Colpo di spillo o ultima goccia? di Leo Rea

Colpo di spillo o ultima goccia? Gli americani lasciano il Giappone Colpo di spillo o ultima goccia? Viaggio che amareggia quelli che vanno e non preoccupa eccessivamente il paese che li vede andare - Il caso delle Missioni e delle r scuole che non era stato risolto per cortesia si è cosi risolto da sè (Dal nostro inviato) TOKIO, gennaio. Durante la stagione invernale le acque del Pacifico sano più tranquille che durante il resto dell'anno: non si incontrano tifoni, il moto ondoso si limita a creare quel « mare morto » che fa rollare abbastanza ma che ignora l'arte di far beccheggiare le navi. Anche per questa rat/ione in quest'epoca dell'anno le banchine del porto di Yokohama usavano accogliere piroscafi carichi di turisti. Venivano soprattutto dagli Stati Uniti con navi di linea, con navi in crociera: sbarcavano, prendevano il treno per Tokyo, « facevano » Kamakura e dopo una mezza settimana, prendevano l'espresso del Fuji e scendevano verso sud per « fare » Kyoto e Naia: si reimbarcavano a Kobc sul piroscafo successivo a quello col quale avevano traversato il Pacifico e procedevano secondo l'itinerario che li portava a Shanghai o a Manila: se si trattava di crociera la nave li aspettata a Kobe e, girando più stretto, scendeva verso Tahiti e le altre isole del Pacifico rese abbastanza attraenti da adeguate campai/ ìì i p u bblicitn ric. I « profughi Qualunque fosse l'itinerario, lo scalo in Giappone era d'obbligo: i turisti americani che avevano bilanciato otto settimane di tempo e mille dollari di moneta nel capitolo viaggi, non avrebbero accettato altro. Nel corso degli ultimi venti o quindici anni Tokyo e Kamakura e Naia e Kyoto avevano sostituito nella scala dei valori sentimentali del turista americano le attrazioni di Pechino, di Hankow o di Shanghai: le pelile coltivate avevano finito per destare più interesse delle giade; i bloccati degli obi erano ventili in maggior moda delle porcellane. Oggi tutto è cambiato. Di turisti americani non se ne vedono più: dulie passerelle delle navi in arrivo dall'altra sponda del Pacifico scendono poche decine di passeggeri e sono nella pressoché totalità, giapponesi che vivono in California o ad Hawaii. Per contro i piroscafi in partenza, e soprattutto quelli che battono bandiera a stelle e strisele, partono carichi di quegli americani che avevano fissato dimora nel Giappone o nel resto dell'Asia Orientale. Sono costretti a partire in seguito ad. un ordine del Presidente degli Stati Uniti: i loro giornali parlano di questi passeggeri come di «profughi», una qualifica che non fa piacere a nessuno ma che serve certamente ad incipriare di ■vittimismo la politica che ha preso il provvedimento ed a creare o mantenere o aumentare una psicosi di guerra quale serve per giustificare ulteriori passi sulla stessa strada. L'ordine non ha precedenti ili tempi di pace (provvedimenti simili furono presi in altre occasioni, ma soltanto dopo che il conflitto politico si era mutato in spqi gntqnftsamrngsngcplgtmzteUegplfqdconflitto militare) ed era intesocome una risposta alla botta dellaWfirma messa dal Giappone il 21 scttembte al patto politico e mìlt tare concluso con l'Italia e con la Germania. Sulla portata di questo gesto di Roosevelt non tutti sono d'accordo: c'è chi gli attribuisce l'importanza di un colpo di spillo nella corazza di un rinoceronte; c'è, per converso, chi lo paragona all'ultima e pericolosa goccia nel vaso ormai ben pieno delle azioni unti-nipponiche. In qttest' ultimo caso la Storta darà il suo giudizio, se invece quelli della prima opinione sono nel veto, non vale la pena di sottrane spazio per discutete un argomento senza peso. Tuttavia noi non possiamo non registrare le reazioni che l'ordine presidenziale ha provocato nel cerchio di quegli stessi americani che ne sono stati colpiti. E di proposito ci asteniamo dal riferire le tante lamentele udite di prima e diretta voce, talvolta pubblicamente espressa, perchè si può sospettare che tali proteste abbiano fondamento esclusivo o quasi in tornaconti o situazioni personali, limitandoci a riportare considerazioni di ordine pubblico anziché individuale e