o o o o ; i l a a a a a i l n n - E allora, dico io: Hi te sei messo A studia-' tutto quello che me diehi Fi poi me pili co' quer libro appi-esso. Te potrò sempre di' die. qiianuo stai Davanti a un latto dp li tempi antichi, f?i lo leggiti vor di' die nu' lo sai. Ma per il popolano che parla, e per gli altri che a Roma, gra ziadio, sono nati, e che, ragaz zini, facevano a sassate nel Cam po Vaccino, per costoro è tilt t'altro affare: Questo min te pó fatte maravija Perchè la storia si pe' l'antri è storia Pe' nojantri so' fatti de famija. • Fiero orgoglio, non senza una punta di bonaria malizia; e così, in confidenza, il popolano ti racconta la fondazione dell'Urbe. E' caratteristico di una mentalità incolta ed entusiasta, pia stica ed estrosa, qual'è la mentalità del personaggio di Pasca rella, non immaginare la storia come proiezione nel passato, ma anzi vederla tutta presente nell'attualità vivace del sentimento ; sicché, dai modi tuttavia leggendari del racconto, e pur su quel moto di variazione bizzarra, essa ci appare coeva alla fantasia di lui, storico e poeta istintivo ; e l'anacronismo, nei riferimenti al costume, agli usi, ai fatti stessi che il tempo ha sigillati, altro non è che comica espressione di una realtà poetica e morale che ci circonda, che ci fu sempre accanto, dai più antichi tempi Cose queste tanto più evidenti e persuasive in quell'aria sempre eguale di Roma eterna. Dunque : Qui ci a.vevcno tutto: la pianura, U inoliti, la campagna, l'acqua, er [vino... Tutto! Volevi annà in villeggiatura? Kcchete Arbano, Tivoli, Marino. Te piace er mare? Sòrti de le mura. Co' du' zompi te trovi a Fiumicino. Te piace de sfoggia, in architettura? Ecco la puzzolamt e er travertino. Qui er fiume pe' potéVce fa' li ponti, Qui l'acqua pe' 'potè' fa' le fontane. Qui Kipetta, Trastevere, li Monti... Tutte località predestinate A diventa' nell'epoche lontane Tutto quello che poi so' diventato. Festività e grottesco sgglllslcmlClcddMSmCSEDDSJNella parlata, ch'è tutta un gioco serrato di immagini e di idiotismi arguti, nel fraseggio, sostenuto, equilibrato con scaltra finezza, la narrazione s'avvia così, lepidamente, e raggiunge spesso una festività popolaresca, paesana, irresistibile. Così Romolo, naturalmente, ben sapeva a er punto de la giografia —- Der sito dove avrebbe fabbricato », e trova tutti consenzienti e ubbidienti ; ma purtroppo avviene il fattaccio : Che fu brutta! Lo so. J'era fratello ! Però pure uojantri lo sapemo Quunte vorte disse: Fermo, Remol Fermete! Sfatte fermo! E'invece quello, Uisogna proprio di' senza cervello. Je seguitava, peggio a fa' lo scemo... Il tono è questo, su per giù, in questa prima parte: più alto, più basso, s'intende, con scarti di felicissime incongruenze, con deliziose punte, estravaganti, con tratti che dal rustico e dal fa migliare vanno al grandioso, < al magnanimo. 11 Ratto delle Sabine : Je diremo: Va bene le Tentane. Li ponti, l'obelischi e le colonne: Ma intanto qui le circostanze umaneSo' queste: qui ce maucheno le donne... Cdsdamento di sagra campagnola, i reroicomica e maliziosa ; ma, perjdil Ratto delle Sabine ha un an- esempio, la Lega latina suggeri-j be o sce al popolano-poeta riflessioni gravi, di quella cara umoristica gravità tutta sua, sul destino e la missione di Roma ; e sempre l'occasione è colta e rivolta all'ammaestramento e alla dimostrazione e all'esaltazione dell'idea romana. A volte sul procedimento dimostrativo, comicamente didascalico ed esemplare, l'accento