Dal leone di San marco al Tricolore d'Italia

Dal leone di San marco al Tricolore d'Italia Dal leone di San marco al Tricolore d'Italia La foscoliana Zante Veneziano si sentiva e proclamava Ugo Foscolo, pur nato a Zante; era, questo suo orgoglio nobilissimo, tutto vero e giusto, nel moto dell'anima, istintivo, e nel fatto. Che veneziano egli era per parte di padre, e veneziana era la terra in cui aveva visto, nel 1778, il primo raggio di sole. Zante, la « chiara e selvosa » Zacinto, soggetta da secoli, dal 1484. ininterrottamente, alla Serenissima, era vissuta nel fulgido cerchio di quella civiltà, ne aveva, per cosi dire, respirata l'aria singolare, fastosa e sfumata e arguta, e da quel gran dominio, tra Occidente e Oriente, aveva tratto sue leggi. Sicché un'ipotetica questione della grecità di Foscolo solo così ha senso, delicato e preciso, se la si intende come accenno a un'estrema punta mediterranea, là verso il mare di Venere c delle Grazie, della cultura e della poesia italiane. Quel mare cui andava tuttavia il pensiero, il ricordo del Foscolo, forse più che come a sito geografico, come a luogo ideale, trasfigurato dalla nostalgia, come a rifugio di pace, di sogno, di incanto, nella vita travagliata, tra le accese e furenti passioni, in attimi di improvvisa stanchezza. A Zante ■— con una breve parentesi egiziana — egli avea trascorsa la fanciullezza, fatti i primi studi; poi, recatosi il padre a Spalato, quale direttore di quell'ospedale, il ragazzo aveva dalla Dalmazia preso più immediato contatto colla terra veneziana; ma ritornato, alla morte del padre (1788), a Zante, presso una zia, soltanto qualche anno dopo, quando la madre sua, la Diamantina Spathis, si fu sistemata a Venezia in modo da poter sostenere tutta la famiglia, egli, raggiungendola, del '92-'93, fu finalmente nel cuore del meraviglioso, fantastico mondo veneziano, là ove, tra gli alti o languidi splendori della laguna, dei palazzi, delle basiliche, delle .memorie, i suoi sentimenti e affetti trovarono la temperie propizia, l'incitamento primo e profondo a quel suo poetare che la tersa nettezza dei classici adombra stupendamente di romantica passione, di accenti remoti, di melodiose elegie. E proprio ad un gentile respiro romantico, a un vago e tenero sentire, s'accorda quel ricordo dell'isola natia, che ritorna fra i suci poemi, lievissimo. Con tocchi squisiti con grazia leggiadra e accorta con una specie di carità di figlio e di poeta, egli parla della sua Za cinto. Ma v'è nel tono, nella modulazione del sentimento che ri nasce di lontano, dall'infanzia felice, v'è nel colore del paese evo cato, un vagheggiamento spirituale, una dolcezza che. oltre la realtà di quel tempo, di quel luo go, si stempra nella malinconia, e sospinge l'immagine, il canto a un rapimento argenteo, nel chiarore della fantasticata felicità. Zacinto è più che mai per il poeta una cara fantasia, è quasi un richiamo misterioso di vita non vissuta,. di sogni perduti. Ricordate? E' ii sonetto famoso. Che subito si apre, con piglio mirabile, su un ritmo andante, aperto, su un moto di desiderio acuto e vano: Ke più mai toccherò In Farrc- sponde Ove il mio <-oipo raneiulletto [giacque, Zaiinto mia. ... Alla e materna sita terra » egli si rivolge, con fervida accorata persuasione di fantasia. Desiderio vano, s'è detto, ampio e arioso, come quando l'anima attratta da improvvisa dolcezza di cose impossibili si smarrisce, arcanamente, lontano; ed ecco immagini, fantasia, accostandosi a quel mondo sacro ai poeti antichi e al ricordo luminoso dell'infanzia, gli si fanno tosto tutte nitide e trasparenti. E trascorrono dal sorriso dell'isola che si specchia nell'onda, a quelle limpide nubi che ritroveremo sovrastanti allo stesso mitico paesaggio, là nelle Grazie, e dalle nubi alle fronde, e al gran confronto omerico: Ulisse e