basate su fatti di carattere sicuramente politico. Un gesto inutile Questi americani ragionano secondo le linee seguenti: il governo di Washington crede sia buona politica rispondile con colpi d e ù l e n o » el r o eoe : e ù e amlo o: o mel clyo aei ao, lie i in uno in cisoin nonno apnsete ali me he he di re o siues ili siioon in spillo alle più o meno metaforiche pedate che il governo di Tokyo (il quale non bisogna dimenticare ha i suoi eserciti impegnati in una guerra tutt'altro che facile) tira non tanto e non direttamente contro gli Stati Uniti, quanto contro quell'Inghilterra che per mantenere le proprie posizioni nel Pacifico sudoccidentale, centroccidentalc e nordorientale, ricorre, questa volta, in modo sfacciatamente aperto, al vecchio sistema di fomentare disordine ed alimentare rivolte nella casa o nell'orto di chi npvdptuinfutenelugGpnon si dimostra disposto a fare il] ngioco di Londra; in questa occasione ha scelto per campo d'azione la Cina. Il Giappoiie accompagna lo sforzo dei proprìi eserciti con impegni diplomatici (e chi può dar torto ad un Paese che ha le armi in mano, perchè si appoggia e promette di appoggiare alti i Paesi che hanno preso le armi contro un nemico che è sostanzialmente lo stesso?) che seno intesi ad alleviare lo sforzò militare lengtaggavpzded (Cgarantire i risultati di esso.hiOrbene il governo degli Stati dUniti, che originariamente non'ìSera in causa e'che nessuno si so-1ingna di tirare in causa, crede op-i>portano e conveniente puntare snl-\hla stessa carta sulla quale il go-]cverno di Londra è costretto a'Qmettere i suoi gettoni. A Londra [grdgirdztntgssdcafaceva comodo ribattere con una qualunque mossa alla conclusione del Patto tripartito: e Washington dietro a fare quello Londra era costretta a fare. Prendete il caso nostro — continuiamo a riassumere obiettivamente uno dei tanti ragionamenti uditi dagli americani che sono costretti a rientrare in patria — e concludete, se potete, che l'allontanamento forzato di poche migliaia di commercianti, missionari, insegnanti bilancia in qualche modo un peso come quello dell'Alleanza italo-nippo-tedesca. La risposta è assolutamente negativa sul terreno della realtà pratica e resta negativa anche se si vuole attribuire ad essa un qualche peso potenziale. La zappa sui piedi Il Patto tripartito ha pestalo i calli di John Bull e di quelli che hanno voluto infilare i piedi nei suoi stivali. La stampa nipponica ha avvertito subito, e usando il linguaggio più chiaro, che il Patto firmato dalle tre Potenze a Berlino è diretto primariamente a limitare il conflitto; successivamente qualche voce autorevole è andata ancora più in là nel dare j assicurazioni agli Stati Uniti; perì contro Washington fa circolare fa patola d'ordine di «montare» ili pericolo e la stampa americana ub- bidisce alla bacchetta e soffia ne-jgli ottoni e batte sui tamburi elo- glando l'energia dell'Amministra tote per aver preso la decisione di obbligare i cittadini americani residenti in Paesi del Pacifico orientale, ad attraversare l'Oceano c tornarsene a casa. Risultato pratico? — si chiedono, e chiedono, i cosiddetti « profughi ». Questo: che il Patto tri- eso, llaW^^J^,63U^.t^t0. 21 ìlt la sto firmato e semmai si consolida e si cementa in seguito alla rabbiosa opposizione e alla piccola rappresaglia. Non solo ma il Giappo- ne è stato pronto a prendere il provvedimento americano ed a volgerlo a proprio vantaggio. Infatti: si sa che il Giappone sta dando una ossatura nuova alla propria struttura cercando soprattutto di eliminare i residui di certe ingerenze straniere che, seppure furono utili in passato, cioè durante il processo di occidentalizzazione nipponica, oggi risultano assolutamente fuori tempo e fuori luogo. Per esempio, le scuole: il\ Giappone tollerava, per ragioni so prattutto di cortesia Internaziona pmmlacahnunstesgmdn ne e per spirito di ospitalità, che le varie missioni religiose mantenessero scuole servite da insegnanti stranieri la cui forma mentale (se non altro e se non peggio) non poteva per difetto di origine rispondere al cento per cento agli scopi dell'istruzione della gioventù nipponica, cioè a uno del più preziosi e gelosi