ci cade anche troppo. Ci si sente un po' il meccanismo, la fattura prestabilita, qualcosa, come certe forni alette, cadeuze dialogiche, riprese del discorso, da cui non sia facile sciogliersi. Ma ecco, il brio riprende il sopravvento, l'acutezza frulla via rapida, un paesaggio si schiude. Si ha da costruire la flotta romana? E' un affar serio; perchè, vedi, se t'imbarchi nel porto di Ripetta, lo capisci da te: Perchè lì qunnno tu me te sci messo Co' 'n par de remi drento a 'na IiurIchetta. Si cammini la riva te vie' appressu E quanno tu te fermi lei t'aspetta. Ma se invece me dai ch'uno cammina Dove insensihinuente l'acqua giallaDer fiume slarga e diventa turchina. E vede che la riva je se scosta. S'accorge che si vò rimane' a galla Je ce vò n'antra barca fatta apposta La storia di Roma antica si chiude nel grottesco — spinto, ma spinto assai — della decadenza, con Nerone, che dirige la banda di Vcssella, poi vengono i Cristiani e le catacombe, la caata dei Barbari, che appena sanno dello sfasciamento dell'impero — «... le cose, hai voja a fa' un mistero, — Quanno che so' Successe se risanno » — si precipitano giù, e a vedere queste bellezze d'Italia, con Genova, Torino, Venezia, il Duomo di Milano : « Figurete un po' tu come restorno!», il Medioevo, i Papi e gli Antipapi. Il popolano di Pascarella è non solo patriota, schietto, ardito, rude e di gran cuore; è anche — figlio del tempo ■— anticlericale. E qui, con il Papato, trova il fatto suo. Ma ecco la vena satirica 6Ì rifa meno appariscente, l'umorismo riprende a svariare. I Corsari ? altro grosso guaio ; perchè se una volta: «Te fosse mai venuta fantasia — De volò' fa' 'na gita, in compagnia — De quarche amico, a Palo o a Porto d'Anzo», c'era rischio di finire male assai ; le donne nostre, con « tutto quer tesoro — De bellezza che ci hanno d nelle «moschee» ove il turco, «sempre co' la mente — Incecalita sopra a l'antro sesso », ci passa le giornate «sdrajato sur sofà»; è gli uomini, poveracci!... Agli uomini si sa quel che poteva capitare ; sicché dopo esser passati nelle mani dell'aguzzinochirurgo : Je shucaveno er naso co' l'anelli, ,1'infilaveno un iiar de carzoncini De ra-so a sbuffi co' li campanelli-, E je toccava, tutto er giorno sano. A annà' de corsa a sbatte' li piattini Co' le gnacchere appresso ar gran [surtano. rgdefrhdcg"drsntcidsCvrPrttTcIl sorgere del sole n i , a , o , r e l ! , . . , , i n n e Toccato così l'estremo dell'invenzione burlesca pascarelliana. il tono si rialza. Siamo a Napo leone, all'annuncio del Risorgimento. Vita, beata, rio terra promessa! Che facpvrno? Tutte le matine (J-iraveno pe' Roma- a servi' messa Pe' vede' de scolasse l'ampolline. E poi su 'na vittura de rimessa Portaveno l'ingresi a, le Rovine De Roma Vecchia, Immezzo a le [Vacuine-, E poi magala,'ne la notte stessa Vestiti co' li fiori sur cappello Faceveno er bengalle a-r Coliseo Pe' ba!lajc davanti er saltarello... Ma si sentono le prime cannonate, il gran turbine napoleonico passa, ridesta il mondo, l'uomo nuovo appare. Sono i veterani napoleonici a- dare, un po per gioco, le prime istruzioni guerriere ai giovanetti, e già si sente l'irrequietezza, l'insoffereu za dei tempi oscuri e soffocati e si formano, trista necessità, le società segrete: ma a un tratto, in quel buio, ti si schiarisce qualcosa di grande. Come quando uno è sperduto nella notte: Nun se n'accorge e intanto la lucetta Se sparge drento all'aria, te cammina, Smorza le stelle, strida su l'erbetta, Te spegne