Dalmazia "arcipelago,, italiano di Concetto Pettinato

Dalmazia "arcipelago,, italiano La voce della geografia e della storia Dalmazia "arcipelago,, italiano Un chiaro memoriale vanamente presentato ai " grandi „ di Versaglia dopo la guerra mondiale Nel febbraio del 1919, in piena conferenza di Parigi, fervendo più ohe mai aspra la lotta per strappare la Dalmazia all'Italia e darla ai pupilli della Massoneria francoinglese, un giovane tenente di fanteria di mia stretta conoscenza scriveva, per incarico dei competenti organi di propaganda dell'autorità militare italiana, una difesa in tre lingue dell'italianità dalmata che non sarà immodesto, spero, evocare qui oggi, a ventidue anni di distanza, mentre il tricolore sventola trionfante sull'intera costa dinarica. Il documento — sedici paglnette a stampa — che dal tavolo del tenente in questione passò su quelli di Clémenceau, di Wilson, di Lloyd George e delle rispettive delegazioni, sosteneva, In contrasto con gli avvocati della neonata Jugoslavia, l'inesistenza di una unità organica fra i porti dalmati e il retroterra serbo. Era quello, allora, il nodo della questiona dalmata. Roma e Venezia In qual senso, chiedeva lo scrittore in uniforme, ha la natura orografica della Dalmazia influito sullo sviluppo politico e sociale delle regioni retrostanti? In senso, rispondeva, negativo. La dinamica economica ed etnica di un paese — indulgete allo stile burocratico del memoriale — ha qualcosa di simile all'andamento di un bacino idrico: segue le valli di displuvio. Il fenomeno più caratteristico dell'idrografia balcanica sta nel fatto che quasi tutti i fiumi da cui il settore continentale della penisola è attraversato sono affluenti della Sava, cioè corrono verso il Nord e fanno capo al bacino del Danubio. L'Una, la Sana, l'Urbas, la Bosna, la Drina, la Morava, nascano essi dalle Alpi Dinariche o dalle Alpi Albanesi, portano le loro acque al Mar Nero. Il massiccio dalmata non ha se non una sola vera e propria linea di displuvio: quella nord-orientale, ancella della grande arteria fluviale centro-europea. Dal lato dell'Adriatico non scendono se non pochi corsi d'acqua di mediocre entità, il più notevole dei quali è la modesta Narenta. amgOcoretrsmcancocisntri ardstanssttel'teEsesomAfifelalàtesipste gsllomtamtatrpde qgpssmtpeisgfbIdentiche leggi governano l'as-. setto etnico ed economico della ! «penisola. Lo spartiacque delle Dinariche è una specie di muro divisorio tra l'entroterra balcanico e la costa; e questa reciproca indipendenza delle due partì è stata riconosciuta anche da scienziati tedeschi. T. Fischer, nella sua poderosa opera sulle penisole sud-europee ( Laenderkunde der drei sudeuropaeischen Halbinseln, Leipzig, 1893) scrive al riguardo: «I rapporti della penisola balcanica col mare sono intimi solo nella parte meridionale e sud-orientale di essa: la parte occidentale, nonostante la sua vicinanza all'Italia, dal lato del mare è chiusa e forma per cosi dire il tergo della penisola. Chi dall'interno voglia raggiungere l'Adriatico, è infatti obbligato a valicare parecchie catene di montagne parallele, tra cui spesso si stendono nudi e aspri altipiani. Serbia e Bosnia, pur cosi prossime al Mediterraneo, non hanno quindi avuto mai stretti rapporti con esso e con l'Italia, mentre li hanno avuti con l'Ungheria. Al contrario, la regione costiera ed insulare della Dalmazia, difficilmente accessibile dall'interno, è tutta legata al mare e all'Italia, e non senza motivo fu sottoposta al dominio di Roma e poi di Venezia, mentre non lo fu mai a quello dei Turchi, che avrebbero dovuto venirci dall'* Oriente ». Un'opinione Inglese mdaqForte di tali premesse .l'anonimo portavoce della propaganda militare italiana rifiutava alle pretese accampate sulla Dalmazia dagli Slavi dell'entroterra serbo-croato ogni specie di fondamento. Nessuna identità di civiltà o di storia, scrìveva, nessuna interdipendenze di interessi economici esiste fra i secondi e la prima. Serbi e