interessi nazionali. Ripetiamo che soltanto ragioni di cortesia internazionale mante- hievano questo tutt'altro che desi derubile stato di cose. Orbene è ìStato proprio il governo di Wash1ington che, nell'intento di nnocei>'e o di imbarazzare il Giappone, \ha col suo provvedimento di ri]chlamo dei cittadini residenti in 'Questo Paese, fatto in modo che il [governo di Tokio potesse elimina¬ re automaticamente quel fastidio degli insegnanti stranieri (e fra gli americani partenti o partiti gli insegnanti sono in grande ninnerò) che disturbava l'educazione della gioventù nipponica, educazione che il governo vuole totalitariamente nazionale. Un saluto Questo discorso mi è stato tenuto da un professore che durante venticinque anni ha insegnato geografia commerciale in mia scuola superiore giapponese; a discorso finito mi ha invitato ad andare il giorno seguente alla banchina per assistere al saluto che i suoi allievi e la sua scuola gli avrebbero dato. i e i a l a e è e j la bocca rì occhi fa Quando il piroscafo si fu scoli stato di una quarantina di metri - gli studenti hanno volto le spalle -j«i mare, si son messi in colonna - ed han preso a marciare intonati drncmcdtqfscftHo accettato l'Invito: i suoi aZ-|lievi avevano avuto vacanza per ventre a dargli l'addio. Affollavano ti molo in computta schiera, agitavano mani e bandierine: quando hanno veduto gli ormeggiatori affaccendarsi per mollare l'ultima cima e l'acqua turbinare sotto la poppa dei rimorchiatori, uno dei loro ha gridato « Banzai » e gli altri hanno ripetuto tre volte il saluto al loro maestro che dalla passeggiata della seconda classe rispondeva sorridendo con e piangendo con gli i c - 0. e o- do una canzone militare. Nessuno di essi, credo, è andato sulla collina a spiare la nave (che fra parentesi era nera, non bianca) e a piangere vedendola sparire all'estremo confili del mare. Per contro sono quasi certo che ti professore di geografia commerciale si è trattenuto sulla poppa del bastimento finché ha potuto scorgere il profilo azzurro delle alture che circondano Yokohama e il suo porto. Leo Rea Colpo di spillo o ultima goccia? Gli americani lasciano il Giappone Colpo di spillo o ultima goccia? Viaggio che amareggia quelli che vanno e non preoccupa eccessivamente il paese che li vede andare - Il caso delle Missioni e delle r scuole che non era stato risolto per cortesia si è cosi risolto da sè (Dal nostro inviato) TOKIO, gennaio. Durante la stagione invernale le acque del Pacifico sano più tranquille che durante il resto dell'anno: non si incontrano tifoni, il moto ondoso si limita a creare quel « mare morto » che fa rollare abbastanza ma che ignora l'arte di far beccheggiare le navi. Anche per questa rat/ione in quest'epoca dell'anno le banchine del porto di Yokohama usavano accogliere piroscafi carichi di turisti. Venivano soprattutto dagli Stati Uniti con navi di linea, con navi in crociera: sbarcavano, prendevano il treno per Tokyo, « facevano » Kamakura e dopo una mezza settimana, prendevano l'espresso del Fuji e scendevano verso sud per « fare » Kyoto e Naia: si reimbarcavano a Kobc sul piroscafo successivo a quello col quale avevano traversato il Pacifico e procedevano secondo l'itinerario che li portava a Shanghai o a Manila: se si trattava di crociera la nave li aspettata a Kobe e, girando più stretto, scendeva verso Tahiti e le altre isole del Pacifico rese abbastanza attraenti da adeguate campai/ ìì i p u bblicitn ric. I « profughi Qualunque fosse l'itinerario, lo scalo in Giappone era d'obbligo: i turisti americani che avevano bilanciato otto settimane di tempo e mille dollari di moneta nel capitolo viaggi, non avrebbero accettato altro. Nel corso degli ultimi venti o quindici anni Tokyo e Kamakura e Naia e Kyoto avevano sostituito nella scala dei valori sentimentali del turista americano le attrazioni di Pechino, di Hankow o di Shanghai: le pelile coltivate avevano finito per destare più interesse delle giade; i bloccati degli obi erano ventili in maggior moda delle porcellane. Oggi tutto è cambiato. Di turisti americani non se ne vedono più: dulie passerelle delle navi in arrivo dall'altra sponda del Pacifico scendono poche decine