Itaca petrosa, e quel chinarsi dell'eroe a baciare la terra della patria. Ma: umpml'fsarrrngltmzsscapctltdErnLDDArDKDSlCEIPApsntsqaTu non altro che il •auto avrai del Miglio, O materna mia terra; a noi I prescrisse 11 fato illacrimata sepoltura. In tre momenti di alta poesia foscoliana ritorna Zante. E uno è questo che s'è detto: sonetto che, tra due ombre elegiache, brilla, chiaro e acceso. E l'altro è quello dell'Ode all'amica risanata. Ancora Venere appare: Resina fu, Citerà I-; Cipro ove perpetua Odora primavera KeRllò beata, e l'isole Che col selvoso dorso Rompono apli Euri e al grande [Ionio il corso. Ebbi in quel mar la culla, Ivi erra Ignudo spinte» Di Faon la fanciulla. K se il notturno zeffìro Ulando sui flutti spira. Suonano i liti un lamentar di lira Ond'in pien del nativo Aer Baerò, su l'itala Grave cetra derivo Per te le corde eolie, n'avrai divina i vóti i-'ra. gl'inni miei delle insubri 1 nepoti. Sacro l'aere nativo, sacro all'amore, sacro alla poesia; ma da |quell'aere, dalle corde eolie, ilpoeta deriva gli inni sulla «grà- ve cetra» italica. Ed è tratto in cui il Foscolo con perfetta co scienza d'artista si definisce: sempre più allontanandosi in uno sfondo d'ispirazione ideale, e di sogno, quel paesaggio mitologico dell'arte greca, caro al suo cuore di umanista, ma che, nell'ispirazione nuova e profonda e romantica della poesia italiana, si fa lievito remoto, tutto assorbito ormai, e risorto in forme e spiriti nuovi. Assorbito, risorto; l'elegan- za foscoliana si libra, volteggiando, alata, sulle note brevi e sostenute dell'ode, e da quell'apparente freddezza neo-classica ricava una grazia musicale accortissima; ma altrove il furor patetico del poeta si placa e distende nel fermo ritmo dei sonetti; e altrove l'empito, il fiotto della sua gran fantasia, la fantasia dei Sepolcri, sommerge il ricordo arcadico; e altrove, ancora, questo ricordo ricompare, ma puro, e come ricantato dal di dentro, come riemerso da quella sua turbinosa esperienza umana. Attinge allora il suo verso i tersi cieli della beatitudine poetica. Contemplazione, incanto, in cui la memoria della vita e la grazia poetica si -accordano a una specie di estasi che fa eterei i sentimenti e le immagini, e concilia i suoni nitidi in una eccelsa armonìa. Gesti e atteggiamenti pur essi sacri, perchè tutti poetici; e ogni immagine perfetta nel terso cristallo dello stile. Consolazione, eliso della parola ha detto il Flora. Ed eccoci alla terza evocazione di Zante: Le Grazie, Inno primo, E' ancora, è sempre Venere Citerea che effonde la sua luce, viva, nel coro delle Grazie. .... c le raccolgo L'onda .Ionia primiera, olirla- elio lamica Del lito animo c uell'ospite musco Da Citerà oprili di vien clcHtosa A' materni miei rolli: ivi fanciullo r.a Deità ili Venere adorai. lve, Zacinto! all'antenoree' prode. De' santi Lari Idi-i ultimo albergo de' miei padri, darò i carmi e l'ossa, K a te il pensier; che piamente a [queste Dee non tavella, chi. la patria oblia. Saera città è Zacinto,,,.. E bella: a lei dall'alto manda l più vitali rai l'eterno sole; Candide nubi a lei Giove concede, E selve ampie d'ulivi, c liberali I colli di Lieo: rosea tfàlùte Prometto» l'aure, da' spontanei fiori Alimentate, e da' perpetui cedri, E il poeta che all'« antenoree prode », alla terra dei padri — che suoi padri egli chiama i primi veneti, che « furono colonia troiana dopo le mine dell'Asia » — il poeta che all'Italia promette la sua spoglia mortale, ha annesso, in quell'aura di sereno tripudio, l'isola greca alla poesia italiana. Di più; in questa pittura serena e alata, che il colore dissolve nella luce, si direbbe che la venezianità della foscoliana Zante, traspaia, delicatamente. f b.

Persone citate: Ancora Venere, Foscolo, Resina, Ugo Foscolo

Luoghi citati: Cipro, Dalmazia, Italia, Spalato, Venezia, Zante