Croati hanno bisogni quasi esclusivamente danubiani, i Dalmati hanno bisogni quasi esclusivamente adriatici. La tesi dell'espansionismo marittimo della Grande Serbia è fittizia o utopistica. Una nota geografa inglese, dico inglese, la Newbigin, scrive infatti: « Invano 1 nuclei politici dell'interno balcanico, confinati sino a ieri nel grembo infecondo di una crepuscolare civiltà ungaro-ottomana e non apparentati se non ad Ostrogoti, Avari e Turchi, rivendicano la paternità spirituale su genti vissute quasi venti secoli nell'atmosfera della grande civiltà latina, a immediato contatto con Romani e con Veneti! Se gli Slavi della costa possono vantare una civiltà, essi la debbono ai loro rapporti con l'occir dente italico e alla totale assenza di legami con l'oriente balcanico. Zara, Sebenico, Traù, Spalato e non già Serajevo o Belgrado, sono i focolari dì luce che temperarono in Dalmazia la densa notte del torbido anarchismo pastorale slavo >. Di questa interindipendenza dei due versanti dinarici l'opuscolo additava una prova nel non aver l'Austria potuto sfruttare adegua tamente il possesso della costa adriatica, nemmeno dopo avervi aggiunto a bella posta quello del la Bosnia Erzegovina. La Dalma zia rimase sempre appiccicata al l'Impero come un corpo estraneo. La stessa Chiesa Romana dimostrò di non considerarla come una provincia del medesimo, mantenendo sin oggi i vescovati di Sebenico, di Spalato, di Lesina, di Ragusa e di Cattaro alle dipendenze del Metropolita di Zara, quindi sotto U diretto controllo di Roma anziché dell'Episcopato di Vienna. Neppure dopo il 1908, sebbene incoraggiato dal Ballplatz, lo slavismo curialesco e procacciante delle società cirilliane della Dalmazia seppe sitvtApapescgN3hpn5drcsndLpnpsftBgdsd amalgamarsi con quello rurale, pigro ed ottuso degli Slavi balcanici. Ostavano al connubio ragioni psicologiche non meno che di interesse. L'avidità battagliera, l'intraprendenza affaristica, l'attivismo fazioso degli Slavi adriatici, cattolici o cresciuti nella tradizione cattolica non erano conciliabili con l'apatia, il fatalismo, l'incapacità organizzativa dei serbo-bosniaci, ortodossi o cresciuti nella tradizione musulmana. Dominare i primi per mezzo dei secondi è un assunto del quale non poteva non riconoscersi, prima o poi, l'assurdità. L'Austria la riconobbe prestissimo; ma « non meno presto — affermava il mio autore — la riconoscerebbe quell'eventuale regno serbo-croato-sloveno che le circostanze politiche del momento mettessero in. condizioni di ripeterne l'esperienza ». Un solo paese (cito testualmente la pubblicazione del nostro Esercito), è in grado di effettuare seriamente la bonifica economica, sociale e intellettuale della Dalmazia, e questo paese è l'Italia. Alla Dalmazia mancano quasi perfino le caratteristiche della terraferma. Essa è in realtà un arcipelago, un territorio insulare, anche là dove la costa non appare materialmente avulsa dalla terra ma si smarrisce in essa come un grappolo nel suo tralcio. Studiare questo paese dall'interno, dai magri e avari pascoli di Imoschi e di Signo ove stenta la vita il contadino slavo, equivale a non comprenderlo, anzi a fraintenderlo. La Dalmazia va studiata, amata, alimentata e posseduta dal mare. Dal mare essa è penetrata, abbracciata, plasmata, permeata. I canali tra le sue isole sono le sue vene perennemente palpitanti. Le foci dei suoi piccoli fiumi si allargano e si sprofondano nella terraferma quasi volessero a loro volta Intagliarvi isole e scogli. In più ampie proporzioni, la regione ripete nel suo insieme la struttura dell'estuario veneto, la forma incerta e mobile di una laguna. Vi sono tratti di costa appesi alla terraferma per un filo: ancora un po', diresti, e la penisola sarà diventata una isola; e al di là di quell'isola nuovi golfi, nuovi frastagli, nuovi anfratti scavati dal mare infaticabile prepareranno altre penisole rzcWnitcl'maclatlepdrL. ! «• altre isole Vien spontaneo im a maginare tutti questi