di passeggeri e sono nella pressoché totalità, giapponesi che vivono in California o ad Hawaii. Per contro i piroscafi in partenza, e soprattutto quelli che battono bandiera a stelle e strisele, partono carichi di quegli americani che avevano fissato dimora nel Giappone o nel resto dell'Asia Orientale. Sono costretti a partire in seguito ad. un ordine del Presidente degli Stati Uniti: i loro giornali parlano di questi passeggeri come di «profughi», una qualifica che non fa piacere a nessuno ma che serve certamente ad incipriare di ■vittimismo la politica che ha preso il provvedimento ed a creare o mantenere o aumentare una psicosi di guerra quale serve per giustificare ulteriori passi sulla stessa strada. L'ordine non ha precedenti ili tempi di pace (provvedimenti simili furono presi in altre occasioni, ma soltanto dopo che il conflitto politico si era mutato in spqi gntqnftsamrngsngcplgtmzteUegplfqdconflitto militare) ed era intesocome una risposta alla botta dellaWfirma messa dal Giappone il 21 scttembte al patto politico e mìlt tare concluso con l'Italia e con la Germania. Sulla portata di questo gesto di Roosevelt non tutti sono d'accordo: c'è chi gli attribuisce l'importanza di un colpo di spillo nella corazza di un rinoceronte; c'è, per converso, chi lo paragona all'ultima e pericolosa goccia nel vaso ormai ben pieno delle azioni unti-nipponiche. In qttest' ultimo caso la Storta darà il suo giudizio, se invece quelli della prima opinione sono nel veto, non vale la pena di sottrane spazio per discutete un argomento senza peso. Tuttavia noi non possiamo non registrare le reazioni che l'ordine presidenziale ha provocato nel cerchio di quegli stessi americani che ne sono stati colpiti. E di proposito ci asteniamo dal riferire le tante lamentele udite di prima e diretta voce, talvolta pubblicamente espressa, perchè si può sospettare che tali proteste abbiano fondamento esclusivo o quasi in tornaconti o situazioni personali, limitandoci a riportare considerazioni di ordine pubblico anziché individuale e basate su fatti di carattere sicuramente politico. Un gesto inutile Questi americani ragionano secondo le linee seguenti: il governo di Washington crede sia buona politica rispondile con colpi d e ù l e n o » el r o eoe : e ù e amlo o: o mel clyo aei ao, lie i in uno in cisoin nonno apnsete ali me he he di re o siues ili siioon in spillo alle più o meno metaforiche pedate che il governo di Tokyo (il quale non bisogna dimenticare ha i suoi eserciti impegnati in una guerra tutt'altro che facile) tira non tanto e non direttamente contro gli Stati Uniti, quanto contro quell'Inghilterra che per mantenere le proprie posizioni nel Pacifico sudoccidentale, centroccidentalc e nordorientale, ricorre, questa volta, in modo sfacciatamente aperto, al vecchio sistema di fomentare disordine ed alimentare rivolte nella casa o nell'orto di chi npvdptuinfutenelugGpnon si dimostra disposto a fare il] ngioco di Londra; in questa occasione ha scelto per campo d'azione la Cina. Il Giappoiie accompagna lo sforzo dei proprìi eserciti con impegni diplomatici (e chi può dar torto ad un Paese che ha le armi in mano, perchè si appoggia e promette di appoggiare alti i Paesi che hanno preso le armi contro un nemico che è sostanzialmente lo stesso?) che seno intesi ad alleviare lo sforzò militare lengtaggavpzded (Cgarantire i risultati di esso.hiOrbene il governo degli Stati dUniti, che originariamente non'ìSera in causa e'che nessuno si so-1ingna di tirare in causa, crede op-i>portano e conveniente puntare snl-\hla stessa carta sulla quale il go-]cverno di Londra è costretto a'Qmettere i suoi gettoni. A Londra [grdgirdztntgssdcafaceva comodo ribattere con una qualunque mossa alla conclusione del Patto tripartito: e Washington dietro a fare quello Londra era costretta a fare. Prendete il caso nostro — continuiamo a riassumere obiettivamente uno dei tanti ragionamenti uditi dagli americani che sono costretti a rientrare in patria — e concludete, se potete, che l'allontanamento forzato di poche migliaia di commercianti, missionari, insegnanti bilancia in qualche modo un peso come quello dell'Alleanza italo-nippo-tedesca. La risposta