doree dorce a la marina. Poi cominci a senti' lo lodoletta, E, intanto, quell'arietta razzentina, Che te tra-passa drento a la giacchetta, E te la senti qui drent'a ia schinu. Ricominci a vede le vie maestre. Ricominci a vede' su la montagna Sbrilluccich,' li vetri a le finestre; La notte se sprnfouna ne te gole Drento li nionti. e tutta la campagna Se svela* se fa d'oro, e sorte er sole. E dice Pascarella : Er sole pe' l'Italia fu Mazzini. Da quel bellissimo sorgere di sole proprio una luce uuova viene al poema di Pascarella. Netta passione, cognizione elementare, semplicistica, ma eroica, dei fatti, degli uomini, ricordo, preciso, della gesta rivoluzionaria e ei . guerresca, e quel patetico, quel lic di intimo e ^^™ licato che fu „ „: I/roprio, per spontanea generosi- à e gentilezza del sentire, del' , ? . ii„ ''ostro Itisorgimento, anche tra Uli umili, anche tra i rozzi e gli ncolti, tutto ciò volge in brev.- racconto, la rappresentazione.' i modi insieme concitati e aper i, famigliari ed alti, in cui il sCarducci — ascoltando dalla voce sel Pascarella alcuni di questi conetti — credeva di ravvisare pealizzato il suo sogno di un'epica bel riscatto nazionale. Gli uominijrbalzano d'impeto, tagliati in figU- ve muscolose, infocate, la batta- sglia sotto le mura di Roma gran-imde, assume, a tratti, con lucida rrudele potenza, nell'orrore e nel purore, aspetti di battaglia ome-;Aica, là, intorno alle mura troia-; nhe; e. in più, con un sentimento udi carità trepida amorosa filiale, ; lon una fiamma, dentro, per la ggiustizia. per l'indipendenza, peri m"umanità, che trasvolando da!|sdialetto, dall'intonazione popola- desca, dal motto plebeo, tosto ['allarga e sconfina nei(cieli del nostro più caro romanticismo pario. Poesia, per dir così, carduciana, e si pensa davvero a un nizio, a un preludio e accordo di quelle immagini, che, nel dicorso per la morte di Garibaldi, Carducci vagheggiava e profetava. In quella scia ha operato, attento, devoto, acceso, il Pascarella. Ancora l'episodio veristico brutale — che ricorda certi scatti icastici e certe coloriure della Serenata. — dei settari Targhini e Montanari, ancora,, con piglio aggressivo e violen to, vivacissimi, i sonetti contro! Pio IX, e poi, pezzo forte, domi- nante, e forse centro ideale di tutto il libro, l'Assedio di Roma del '49. Poesia carducciana negli spiriti, in quel modo di trarre le cronache alla solennità del'epopea, con cuore sincerissimo, e, nella rusticità, pur con qualche artifizio, per trasposizioni raffinatamente letterarie; e car¬ ducciana, a volte, persin nei modi. I francesi sbarcano, si presentano innanzi all'Urbe: Ma dritto in piede su li baluardi De le Mura de Porta San Pangrazio, Qui a Roma l'aspettava Garibardi. La grande leggenda Anche qui, in questi sonetti. Pascarella fa sentire il «pugno fermo» che, a detta del Carducci, aveva sollevato di botto il dia-! letto alle altezze epiche, e, nel' pittoresco del linguaggio, degli,aneddoti, tra le macchiette, le «impressioni» di paese, di figura, e i tratti di color locale, e lo strepito e i gridi e il pianto delle battaglie, traspare quella specie di dolente persuasione eroica, di virgiliana pietà, che, nei veri poeti, sempre accompagna ricordo e l'esaltazione delle cruente gesta umane. Ricordava dunque il Pascarella le grandi parole carducciane per la futura leggenda garibaldina? Certo la nota ariostea qui in qualche modo accenna nell'irruenza cavalleresca di Nino Bixio; ad ogni sciabolata era un macello: E mentre che, frammezzo a quer I fra gello, Vpniva giù strìllanno, dà un'occhiata Drento a 'na vigna e vede che imbo- [scata Cera 'na compagnia co' un colonnello Ferma er cavallo, zompa li cancelli, Lui solo!, je va- addosso a speronate, L'agguanta stretto qui pe' li capelli, Co' l'ugne!, stretto che nun pare [vero, E in mezzo ar fumé de le schioppettate Se lo tracina a Roma prigioniero. E la nota molle e tassesca veramente s'ammorbidisce sull'agonia di Mameli, che da un letto d'ospedale ascolta l'eco dei suoi inni : Chissà quante mai vorte, a, mano a [mano Chp cessa veno er foco, e a l'aria quieta Forse li risentiva da lontano, Chissà che a-vra. pensalo cor pensiero Quello che nun sortanto era poeta, Come se dice, ma poeta vero? Ma il Carducci, in un commovente mpvimanto rettoria), non sapeva poi immaginare come sarebbe stato rappresentato, nell'epopea futura, egli, Garibaldi, o caricante sul cavallo bianco il nemico, «o tornante, con la spada rotta, ar60, affumicato, sanguinante, in senato!». E 'rivato davanti ar Parlamento, Che in queli giorni li se ridunava A Campido.io, appena ehe fu scento E che vestito come se trovava. Co' In spada che nu' i'entrava drento Xpr fodero, che aneora je gocciava Ile sangue sur mantello che portava Li segni ancora der combattimento: Come comparve, rosso (der colore De la battaja!), a védelo coperto De porvere. de sangue, de sudore", Pu un urlo! Un urlo solo!, e così forte Ch'io dipo che l'intesero de certo Quelli che ee batteveno a le Porte! Fulgide e atroci, nel grigio chiaroscuro del disegno pascarelliano, o in un nimbo di strana luce, passano le immagini battagliere : il combattimento favo loso del « casino de li Quattro Venti », Medici al Vascello — « imperterrito sempre e sempre in cima — A le macerie...» —, le l'azioni, le sortite, i colpi di mano, il lamento delle madri, delle sorelle, al ritorno dei feriti, le calme improvvise, le notti cupe e ansiose, tra il rado suono delle campane e gli urli delle senti I minelle. Cosi, dai dai, soffri, coni- batti, non c'è più nulla da fare ; Km rjùeiròra «le malinconia Quanno la lut-i' rnln e fa ^uni K mentre rp t»(ino rie l'nvemurla l/»>:i:umpaenava ijii'i for «le le .Mura, |.Meiitre (-ne tinello ne n'anna-va via,1 Svii-olaiino r™ mezzo h quell'iii-mira De in ennilia-ignii e u Tor de Mezza Via S'internava liiii drento a. In pianura, Didimo rlii- 'trniinnto «p vorta?**-. 11,1,1 i'<,,;1 morta drento .-ir core I/i'Ipii de Roma- ohe lo richiamatì*e! Mil 11 himl 'I'' Hnma n mano a ninno ''''oni|iai-vero... finirmi' K por rlliùrore Ul, lull.a, se férma a Ponte Lucano, è la resa ({«ribaldi raccoglie i fedeli: 'I Arte e poesia ; Snn possiamo insistere di piùi sui particolari, Il racconto di Pà- scarella continua, indugia qual-j ch<- poco su una fignretta di stu- pendo rilievo, il Moro di Gari- baldi, con quei tocchi tra il cu- jrioso e il prezióso che sono dav-j vero indimenticabili; si dilata ! su aperture sentimentali, lieve-1 imeni e melodrammatiche e retto-| ridire, alla maniera di certe-stam po popolari, per la morte di ;Anita, ricanta tutta la «resta ga ; nlia Irli na, come può apparire a un popolano, specchio di caval; li-ria, di giustizia, d'avventurosa generosità, da Teano ad Asproi moni e, da Mentana a Bigione, |si rifa, da Novara, all'intervento del Piemonte, a Vittorio Ema |a" astuzia .a quella conclusione, su cui ter-|1 miele, sdegnoso e sicuro e fede- lissimo in Farcia a Radetzky, per 'arrivarsene a Cavour, al Con Igresso di Parigi, aila