frammenti di terra riuniti da miriadi di ponti, arrotondati da selve di palafitte, quasi un'immensa Venezia. Un mare che unisce o i o , i i 1 e , e a n a r a o. e o o >. ei r a a vi l a l o. ò oo di di oihé uguepe Nei canali, insisteva il tenente sentendosi diventare poeta, eccoti il fervore d'una intensa vita acquatile, come a Venezia, una perenne variopinta ressa di piroscafi, battelli, bragozzi, paranze, burchi. Anche quando potrebbero andare per terra, i Dalmati vanno per acqua: perchè si fa più presto e perchè è più bello: perchè l'istinto e l'abitudine, oltre al bisogno, li spingono sull'acqua, con la vela o col remo. Le loro vie maestre sono gli itinerari delle loro Società di Navigazione. Non posseggono che 3 mila chilometri di strade, ma hanno 329 porti con 168 scali per piroscafi. Talora il movimento annuo di questi porti ha superato il 52 per cento del movimento totale dei porti austriaci. Per quanto non ricchi, i Dalmati dispongono di un centinaio di navi a vapore, della stazza complessiva di 55 mila tonnellate, e di quasi 10 mila velieri, della stazza di 24.000 tonnellate. La loro maggior ricchezza è la pesca. Dall'aprile all'ottobre e dal novembre al marzo una metà del paese non vive d'altro. Sarde, sgombri, menole, barboni e tonni, freschi e in salamoia: ecco il capitale su cui lavora e specula la popolazione costiera ed isolana. A Lìssa, a Comisa, a Giuppana, e Bianca nelle Bocche di Cattaro, grandi e piccole fabbriche di sardelle in scatola danno lavoro a centinaia di operai. Attirata da questa industria modesta e facile e dalle mille altre risorse del mare, la popolazione del contado si inurba, addensandosi sulle coste, nelle isole. I Capitanati interni, quejli di Signo, di Tenin, di Bencovazzo, appaiono semideserti a confronto dei Capitanati marittimi. A Bencovazzo non si contano che 25 abitanti per chilometro quadrato: a Cattaro se ne contano 150: a Ugliano, a Morter, a Brazza, a Lesina da cento a centoventicinque: a Spalato e a Zara centosettantacinque! Più ascendi verso le Dinariche, e più la campagna si spopola: una fascia deserta accompagnerà la linea dello spartiacque, quasi per meglio sottolinearne la funzione divisoria e isolante. Sul mare, continuava, a intenzione di Parigi, il nostro propa gandista del 1919, i Dalmati in contrano gli Italiani, fraternizza no con gli Italiani. Indipendente mente da ragioni storiche, la mu tua frequentazione delle due genti è nella natura delle cose. La vita marittima si è sempre svolta lun go le coste orientali piuttosto che non lungo quelle occidentali dell'Adriatico, data la notoria inospitalità di queste ultime. I bisogni della navigazione e della pesca portarono costantemente i Latini a battere le acque dalmate di preferenza alle proprie, offrendo esse, insieme con una incomparabile dovizia di facili approdi e rifugi, anche, per ragion di correnti, maggiore abbondanza e varietà di pesci. In queste acque, fra isole e terraferma, l'Italianità venne diffondendosi lungo i secoli come la conseguenza necessaria di uno stato di fatto. Forniti di un linguaggio più colto e di una scienza marinara più adulta, gli italiani li di vulgarono fra i Dalmati senza che editti o gride sovrani avessero mai bisogno di imporli. Il dominio politico di Venezia scaturì spontaneo da questo naturale affratellamento di navalestri e di pescatori, da questa comunione di idee e di pa- ti rctlammabrvttlfsqllcBmlinpllqmsdhmpps«cmsSnssbtdSfdi role. Fu riconoscimento e legalizzazione di vincoli già stabiliti, non conquista brutale — questa era per Wilson! — non,deliberata estensione di imperio. Col linguaggio, si italianizzarono poscia le usanze, e con le usanze l'architettura, e con l'architettura le leggi. Poiché il mare unisce e non divide, si formò, a oriente del mare, un'atmosfera civica e spirituale gemella di quella che s'era formata ad occidente, tanto essa conveniva a entrambe le razze. E dopo i marinai, dopo 1 pescatori, furono italiani d'anima e di favella gli