è assolutamente negativa sul terreno della realtà pratica e resta negativa anche se si vuole attribuire ad essa un qualche peso potenziale. La zappa sui piedi Il Patto tripartito ha pestalo i calli di John Bull e di quelli che hanno voluto infilare i piedi nei suoi stivali. La stampa nipponica ha avvertito subito, e usando il linguaggio più chiaro, che il Patto firmato dalle tre Potenze a Berlino è diretto primariamente a limitare il conflitto; successivamente qualche voce autorevole è andata ancora più in là nel dare j assicurazioni agli Stati Uniti; perì contro Washington fa circolare fa patola d'ordine di «montare» ili pericolo e la stampa americana ub- bidisce alla bacchetta e soffia ne-jgli ottoni e batte sui tamburi elo- glando l'energia dell'Amministra tote per aver preso la decisione di obbligare i cittadini americani residenti in Paesi del Pacifico orientale, ad attraversare l'Oceano c tornarsene a casa. Risultato pratico? — si chiedono, e chiedono, i cosiddetti « profughi ». Questo: che il Patto tri- eso, llaW^^J^,63U^.t^t0. 21 ìlt la sto firmato e semmai si consolida e si cementa in seguito alla rabbiosa opposizione e alla piccola rappresaglia. Non solo ma il Giappo- ne è stato pronto a prendere il provvedimento americano ed a volgerlo a proprio vantaggio. Infatti: si sa che il Giappone sta dando una ossatura nuova alla propria struttura cercando soprattutto di eliminare i residui di certe ingerenze straniere che, seppure furono utili in passato, cioè durante il processo di occidentalizzazione nipponica, oggi risultano assolutamente fuori tempo e fuori luogo. Per esempio, le scuole: il\ Giappone tollerava, per ragioni so prattutto di cortesia Internaziona pmmlacahnunstesgmdn ne e per spirito di ospitalità, che le varie missioni religiose mantenessero scuole servite da insegnanti stranieri la cui forma mentale (se non altro e se non peggio) non poteva per difetto di origine rispondere al cento per cento agli scopi dell'istruzione della gioventù nipponica, cioè a uno del più preziosi e gelosi interessi nazionali. Ripetiamo che soltanto ragioni di cortesia internazionale mante- hievano questo tutt'altro che desi derubile stato di cose. Orbene è ìStato proprio il governo di Wash1ington che, nell'intento di nnocei>'e o di imbarazzare il Giappone, \ha col suo provvedimento di ri]chlamo dei cittadini residenti in 'Questo Paese, fatto in modo che il [governo di Tokio potesse elimina¬ re automaticamente quel fastidio degli insegnanti stranieri (e fra gli americani partenti o partiti gli insegnanti sono in grande ninnerò) che disturbava l'educazione della gioventù nipponica, educazione che il governo vuole totalitariamente nazionale. Un saluto Questo discorso mi è stato tenuto da un professore che durante venticinque anni ha insegnato geografia commerciale in mia scuola superiore giapponese; a discorso finito mi ha invitato ad andare il giorno seguente alla banchina per assistere al saluto che i suoi allievi e la sua scuola gli avrebbero dato. i e i a l a e è e j la bocca rì occhi fa Quando il piroscafo si fu scoli stato di una quarantina di metri - gli studenti hanno volto le spalle -j«i mare, si son messi in colonna - ed han preso a marciare intonati drncmcdtqfscftHo accettato l'Invito: i suoi aZ-|lievi avevano avuto vacanza per ventre a dargli l'addio. Affollavano ti molo in computta schiera, agitavano mani e bandierine: quando hanno veduto gli ormeggiatori affaccendarsi per mollare l'ultima cima e l'acqua turbinare sotto la poppa dei rimorchiatori, uno dei loro ha gridato « Banzai » e gli altri hanno ripetuto tre volte il saluto al loro maestro che dalla passeggiata della seconda classe rispondeva sorridendo con e piangendo con gli i c - 0. e o- do una canzone militare. Nessuno di essi, credo, è andato sulla collina a spiare la nave (che fra parentesi era nera, non bianca) e a piangere vedendola sparire all'estremo confili del mare. Per contro sono quasi certo che ti professore di geografia commerciale si è trattenuto sulla poppa del bastimento finché ha potuto scorgere il profilo azzurro delle alture che circondano Yokohama e il suo porto. Leo Rea

Persone citate: Fuji, John Bull, Roosevelt