saggezza f| del gran ministro, cjmina il manoscritto, che l'Italia.jormai, era risorla davvero : Nùn solo pe' le chiese e li musei. j Ma puri- pe' partii ne li consrcsi-i il'era na sedia ormai, pure pe' le,. ■ E neppure, cercheremo di ri-jti u tre e costringere in un di- scorso critico le' impressioni di questa rapida lettura. Il poema! è ap|>etia apparso, sarà letto e ; riletto, e con l'aiuto del tempo iche cosi delicatamente agisce a mettere in luce, a ricavare il to- jno esatto delle opere di poesia, prenderà il suo posto nella storia delle nostre lettere e nell'amore] per il poeta, ottimo e caro. Co jme la fantasia di Pascarella si ! risolva stilisticamente, ossia lal1 formazione di quel suo linguag-1|cfio pO0(jPO popolaresco e culto. |o trattenuto e scaltrito e sospeso!lfa l'istinto primitivo dell ispira- zione, e una raffinatezza lettera-1ria, un virtuosismo formale, una mirabilissima coscienza rettorica, che rasenta persino lo scrupolo, è, ad esempio, problema che la lettura sub'ito propone. Ma a meditarlo non conviene la fret ta. Un'impressione generale puòì un tuttavia essere questa, che là oveIn il racconto, pur movendo da una sconvinzione morale ©sigentissi-l ina, la romanità di Pascarella, csvaria mì argomenti lontani e inaso dell'imma- tginazione, là. malgrado quell'in- igenuo sentimento di perenne at-, i Inalila che attrae i fatti della Icstoria a umoristico e felicissimo o f|j m,.ravi„]ja „ (!j c0„fi. denza e di ammirazione, il tes alito propriamente poetico a voi- g té si allenta un poco; ma, quan- d do poi il poeta, entra col suo|e popolano nel forte •• nel crudo delle memorie e delle azioni de: Risorgimento, e le rivive, con lo slanciò caloroso dell'adorazione e dell'amore, allora non solo la fan- s tasia gli si spicca in un rilievoi fpossente sdntgrucommovente, ma il la- tvorio stesso dell'arte, quel battere e ribattere l'ardente o ge- lida virtù delle parole, non più, parnassianameiite, ricercadi un'arguta e perfetta sfumatura verbale, ma, diventa impegno di approfondire [anima nelle cose n degli uomini, delle gesta, ini er-, a nandola in un linguaggio e in un, d ritmo sempre; più legali, C^fe sivi, aderenti. Non alla sfaccet-1M tata arguzia fa capo allora la ri- lu cerca del compiuto artista, ma.Ì^ in quegli allacciamenti intimi.;pstudiatissimi della parlata roma-ig Inesca e del sentimento civile, li stico e fantastico, m quegli eq • libri di suono, di accento, che, i ■ corrono esemplari entro la strufcaura dialettale del discorso e lo trasferiscono su un piano di alta immaginazione storica e morali', , in quell'ispirato artifizio, l'ieer Ica e cesellatura tendono e s. ri gesto della vita, e che, pur cosi salci |e rappresi danno, per virtù d ar ste. e ci percuote l'animo, nnpei filosamente. Aspra fatica, sottisolvónó in una chiara invenzione di po.sia, in quei bei sculti sonetti clic ancor serbano, nel to e fissato, il palpito Ila vita, e che, pur così saldi irosi danno, per te, trasparente corpo alle immagini. Dalla disciplina e dal rigore si libera, allora, un fremito, un vento di fantasia, e ci in ve- tile, sofferta, vittoriosa conqui- la. che, a, ripensarci, rendono ommovente l'apparizione., oggi, lei poema pascarelliano. Francesco Bernardelli riportato versi e so¬ neU, dj Bl„rin „0„tm per cortese , autorizzazione della Reale Acca, derma d'Italia e delittore Ar^fe^t^ffitotó 1Madori in edizione numerata dt lusso in 999 esemplari, su carta Ì^S^S^^CLTSm. ;p in erIizione in brossura di paigine 320 (L. 25).