scrittori e 1 pensatori, tutti i grandi dalmati sino al j Lucio e al Tommaseo. La protezione di S. Marco i a e a e i o o a Questo connubio servi ai Damati non meno che agli Italiani. Se i secondi ne trassero vantaggi marittimi ed esterni, quali l'uso di comode basi navali pel rifornimento e il raddobbo della flotta e per a guerriglia contro i pirati, i primi vi trovarono l'ausilio, certo non meno prezioso, di acconci istituti amministrativi e civici nel cui ambito svilupparsi e fiorire. Vi trovarono, cosa anche più importante, la valida protezione di una grande e temuta autorità politica. Quasi tutte le città dalmate si diedero volontariamente a Venezia, non ne furono prese. Si diedero a Venezia soprattutto per sottrarsi alla inquietante turbolenza slava che dall'alto delle montagne minacciava la loro inerme libertà. « A tali eccessi erano arrivate le violenze dei Brebiricsi, scrive uno storico dalmata del Seicento, il Lucio, le-quali hauranno necessitato li Sibenzani et Traurinì di mettersi sotto la protettione de Venetiani, ch'era l'unico refugio per liberarsi dell'oppressione del Bano... Item in questo tempo algune terre di Dalma tia, che iera in grandissima dessolation, non possando li Cittadini dentro habitare ne uiuere, con ogni humiltade et reverentia se sottomesse spontaneamente sotto la protettion del ditto Doge, e ne fò prima a Sibenzani in 1S22 del mese di marzo con molti patti »... «Quelli di Traù, aggiunge lo storico, si sottomesse in loditto millesimo ». Per lo che, « alti 5 di tal mese di aprile 1SZ2 il Doge scrisse a' Spalatini a ch'incrudelendo il Bano contro le città di Dalmatia e sforzandosi di soggiogarle sotto la sua servitù, a svpplicatione de Sibenzani e Traurmi l'haueua ricevuti in protettione et uoleua difenderli da ciascuno »... Questo ascendente storico della Serenissima era tanto poco unal funzione politica e una maschera d'imperialismo — il memoriale italiano insisteva su questo punto per non urtare il « puritanesimo s anglo-americano e disarmare il Grande Oriente — che quelle città, pur godendo l'effettiva protezione di San Marco, seguitarono ad esser considerate politicamente soggette al regno d'Ungheria. « Li danno autorità di sottometter le città e distretto al Doge et Comune di Venetia, salve tutte le ragioni et honoranze del Re d'Ongaria... Il nome del quale continuò a mettersi nelle scritture pubbliche come prima e si seguitò a pagare la solita portione del datio o portorio atti Ministri regi ». Condizione giuridica e politica curiosissima e contro natura, ma che pur provava in modo caratteristico come in Dalmazia si fosse sempre profondamente sentita l'incapacità degli stati orientali, magiari o slavi che fossero, a reggere il paese, il governo del quale si riconosceva poter appartenere con vantaggio solo alla vicina, liberale, marinara e fraterna Repubblica Veneta! Le sorti della Dalmazia furono cosi, cito il mio autore alla lettera, quasi costantemente quella dell'altra sponda: di Venezia o di quell'altro qualsiasi potere statale che si trovasse vigere sulle opposte rive dell'Adriatico. Dal 78 a. C. al 476 d. C. essa fu provincia romana. L'effimero regno di Giulio Nepote la divise per quattro anni dall'Italia, ma Odoacre la riunì a quest'ultima, e gli Ostroori dal 493 al 553 rispettarono l'unione, mantenuta poi per altri 15 anni dall'Impero d'Oriente attraverso gli Esarchi di Ravenna. Un'unica lunga separazione intercorse fra Italia e Dalmazia, dal 568 al 1240, anzi, per quanto riguarda le isole, solo al 1052: quella contemporanea delle migrazioni barbariche, avanti l'affermarsi della potenza veneta in Adriatico. Ma da quest'epoca al 1798 l'unione non venne più rotta, e anche quando Venezia fu spodestata dall'Austria la Dalmazia continuò a dividere le sue sorti. Nel 1806, al costituirsi del napoleonico primo Regno d'Italia, essa vi venne compresa, quasi fosse ormai inconcepibile che l'uno dei due paesi potesse non vivere della vita dell'altro; e lo stesso Congresso di Vienna, restituendoli entrambi all'Austria nel 1815, dopo la breve parentesi intitolata alle Provincie Illiriche, ribadiva, senza volerlo, il concetto dell'unità. Gli ultimi ventidue anni tatrcao mncoagsugqdtaagcosttecaloamscnvfaurLclegvbtistpnqpnsdlaepfrtvfPardrssefn«nrmddqpcsspsbmtmgtnnqrcmsfislldBvRdd12dsIn conclusione, incalzava il memoriale ritrovato fra le mie carte, su circa venti secoli di storia, Italia e Dalmazia contano, ben si può dire, 1451 anni di vita in comune, di solidarietà politica, sociale ed economica ininterrotta. La loro separazione, la balcanizzazione dell'altra sponda sono novità dell'ultima ora, Invenzioni e sofismi di ieri, nati nel 1866, poco più di mezzo secolo fa. Quale argomento migliore in sostegno, dell'italiani tà dalmata? Le fratture dell'unità dei due paesi non rappresentano fuorché momenti di transizione nell'assetto dei popoli mediterranei, turbazioni dell'equilibrio generale d'Europa, parentesi della normalità nello sviluppo storico delle razze del continente. La comparsa di un potere po- Pd litico slavo In Adriatico fu straripamento quasi involontario di razze che avevano il loro centro di gravità nella regione tirila Sava. I piccoli nuclei serbo-croati giunti sulla costa rappresentano i detriti morenici di un ghiacciaio in movimento colati giù per forza di inerzia dalle anfrattuosita roccioso delle Alpi dinariche. La loro presenza sul mare non valse mai a fare del Regno di Bosnia o del Regno di Serbia degli stati marittimi. Nati continentali ed agricoli, tali essi rimasero, anche quando si trovarono ad avere soggetti, per caso, i porti di Scardona, di Traù o di Spalato, fra i più belli del mondo. Il mare non servì loro se non come pretesto di piccole gesta corsaresche, consumate stando in agguato fra gli scogli, un piede sulla terraferma: ma la funzione grandiosa del liquido elemento quale via di espansione e mezzo di arricchimento rimase loro totalmente estranea. In mezzo agli aborigeni latinizzati della costa', gli Slavi furono semplicemente contadini fuoriviati. e non battistrada di una nuova civiltà mediterranea. E questo spiega la precarietà della loro fortuna come il loro pronto ricadere nel nulla non appena al torbido flusso e riflusso medievale tenne dietro un'epoca storica più ordinata e una nuova cristallizzazione politica generale. Oggi, concludeva finalmente il nostro, chiusa quell'epoca e sovvertita da un nuovo cataclisma la faccia dell'Europa, assistiamo a un'altra delle convulsioni caratteristiche del mondo slavo, a un mo¬ to di risacca scrollante l'intero emisfrro orientale d'Europa, dal Mar Rianco al Danubio, con un conseguente nuovo conato di straripa ni mito in Adriatico. Ma per quanto riguarda la Dalmazia questo conato non trova giustificazione nr> nell'interesse degli Stati balcanici, veicoli naturali del commercio controeuropeo-asiatico, che si svolge lungo la via acquea danubiana, e non già del commercio ponto-adriatico, che si svolge attraverso l'Egeo, da Brindisi a Odessa por Costantinopoli, nè nell'interesse della Dalmazia, la quale abbiamo visto vivere di vita costiera e non ha quindi nulla da guadagnare alla propria unione all'entroterra balcanico, unione che le precluderebbe la facoltà di vivere e respirare all'unisono col silo solo complemento geografico, sociale ed economico indispensabile: l'Italia. Assecondare — e su questo monito pieno di presagi il memoriale italiano faceva punto — la pretesa delle consorterie di Belgrado equivarrebbe ad aprire nella storia del Mediterraneo una nuova èra di disordini e di tragedie... Stampato in varie centinaia di copie, l'opuscolo venne spedito a Parigi e largamente diffuso sul tavoli della conferenza. Wilson, Lloyd George e Clémenceau rimasero irremovibili. Poche settimane dopo, la Dalmazia veniva assegnata alla grande Jugoslavia del Grande Oriente e dell'Intellicence Service. Concetto Pettinato

Persone citate: Bosna, Fischer, Giulio Nepote, Item, Lloyd George, Tommaseo, Turchi, Ugliano